Uno spettacolo tra cronaca e riflessione – Di Nadia Clementi
«Favole da Incubo», ideato e interpretato dalla criminologa Roberta Bruzzone
Roberta Bruzzone.
«Favole da Incubo» di Roberta Bruzzone, un progetto ambizioso che sta girando l'Italia, ha fatto tappa a Trento lo scorso 17 dicembre.
Organizzato da Artespettacolo Srl e tratto dall'omonimo libro scritto con Emanuela Valente, lo spettacolo si è rivelato un'occasione unica per riflettere su temi delicati come il narcisismo maligno e la manipolazione affettiva.
Attraverso un linguaggio coinvolgente e una narrazione potente, lo spettacolo ha sensibilizzato il pubblico trentino, dimostrando ancora una volta l'importanza di affrontare argomenti scomodi per promuovere una società più consapevole nel riconoscere «gli stereotipi di genere più comuni che ancora permeano la nostra cultura».
Sul palco, la criminologa Roberta Bruzzone è stata una vera e propria forza della natura.
Con un'energia contagiosa e un'ironia tagliente, ha saputo catturare l'attenzione del pubblico fin dal primo momento. Affermazioni provocatorie come «Per le donne, questo spettacolo serve da anticoncezionale» hanno introdotto i temi trattati con un tocco di sarcasmo che ha sdrammatizzato senza mai banalizzare.
L'alternanza di momenti di grande intensità emotiva con tocchi di leggerezza, accompagnata da suggestivi intermezzi musicali, ha creato un'atmosfera unica, capace di coinvolgere gli spettatori maschili e femminili a più livelli.
Nonostante l’ironia, la Bruzzone ha proposto riflessioni molto forti sul patriarcato, descrivendolo come un sistema sociale che spesso legittima comportamenti manipolatori e coercitivi.
Ha spiegato come, fin dall’infanzia, giochi e comportamenti stereotipati — bambole per le femmine e macchinine per i maschi — contribuiscano a perpetuare ruoli di genere limitanti e diseguali.
«Cambiare questi schemi è difficile – ha ammesso la criminologa, – ma ogni passo verso l’uguaglianza rappresenta una vittoria preziosa.»
La rappresentazione si è sviluppata in due sezioni principali, la prima caratterizzata da un tono graffiante e provocatorio, ha messo in luce esempi contemporanei di patriarcato tossico.
Stereotipi di genere ancora radicati nella nostra cultura sono stati analizzati senza sconti: «I maschi sono intelligenti, le femmine utili»; «I maschi sono progettati per comandare, le femmine per accudire»; «Gli uomini devono provvedere economicamente alla famiglia e realizzarsi nel lavoro, mentre le donne devono stare a casa».
Un esempio emblematico è quello di Astrosamantha, la donna da record nello spazio, richiamata però in primis al ruolo di madre.
Secondo la criminologa questi preconcetti, spesso considerati innocui, si rivelano invece pericolosamente dannosi, alimentando un terreno fertile per ingiustizie e preclusioni.
La seconda sezione, più grave e riflessiva, si è concentrata su storie di femminicidio, rappresentate con rigore e sensibilità.
Tra queste, il caso di Roberta Ragusa, scomparsa nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, il cui corpo non è mai stato ritrovato; quello di Elena Ceste, il cui cadavere fu rinvenuto il 18 ottobre 2014 in un canale a pochi chilometri da casa; e la tragica vicenda di Arianna Flagiello, che il 19 agosto 2015 si tolse la vita lanciandosi dal quarto piano del suo appartamento, dando luogo a un importante precedente giurisprudenziale nei casi di istigazione al suicidio legata a maltrattamenti.
Attraverso la ricostruzione di dieci tra i più sconvolgenti casi di femminicidio degli ultimi anni, Roberta Bruzzone ha analizzato come stereotipi, pregiudizi e tabù abbiano influenzato non solo le vittime e i carnefici, ma anche l’opinione pubblica e i media che hanno raccontato queste tragedie.
Il quadro che ne emerge è inquietante: le idee sessiste continuano ancora ad essere profondamente radicate nella società, trasversalmente rispetto a ogni condizione economica e culturale.
La presa di coscienza collettiva rappresenta un passo fondamentale per smantellare questi schemi mentali, evitando che crimini così efferati trovino terreno fertile.
La rappresentazione è stata intensificata da aneddoti e battute taglienti che evocano i nomi di carnefici come Alessandro Impagnatiello, Filippo Turetta e Alessia Pifferi, quest'ultima condannata per l'orribile crimine di aver lasciato morire di stenti la propria figlia.
Storie che straziano il cuore e infiammano l'indignazione.
Tali casi, scelti per la loro rilevanza, hanno offerto l'opportunità di analizzare i meccanismi culturali e sociali che li hanno generati.
Nel corso della narrazione, Bruzzone ha svelato l'amara verità: il femminicidio è spesso il tragico culmine di un crescendo di violenza, controllo e umiliazione.
Con parole chiare e decise, ha affermato: «L'amore non è sinonimo di violenza, isolamento o umiliazione». Analizzando casi di cronaca nera, la criminologa ha messo a nudo come modelli tossici continuino a plasmare la nostra società, alimentando tragedie evitabili.
La verve della Bruzzone, arricchita da humor nero e battute sarcastiche, ha mantenuto alta l’attenzione del pubblico per quasi due ore.
La criminologa ha saputo intrecciare momenti di leggerezza a riflessioni profonde, sul tema centrale della violenza di genere.
Non sono mancati riferimenti ironici alle classiche favole Disney, come quelle della Bella Addormentata e di Cenerentola, dove la figura del principe azzurro e la centralità del romanticismo possono contribuire a consolidare stereotipi di genere fin dalla tenera età.
Un finale potente ha chiuso lo spettacolo. La parola «BASTA!», proiettata in grande su tutto il fondale, è diventata un grido silenzioso che ha riempito la sala. Un messaggio chiaro e diretto, un invito all'azione.
Un monito che ha toccato le corde più profonde del pubblico, lasciando un segno indelebile.
Gli applausi scroscianti hanno sancito l’importanza di un cambiamento culturale per porre fine alla violenza sulle donne.
Favole da Incubo non è solo uno spettacolo teatrale, ma un invito a riflettere e agire.
Attraverso una narrazione avvincente e un’analisi lucida, Roberta Bruzzone ha trasformato il teatro in uno spazio di confronto e consapevolezza, dimostrando come l’arte possa essere un potente strumento di cambiamento sociale.
Nadia Clementi – [email protected]