Storie di donne, letteratura di genere/ 580 – Di Luciana Grillo

«Le ragazze della Triangle - saggi intimi e politici sull’incendio di una fabbrica newyorkese» – La tragedia spaventosa da cui nacque la… «festa delle donne»

Titolo: Le ragazze della Triangle. Saggi intimi e politici sull'incendio di una fabbrica newyorkese
Curatrice: Edvige Giunta
Curatrice: Mary Anne Trasciatti
Traduttrice: Paola Bono
Editore: Iacobelli Editore, 2025
Pagine: 360, Brossura
Prezzo di copertina: € 23

 
 La «festa delle donne» è nata da una tragedia spaventosa  

Da qualche decennio l’8 marzo è «la festa delle donne», una festa che di anno in anno acquista un carattere sempre più commerciale.
Agli uomini si suggerisce di regalare mimose, cioccolatini, profumi a fidanzate, mogli, compagne.
Ristoranti propongono «menu amorosi» e in discoteca spesso le donne possono entrare gratuitamente.
Anni fa la festa era politica, le donne rivendicavano i loro diritti e nelle strade si snodavano i cortei…
 
In realtà questa che chiamiamo «festa» è un’occasione per ricordare le 146 donne che persero la vita in un incendio nella fabbrica di camicette in cui lavoravano, a New York: era il 25 marzo 1911.
Oggi un libro ben documentato ricorda queste giovani donne attraverso i racconti delle sopravvissute, delle famiglie che avevano perduto una figlia, una sorella, una nipote, ma spinge anche a riflettere sul significato dell’incendio, sulle condizioni di lavoro, sul diverso colore della pelle delle operaie che appartenevano a famiglie povere e professavano varie religioni.
 
«Lavoravano dodici ore per sei giorni a settimana, incidenti potenzialmente letali erano elementi normali della vita lavorativa», e rischiavano la vita come i minatori di carbone, i macellai delle grandi aziende che lavoravano le carni, i taglialegna…
La fabbrica era di proprietà di due ebrei russi e occupava tre piani del moderno Asch Building.
Si realizzavano camicette alla moda, «oggetto di vestiario iconico per la nuova donna americana… l’ideale di indipendenza femminile esemplificato dalle suffragiste di classe media e alta».
 
L’incendio della «Triangle» ebbe un impatto fortissimo sulla cittadinanza che vide con i propri occhi il fumo che si sprigionava dal palazzo, i corpi che si schiantavano a terra in fuga dalle fiamme, l’opera generosa e l’impotenza dei vigili del fuoco.
I cittadini furono costretti a fare i conti con una realtà drammatica, «percepirono l’odore del fumo, del marciapiedi bagnato, della carne bruciata».
Tutto accanto alle loro case…
Alcune operaie erano immigrate ebree provenienti dall’Europa orientale, in loro ricordo furono organizzate cerimonie commemorative dai gruppi ebraici, sulle loro tombe fu recitato il kaddish, ogni anno la tragedia è ricordata sui giornali.
 
Un altro gruppo numeroso – circa un terzo delle vittime – era quello delle italiane, ma fino agli anni Novanta del secolo scorso le associazioni italo-americane non inclusero questo evento nella storia dell’immigrazione italiana negli U.S.A.
«Tale silenzio si può comprendere nel contesto della razzializzazione e discriminazione subita dagli italiani nelle prime fasi della loro immigrazione e durante la Seconda guerra mondiale, quando l’italiano divenne la lingua del nemico e gli immigrati italiani vennero ritenuti stranieri nemici».
 
Le operaie furono ricordate e piante soltanto dalle loro famiglie; nel 1986 fu raccolta la testimonianza di una sopravvissuta, Paulina Pepe e soltanto nel 2001 – novantesimo anniversario – fu organizzata dal Collective of Italian American Women la prima commemorazione italo-americana.
La pronipote di Daisy Lopez-Fitze, operaia della Triangle che saltò dal nono piano e sopravvisse per due giorni, ha segnato su una mappa della Sicilia i luoghi di provenienza delle vittime: «la mia mappa della Sicilia è ferita. Cerchi rosso sangue segnano le città e i paesi dove sono nate… e dove ora lapidi di marmo, bassorilievi e targhe stradali portano il loro nome… la mia mappa è una topografia di perdita…».
 
Tomlin Perkins Coggeshall ha trascorso molto tempo con la nonna, da bambino. Sa che quel 25 marzo 1911 la nonna aveva trent’anni, non era sposata e studiava per un Master alla Columbia; nel pomeriggio era a casa di un’amica, sentì le sirene che squarciavano l’aria, le campane dei vigili del fuoco, vide le fiamme che uscivano dalle finestre dell’Asch Building e i corpi bruciati… in quel momento decise di impegnarsi per rendere i luoghi di lavoro più sicuri.
 
Un’altra pronipote ha raccolto la testimonianza di Katie, sopravvissuta alla sorella, la prozia Rosie, «morta dietro una porta chiusa alla Triangle Waist Company. Un’altra sorella, Katie, sopravvisse prendendo al volo l’ultimo ascensore… Mia madre mi ha detto che la madre di Rosie, la mia bisnonna Sarah, non si è mai ripresa dalla sua morte».
 
Martin Abramowitz racconta di suo padre Isidore, un tagliatore che lavorava all’ottavo piano: «ero orgoglioso che mio padre fosse stato una comparsa in quel dramma terribile… forse mi sarò chiesto se avesse sofferto del senso di colpa di chi sopravvive…».
Leggendo alcuni documenti, a Martin viene il dubbio terribile che una sigaretta accesa buttata in un cestino da suo padre potesse aver causato l’incendio…
 
Non insisto con queste testimonianze, bisogna leggerle e riflettere su quanto dolore abbia colpito le famiglie, su quanti sensi di colpa abbiano afflitto i sopravvissuti, su quanto ancora oggi i luoghi di lavoro siano poco sicuri.
Molte fotografie accompagnano queste pagine, danno vita a chi la vita l’ha persa tagliando e cucendo.
Per mantenere vivo il ricordo delle giovani vittime è nato il «Triangle Fire Memorial» dove è stato creato con pezzi di stoffe diverse un Nastro Collettivo su cui sono stati ricamati nomi e un numero, sempre quello: 146.
 
Luciana Grillo - [email protected]

(Recensioni precedenti)

le-ragazze-della-triangle.jpg