Storie di donne, letteratura di genere/ 577 – Di Luciana Grillo

Audrey Magee, «La Colonia» – Un messaggio su come gli effetti del colonialismo restino radicati nella psiche delle persone, da entrambi i lati della linea che li divide

Titolo: La colonia
Autrice: Audrey Magee
 
Traduttrice: Chiara Baffa
Editore: Bollati Boringhieri, 2023
 
Pagine: 312, Brossura
Prezzo di copertina: € 18

 
Questo libro per circa un anno è stato in vista sulla mia scrivania, tra quelli su cui ho scritto «da leggere».
Ho aspettato a lungo, volevo prima andare in Irlanda, vedere luoghi spesso entrati pesantemente nella cronaca nera per attentati frequenti, il più noto dei quali è stato quello che ha ucciso Lord Mountbatten nel 1979, organizzato dall’Ira.
Lord Mountbatten, imparentato con la casa reale inglese, era stato l’ultimo viceré dell’India.
 
Era in barca a vela, lì i terroristi repubblicani irlandesi avevano sistemato una bomba. Insieme al Lord, morirono un suo nipote quindicenne, un giovane membro dell’equipaggio e la consuocera.
Gli attentati continuarono, nello stesso giorno l’Ira uccise diciotto militari britannici in due diversi attentati.
Tutto il romanzo è percorso da vari attentati, che aprono ciascun capitolo.
La violenza, dunque, si inserisce prepotentemente nella vita degli abitanti.
 
Sono andata in Irlanda, ho visitato vari luoghi ed ho visto, in Belfast, una città ancora sofferente, dove quella violenza che sembrava risolta con gli accordi del 1998 è in realtà ancora nell’aria, nei ricordi degli abitanti, nelle parole delle guide, nei murales che raccontano il recente passato.
 
Il romanzo è ambientato in una piccola isola che si affaccia sulla costa dell’Irlanda del Nord, dove si parla un dialetto antico e si vive in dignitosa semplicità.
È qui che approda un distinto pittore inglese – Lloyd – alla ricerca di paesaggi incontaminati, di scogliere rocciose, di mare aperto: «si sedette sull’erba e osservò la distesa d’acqua intorno all’isola, il sole luccicare sulla superficie, gli uccelli scendere in picchiata e immergersi, lasciando sedimentare la distanza che lo separava da Londra, dagli altri, da loro, dalle loro mostre, recensioni, applausi, dalla loro scena e lei lì tra loro la mia gallerista in mezzo a loro lei in mezzo a loro non con me».
Magee e la sua prosa sorprendono, ora sembra che racconti, ora che canti…
 
Lloyd si ambienta abbastanza bene, trova nel giovane James – figlio di Mairéad, la bella vedova di Liam – un osservatore attento, pronto a impegnarsi anche lui nel disegnare e dipingere.
Ma un altro straniero sbarca sull’isola, è un francese, un linguista alla ricerca di una lingua ancora pura, non contaminata da inglesismi. Si chiama Jean-Pierre Masson, non è la prima volta che arriva quassù, gli si fanno incontro bambini e bambine, «donne che ridacchiavano tenendosi sottobraccio».
 
Lloyd segue questo strano corteo, anche Masson è ospite di Bean Uì Néill: seduti intorno al tavolo, bevendo il tè e mangiando score, emergono le differenze tra i due stranieri, che si punzecchiano: Masson sostiene che Lloyd si ispiri a Monet, Lloyd gli chiede con ironia se pensi di poter far rinascere una lingua morta… poi propone a James di trovargli un altro alloggio, lontano dal francese che canta parla ride a voce alta, che non «osserva» l’uso della lingua, ma «esercita la sua influenza. Sta facendo una campagna politica».
 
La vita in paese continua come sempre, nel solco della tradizione: Mairéad lavora ai ferri, prepara un maglione per James… «Cominciò a lavorare a maglia, facendo scorrere un ferro sopra l’altro e girando la lana… Contò i punti. Centotrentaquattro. Com’era nel principio ora e sempre. La preghiera della magliaia».
Ma non le basta questo lavoro, accetta di fare la modella per Lloyd, vuole rimanere fissa su una tela, «essere portata via, lontano da qui, in qualche altro luogo dove resisterò e vivrò oltre la caducità del quotidiano, un’immortalità che altri ottengono attraverso Dio, l’aldilà, la promessa del paradiso, ma io ho già guardato lì, là dentro, e non c’è nulla, solo un vuoto che una volta visto non può essere dimenticato. Ho bisogno di un rimedio contro quella durezza, signor Lloyd. Contro quella desolazione. Di una vita dopo la morte tutta mia».
 
Le notizie degli attentati interrompono la tranquillità dell’isola. Masson continua i suoi studi, registra la lingua di Ben Uì Fhloinn, la vecchia saggia a cui nulla sfugge, l’ultima vera irlandese che da lontano osserva e capisce… Mairéad di mattina va al capanno dove Lloyd dipinge, ma in altre ore va da Masson; Lloyd promette a James di portarlo a Londra con lui e di fargli esporre i suoi dipinti.
A fine estate, Lloyd chiede una tela grandissima, non mostra la sua opera se non a James e Mairéad e si prepara a partire.
 
Si imbarcheranno insieme, l’inglese e il francese, lasciando intatti i problemi che avevano trovato, senza aver risolto nulla, ma constatando che la violenza coloniale, sia pure camuffata, rinasce e danneggia popoli e luoghi, la loro identità e la loro cultura.
 
Luciana Grillo - [email protected]

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