Storie di donne, letteratura di genere/ 567 – Di Luciana Grillo
Virginia Cafaro, «Manifesto pisolini. Guida femminista sul diritto al riposo» – Una storia familiare come tante: classe operaia, mai visto i genitori riposare davvero
Titolo: Manifesto pisolini. Guida femminista
sul diritto al riposo
Autrice: Virginia Cafaro
Editore: Le plurali, 2024
Pagine: 160, Brossura
Prezzo di copertina: € 12
Per
una persona che, come me, soffre di insonnia, questo piccolo libro
offre una serie di spunti di riflessione estremamente utile, partendo
dal concetto che il riposo è una necessità e che dunque nessuno deve
sentirsi in colpa se abbandona la solita routine e si concede del tempo
per riposare.
Già nella prefazione Biancamaria Furci ci aiuta a
considerare la nostra stanchezza con una sfilza di “forse”… «Forse siamo
persone stanche perché è conveniente a un determinato sistema, quello
capitalista. Forse siamo stanche perché il tempo della nostra vita è
stato arbitrariamente suddiviso fra tempo per il profitto e tempo non
profittevole…tanto più meritevoli quanto più eravamo stanche… Forse…
Forse…» per concludere infine che «la nostra stanchezza è una risposta a
un trauma. Un trauma sociale, un trauma generazionale, un trauma di
classe, un trauma di sistema».
Cafaro passa in rassegna alcuni
elementi relativi al riposo e alla classe dominante che controllerà
sempre di più la classe lavoratrice con una valuta di scambio che è il
tempo, determinato dal denaro.
E quanto al tempo lavorativo delle
donne, va sempre considerato «che si sdoppia tra quello di cura in casa e
quello retribuito al di fuori».
Il lavoro di cura dedicato a
bambini, anziani e non autosufficienti è da sempre associato alle donne
che «sarebbero portate a svolgere gratuitamente ogni giorno per presunta
indole biologica».
Un’altra autrice, Emma Clit, nel suo saggio
«Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano» illustra la vita
di donne così stanche da cedere…che si sentono dire: “Bastava chiedere!
Ti avrei aiutato”.
Né si può credere che le nuove tecnologie rendano
meno pesante l’impegno lavorativo, «ciò che noi pensiamo e vediamo,
inizialmente come comodità, finisce per diventare interferenza,
risucchiando le ore libere a disposizione, e rappresenta una fonte di
guadagno costante per gli imprenditori delle Ict che, glorificando la
rete digitale, sono riuscite a trasformare il nostro riposo in reddito
(altrui)»
.
Una pagina è dedicata agli animali «pisoloni» come il
koala, il bradipo, il vespertilio bruno che dormono anche 22 ore al
giorno!, altre parlano di ozio che, come diceva R. L. Stevenson, «non è
affatto il non fare nulla, ma piuttosto il fare una quantità di cose non
riconosciute dai dogmatici regolamenti della classe dominante», mentre
Russel ricordava di aver sentito che, quando furono concesse ai poveri
le giornate festive, una duchessa sconcertata chiese: «Ma che se ne
fanno i poveri delle vacanze? Tanto loro devono lavorare».
Altro
tempo, altre idee: Otessa Mashfegh, autrice de «Il mio anno di riposo e
oblio» pubblicato nel 2020, racconta che una giovane donna, aiutata
dalla psichiatra per la somministrazione di sonniferi e farmaci vari,
decide di non lavorare per un anno. Naturalmente appartiene a una classe
agiata se può non lavorare per un anno!
In contrapposizione,
leggiamo che negli Stati Uniti la hustle culture «predica la totale
dedizione delle persone al lavoro», mentre il quiet quitting «indica un
nuovo modo di intendere il lavoro… ribaltare le priorità della vita,
servendosi del lavoro come strumento di guadagno e non di definizione
della propria personalità… lavorare il necessario a non farsi
licenziare, non eccedere dalle ore stabilite da contratto… presa di
coscienza collettiva, che dalla hustle culture ci porterà a una cultura
lavorativa pensata per e dalle comunità, a misura di essere umano».
Dunque il diritto al riposo deve far sì che il riposo conquistato sia ampio, creativo, aperto al dibattito e altruista.
Seguono consigli utili, note ricche e ampia bibliografia.
Luciana Grillo - [email protected]
(Recensioni precedenti)