Storie di donne, letteratura di genere/ 566 – Di Luciana Grillo

Nadeesha Uyangoda, «Corpi che contano» – Ancora oggi i ciclisti di colore sono pochissimi… Il colore della pelle è ancora un problema

Titolo: Corpi che contano
Autrice: Nadeesha Uyangoda
 
Genere: Sport femminile
Editore: 66thand2nd, 2024
 
Pagine: 128, Brossura
Prezzo di copertina: € 15
 
Nadeesha Uyangoda vive in Italia da molti anni e scrive in italiano.
Ho già recensito un suo testo e mi sono avvicinata a «Corpi che contano» incuriosita da un titolo che automaticamente riporta allo sport e che mi ha fatto pensare alla pugile Imane Khelif che alle Olimpiadi di Parigi è stata offesa e messa alla berlina.
Fin dalle prime pagine, questo libro mette in evidenza il fatto che la classe sociale di appartenenza, l’etnia, il genere condizionano la vita di uomini e donne.
 
Se poi si tratta di persone che praticano sport, il condizionamento è ancora più forte «per tantissimo tempo non ci sono state tenniste, cicliste, nuotatrici afrodiscendenti o provenienti dal Sud e dal Sudest asiatico», forse per mancanza di strutture sportive o per condizioni economiche di basso livello o semplicemente per razzismo.
E per le donne solo alcuni sport sono quelli «adatti» - pallavolo, ginnastica, tennis - mentre sono considerati esclusivamente maschili quelli che richiedono forza fisica, dunque «l’esperienza sportiva delle donne è da sempre costretta entro i limiti della sessualizzazione e della femminilità…».
 
Ancora oggi, i casi di maschilismo sono frequenti, una giornalista sportiva molestata durante una diretta tv ha reagito con forza e le è stato risposto semplicemente di non prendersela, così come la calciatrice spagnola, mentre festeggiava la conquista della coppa del mondo, platealmente baciata dal presidente della sua Federazione si è ritratta mentre il presidente, accusato, ha risposto di averla baciata paternamente.
Le telecamere dicono il contrario.
 
Uyangoda porta altri esempi di comportamenti mossi da razzismo, anche verso gli uomini non bianchi che giocavano a cricket, il gioco insegnato dai colonizzatori inglesi, contenti «di vedere impegnati in un gioco amichevole rappresentanti di due razze come il modern Englishman e l’aborigeno australiano… a tutti gli effetti vestiti e sani di zucca», come scrive The Daily Telegraph il 27 maggio 1868.
 
Tornando ai nostri anni, l’autrice riprende le parole del generale Vannacci sull’identità italiana e ricorda quali trofei abbia vinto Fiona May, britannica naturalizzata italiana, e come si stia avviando sulla stessa strada la figlia Larissa di cui qualcuno ancora oggi dice che non è italiana: «Il problema è il colore della pelle».
 
Il razzismo si manifesta anche in altri Paesi, e al razzismo si uniscono «genere e sessismo…», tanto che il conduttore radiofonico Sid Rosenberg, parlando di Venus Williams, ha detto che «somiglia a un animale» e che sarebbe stata meglio «su una copertina del National Geographic che su una di Playboy».
 
È stata una regista, Gurinder Chadha, britannica di origine asiatica, per la prima volta, a rappresentare nel film «Sognando Beckham» i personaggi femminili semplicemente come atlete e non come oggetti sessuali.
Uyangoda scrive che questo film è «rivoluzionario», perché finalmente ha infranto il soffitto di cristallo…
 
L’autrice è tifosa del Napoli, conosce le regole del calcio, sottolinea il razzismo che esplode in cori scomposti o in gesti volgari, mette in evidenza il comportamento pilatesco di arbitri, dirigenti sportivi e politici, riflette sugli effetti che tutto ciò può avere su giovani sportivi che, benché bravi, si sentono comunque diversi e cita il caso Balotelli: «quale impatto ha avuto tutto questo sulla salute mentale, sulla condizione psicofisica e sulla carriera sportiva di Balotelli?... Un calciatore considerato, poco più che ventenne, un fenomeno, ad appena trent’anni finito a giocare in serie B prima, e in Turchia poi».
 
Nonostante tutto ciò, «le società sportive ci sembrano comunque un esempio di integrazione, in cui la grande assente è la tensione razziale… i giocatori neri superano la narrazione stereotipata del nero povero grazie ai loro stipendi stellari (ma sempre un po’ meno stellari di quelli dei loro colleghi bianchi)».
Ma dove alligna il razzismo? Secondo un professore dell’Università di Berkeley, i bianchi si sentono da sempre superiori rispetto ai neri.
Quando però vivono in condizioni disagiate, ne danno la colpa ai neri, «portando a galla un razzismo, un’omofobia, una misoginia latente ma senza più freni».
 
E tornando alle donne e ai loro corpi, Uyangoda racconta che le squadre femminili della Legends Football League dovevano esibirsi in «divise così succinte» per attirare il pubblico pagante maschile. E anche truccarsi e pettinarsi adeguatamente...
E si va avanti così, di pagina in pagina, ricordando lo stupore del pubblico per la squadra di bob proveniente da Giamaica (e vincitrice alle Olimpiadi invernali del 1988), la curiosità suscitata nei bianchi dalla capacità di nativi americani di correre manifestando una resistenza sconosciuta ai bianchi, il divieto imposto agli Eritrei dagli italiani di usare le biciclette.

Ancora oggi i ciclisti di colore sono pochissimi… il colore della pelle è ancora un problema.

Luciana Grillo - [email protected]
(Recensioni precedenti)