Riflettori sulla Violenza contro le Donne – Di Nadia Clementi
25 Novembre, l’appello dell’Avvocato Nicodemo Gentile, legale di Elena la sorella di Giulia Cecchettin
L’avvocato Nicodemo Gentile.
Il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, vogliamo evidenziare l'importanza della nascita della «Fondazione Giulia Cecchettin ETS», istituita il 29 ottobre 2024 a Padova e presentata il 18 novembre alla Camera dei Deputati.
La Fondazione, ispirata alla memoria di Giulia Cecchettin, si impegna a combattere la violenza di genere e a promuovere la parità, con l'obiettivo di costruire una società più equa, inclusiva e rispettosa dei diritti di tutti, fondazionegiulia.org.
Il tragico caso di Giulia, giovane studentessa universitaria vittima di femminicidio l'11 novembre 2023, ha profondamente scosso l’opinione pubblica, riaccendendo il dibattito sull’urgenza di potenziare le misure di prevenzione, protezione e supporto per le vittime di violenza.
Al contempo, sottolinea la necessità di sensibilizzare i giovani, le famiglie e le scuole per prevenire queste tragedie e radicare una cultura fondata sul rispetto reciproco.
Giulia, uccisa dall'ex fidanzato, rappresenta una delle 120 donne vittime di femminicidio nel 2023, un dato leggermente inferiore rispetto ai 126 casi del 2022.
Questo fenomeno si conferma drammaticamente legato alla sfera familiare o relazionale: oltre il 50% dei femminicidi è perpetrato da partner o ex partner.
Nonostante una lieve diminuzione dei casi di femminicidio, le statistiche sulla violenza di genere restano allarmanti.
Nel 2023, più di 16.000 persone hanno contattato il numero di emergenza 1522, con un incremento del 36,7% rispetto all’anno precedente.
Molte donne denunciano violenze fisiche (66,7%) e psicologiche (quasi il 90%), spesso dopo anni di silenzio (vedi).
Questa giornata non è solo un momento di commemorazione, ma un appello all’azione. Solo con un impegno collettivo è possibile porre fine a una violenza che continua a distruggere vite e famiglie in tutto il mondo.
Riportiamo di seguito la traduzione di un messaggio vocale esclusivo che ci ha inviato il penalista Nicodemo Gentile, avvocato di Elena, sorella di Giulia Cecchettin e Presidente dell’Associazione Penelope.
Il 25 novembre mi piace definirlo la «giornata degli amori morti»: un momento in cui, purtroppo, siamo ancora una volta costretti a guardarci dentro, spesso impreparati. Non dovrebbe essere così nel 2024, dovremmo affrontare questa violenza con strumenti idonei e non più casuali. La violenza di genere è diventata un elemento grave, gravissimo, ormai strutturale nella nostra società. I numeri sono impietosi, le statistiche evidenziano un gelido calcolo che boccia tutti noi: 120 donne uccise nel 2023, di cui 97 in ambito affettivo e familiare. Questi dati ci gridano che siamo in guerra. Sebbene il 2024 ci sia un lieve calo, ci auguriamo che i numeri continuino a diminuire, ma resta il fatto che essi rappresentano la vetta più crudele della violenza contro le donne. Accanto a questi numeri, tuttavia, non dobbiamo dimenticare le violenze che, per fortuna, non conducono alla morte, ma che segnano profondamente il corso di vite e relazioni. Molte donne sono vittime vive di una violenza antica, primitiva, quasi tribale, che negli ultimi anni ha fatto più vittime della criminalità organizzata. La società arranca, a corto di fiato. Dobbiamo risalire come il salmone, controcorrente, lungo un fiume dalle acque potenti. Non è facile. Occorrono nuove consapevolezze, nuove alleanze e misure preventive, proprio come è accaduto per combattere altre piaghe del nostro secolo. È fondamentale intervenire in modo adeguato e tempestivo, intercettando i segnali di una violenza che non è sempre fisica. Spesso essa si manifesta prima come violenza psicologica: quella che non lascia segni visibili, che non ti spinge a chiamare il pronto soccorso o il 112, ma che scava, svuota, umilia. Questa violenza colpisce le donne nella loro essenza, rendendole spesso incapaci di vivere appieno i loro ruoli: come madri, mogli, professioniste. È una violenza che le trasforma e le svuota. Per questo ritengo fondamentale un nuovo vocabolario, un nuovo linguaggio che combatta l’analfabetismo emotivo di molti uomini. Oggi le donne si sono riappropriate dei propri spazi, della propria cultura, della propria dimensione professionale. Ma questa nuova libertà è percepita da alcuni come una minaccia, talvolta con esiti tragici. Non possiamo sempre attribuire questa violenza a disturbi psichiatrici: è necessario guardare negli occhi questi uomini e riconoscere che il problema è strutturale. Spesso i responsabili sono persone insospettabili: professionisti, uomini con giacca e cravatta, camici, divise o toghe. La violenza si nasconde nei luoghi più impensati, in circuiti che appaiono normali e sani, ma che, dietro una facciata, celano il dramma. Le nuove generazioni non sono esenti: giovani universitari, professionisti, persone che vivono in apparente normalità si macchiano di questi crimini. È necessario creare alleanze positive tra scuola, famiglia e istituzioni. Le famiglie devono essere sostenute, formate e aiutate a riconoscere tempestivamente i segnali di violenza, che spesso si consumano lentamente, attraverso anni di abusi psicologici prima di esplodere in violenza fisica. Penso al caso di Sara di Pietrantonio, uccisa nel 2016 lungo la Magliana, o a Giulia Cecchettin, una giovane donna dolce e brillante, vittima di un uomo che non accettava la sua decisione di voltare pagina. La violenza può assumere mille volti e colpire in modi subdoli, spesso invisibili. È necessario fornire risorse economiche e umane adeguate. La politica deve investire nella formazione di squadre specializzate e nel supporto concreto a chi decide di denunciare. Chiediamo alle donne di uscire allo scoperto, ma poi mancano strumenti come i braccialetti elettronici, o i tempi di applicazione delle misure di protezione sono inaccettabilmente lunghi. In queste situazioni, anche un giorno in più può essere fatale. La parola chiave è empatia: immedesimarsi nel dolore altrui. Solo così possiamo diventare partigiani di una nuova resistenza, quella del rispetto. Chi ama deve amare innanzitutto la libertà della persona amata, rispettando i suoi spazi e i suoi progetti. Questo è il messaggio che dobbiamo diffondere, perché il cambiamento parte da ognuno di noi. |
Nadia Clementi – [email protected]
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