Perché ricordare – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
La memoria del passato è fondamentale per cambiare il presente. E il futuro
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Una volta si credeva che i ricordi avessero sede nel cuore. L’etimologia latina «re-cordis» lo dice con chiarezza che i ricordi sono i sentimenti che si «richiamano in cuore» e rivivono come esperienze dirette diventando «memoria» del passato. È con questa memoria, non come nostalgia ma come «cura» di ciò che è accaduto, che rimaniamo consapevoli di chi siamo e fin dove possiamo arrivare.
Ricordare è un processo complesso, necessario per conservare informazioni, recuperarle e vivere il presente e il futuro. Diceva Freud nel 1985 che la memoria «è univoca e molteplice (è) una fucina di rimaneggiamenti e revisioni» (in «Progetto per una psicologia scientifica» a cura di C. Musatti, Vol. II, Bollati Boringhieri).
Prima ancora delle neuroscienze fu il padre della psicoanalisi ad intuire che la memoria è l’essenza stessa della vita psichica, dove albergano i ricordi del passato e lo narrano, anzi lo rendono presente in continuazione. E nei ricordi contano le emozioni, gli stati interni che danno significato all’esistenza, la definiscono ma, anche se lentamente, possono trasformarla o cambiarla.
Quando invece manca la memoria, la vita stessa è sconvolta, lo sappiamo dalla malattia di Alzheimer, progressiva e devastante che avanza mortifera.
«Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo». Frase scritta dal filosofo George Santayana e posta all’ingresso del campo di concentramento di Dachau per ricordare il rischio che l’orrore dello sterminio si ripeta. Era ed è un monito contro il male della dimenticanza e la perdita dei ricordi. Ma per combattere l’orrore delle deportazioni e del genocidio servono narrazioni, infiniti racconti, anche terribili come quelli generati dalla «tempesta devastante» (Shoah).
E non basta la memoria episodica per far crescere la consapevolezza sulla violenza che imperversa nelle terre della guerra dove si muore ogni giorno senza tregua, con pari crudeltà e ferocia, ma serve ricordare continuamente il male per far crescere la coscienza collettiva delle brutalità sempre possibili ovunque.
Abbiamo bisogno di narratori di storie capaci di scuotere le nostre anime e farci resistere alla violenza «normalizzata» e pervasiva dei tempi che ci attraversano. Servono per cogliere quel «fil rouge» che lega, purtroppo, il passato al presente e lo sterminio di ieri a quello di oggi.
In analisi è una nuova narrazione quella che aiuta ad uscire dalla sofferenza ed è la memoria del dolore passato che può trasformare il presente e originare un nuovo racconto che salva.
C’è dunque urgenza di ricordi da raccontare ai figli fin da piccoli, da consegnare loro ad alta voce perché le storie, anche le più terribili diventino «controparole», antidoti al male.
È preoccupante, come capita nelle consultazioni, trovare gli adolescenti senza ricordi del loro passato, privi di memoria dell’infanzia.
Rischiamo di far crescere le nuove generazioni senza un tempo da trattenere, senza memoria e più ancora di alimentare il silenzio dell’indifferenza pericolosa e mortifera, insieme alla ferocia dell’odio e del crimine.
Giuseppe Maiolo
psicoanalista - Università di Trento