Mart Rovereto, «Etruschi del Novecento» – Di Daniela Larentis
Inaugurata una grande mostra a cura di Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci, Alessandra Tiddia, visitabile a Rovereto dal 7 dicembre 2024 al 16 marzo
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Al Mart Rovereto è da poco stata inaugurata una straordinaria mostra dal titolo «Etruschi del Novecento», pensata in due tappe. Curata da tre storiche dell’arte, Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Alessandra Tiddia, e dall’etruscologo Giulio Paolucci, coinvolge due tra i maggiori musei italiani: Mart e Fondazione Luigi Rovati.
Visitabile a Rovereto dal 7 dicembre 2024 al 16 marzo 2025 e a Milano dal 2 aprile 2025 al 3 agosto 2025. Oltre 200 le opere esposte: un dialogo tra grandi capolavori dell’arte moderna e reperti archeologici a cui si aggiungono decine di documenti, libri, fotografie, riviste.
«Etruschi del Novecento» è accompagnata da un prezioso catalogo, pubblicato da Johan & Levi Editore contenente i saggi delle curatrici e del curatore e testi di esimi studiosi e studiose come Matteo Ballarin, Fabio Belloni, Martina Corgnati, Alessandro Del Puppo, Maurizio Harari, Claudio Giorgione, Mauro Pratesi, Nico Stringa.
Veduta della mostra Estruschi del Novecento - Ph Mart.
Sottolinea la curatrice Alessandra Tiddia parlando della mostra, in un passo del suo contributo critico:
«Nel 2023, in occasione della visita alla mostra “Giotto e il Novecento” da me curata al Mart, Anna Mazzanti e Lucia Mannini mi confidarono il sogno di un progetto sulla fortuna dell’arte etrusca fra gli artisti del Novecento; oggi questo progetto si configura come la logica prosecuzione di una ricerca sulle radici identitarie dell’arte italiana dopo Giotto, e si inserisce coerentemente in quel filone di ricerca dedicato al confronto fra l’antico e il contemporaneo, promosso e sostenuto dal presidente del Mart, Vittorio Sgarbi.
«Nel corso della sua preparazione si sono affiancate le competenze preziose di un etruscologo di chiara fama come Giulio Paolucci e della Fondazione Luigi Rovati di Milano, nelle persone della presidente Giovanna Forlanelli e della direttrice Monica Loffredo, che con convinzione ed entusiasmo hanno voluto condividere questa avventura di ricerca e poi espositiva, dato che una seconda tappa della mostra avrà luogo negli splendidi spazi della Fondazione di corso Venezia a Milano, nell’aprile2025.
«Due mostre e un unico progetto, dedicato al fascino esercitato dal mondo etrusco sugli artisti del Novecento e declinato da due punti di vista differenti, in due sedi museali diverse per storia e vocazione.
«Il progetto è stato costruito con l’avvallo e il supporto dei principali musei etruschi in Italia e di Fondazione Luigi Rovati, che hanno generosamente concesso alcuni capolavori conservati nelle loro sedi, e grazie ai prestiti di prestigiose collezioni pubbliche, dalla Galleria Nazionale di Roma alle raccolte di Ca’ Pesaro, dalla Guggenheim di Venezia allo Stedelijk Museum di Amsterdam e il Musée Picasso di Parigi, oltre alla partecipazione di numerosi collezionisti privati e artisti, come per esempio Michelangelo Pistoletto, che hanno risposto alla chiamata con curiosità e generosità e a cui va il nostro più sentito ringraziamento […].»
Fausto Melotti, Tracce, 1975 - Collezione privata.
Al Mart «Etruschi del Novecento» si inserisce nel filone di progetti che confrontano e propongono dialoghi tra periodi storici differenti.
La mostra inoltre conferma la mission stessa del museo che tutela, studia e valorizza un patrimonio di opere e materiali d’archivio che guarda con particolare attenzione alle vicende dell’arte italiana nel XX secolo.
Alla mostra sono collegati una serie di eventi: un ciclo di appuntamenti nelle sedi delle mostre e fuori sede, in una sorta di “tour etrusco” contemporaneo.
A Rovereto e a Milano si susseguiranno presentazioni, talk, proiezioni, visite speciali; dal cinema alla letteratura, dal design all’artigianato.
Facciamo un salto all’indietro: il 19 maggio del 1916, nella località di Portonaccio presso Veio, Giulio Quirino Giglioli scopre un gruppo di grandi figure in terracotta, tra le quali un Apollo e una testa di Turms, nome etrusco del dio Mercurio.
Le sculture entrano a far parte delle collezioni del Museo di Villa Giulia a Roma in un’epoca che vede la nascita dell’Etruscologia, disciplina che si afferma nel corso degli anni Venti e Trenta con il primo Convegno Nazionale di Studi Etruschi (1926) e la fondazione dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi (1932).
In quel periodo si moltiplicano gli scritti dedicati allo studio sulla vita, sulla cultura e sull’arte etrusca, vengono pubblicati ampi repertori di immagini e anche nella letteratura si trovano tracce di questo interesse.
Il secondo dopoguerra vede un altro importante momento di approfondimento.
Nei primi anni Cinquanta Firenze ospita la Mostra di pittura etrusca e la Mostra della scultura etrusca, mentre tra 1955 e 1956 si svolge la Mostra dell’arte e della civiltà etrusca, una vasta rassegna scientifica che si avvale del lavoro dell’archeologo Massimo Pallottino.
La civiltà etrusca viene fatta conoscere così al grande pubblico e la terza tappa di questa mostra itinerante, tenutasi all’Aia, è intitolata «Il segreto degli Etruschi» per evocare l’atmosfera di mistero che in quell’epoca veniva associata alle civiltà non classiche.
Negli anni Ottanta, infine, spicca il Progetto Etruschi: una serie di iniziative culturali promosse da Ministero dei Beni Culturali e Regione Toscana nell’estate del 1985.
Da menzionare, fra le mete più antiche e suggestive del tour etrusco, Volterra con il museo Guarnacci, luogo amato da d’Annunzio che in questa città ambienta il romanzo «Forse che sì, forse che no», pubblicato nel 1909.
A colpire il poeta sono le silenziose presenze raffigurate sui coperchi delle urne, testimoni di una confidenza con la morte che risuona nella sensibilità decadente del Vate, per il quale il mondo etrusco rappresenta un'antichità alternativa a quella classica, sbilanciata sul côté dionisiaco, anti-apollineo e perciò anti-classico.
Una mostra ricca, quella proposta: lungo il percorso espositivo sono presenti anche opere che testimoniano la diffusione di un ampio mercato di copie e falsi come, ad esempio, una replica moderna del celebre Trono Corsini, scolpito nel marmo in epoca romana secondo lo stile etrusco.
Questo oggetto realizzato in terracotta dalla Manifattura di Signa campeggiava al centro del palco nella rappresentazione teatrale del dramma dannunziano «La città morta», andato in scena al Teatro Lirico di Milano nel 1901 con l’interpretazione di Eleonora Duse
Olla a reticolo, fine VIII-metà VII secolo a.C. - Fondazione Luigi Rovati, Milano.
I vasi canopi, utilizzati dagli Etruschi per contenere le ceneri dei defunti, sono caratterizzati da un coperchio modellato in forma di testa e, talvolta, da manici-braccia, come si vede in uno dei reperti provenienti dal Museo Civico Archeologico di Bologna.
Diffusi soprattutto nella zona di Chiusi, dove si praticava la cremazione, nel corso del Novecento affascinano e ispirano molti artisti. Si vedano, ad esempio, le figure ad anfora e l’accostamento tra teste e vasi nei quadri dipinti da Campigli tra gli anni Venti e Trenta o l’originale interpretazione del busto scultoreo nei ritratti che Manzù fa alla moglie Inge, dove il corpo diventa vaso.
Al contrario, il grande vaso di Fausto Melotti in ceramica smaltata evoca un corpo stilizzato, pur senza avere il carattere antropomorfo di altre sue opere.
Arturo Martini inizia a modellare l’argilla a Vado Ligure, in uno studio sotterraneo dalla cui penombra fuoriescono sculture come il Bevitore del 1928. Le forme anatomiche, ridotte al minimo essenziale, sono una sequenza di concavi e convessi, in una compattezza di volumi che unisce vaso e testa del bevitore evocando la dimensione del canopo arcaico. In mostra anche una selezione di gioielli: i primi esempi che imitano reperti archeologici appartengono alla manifattura romana dei Castellani, nella seconda metà dell’Ottocento.
Ma sarà soprattutto a partire dal secondo dopoguerra che nella creazione di ornamenti femminili emergono forme e tecniche di derivazione etrusca.
In conclusione, quella appena inaugurata al Mart di Rovereto è una mostra capace di incantare e sorprendere e merita davvero di essere visitata.
Daniela Larentis – [email protected]