Logopedia in età evolutiva – Di Nadia Clementi
Riconoscere i segnali e favorire lo sviluppo del linguaggio. Ne parliamo con la dottoressa Luisa Degasperi
Luisa Degasperi.
La logopedia in età evolutiva riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo delle competenze comunicative e linguistiche dei bambini.
Disturbi come la balbuzie, la disprassia verbale o il ritardo nell'acquisizione del linguaggio possono avere un impatto significativo sulla vita quotidiana e sull'apprendimento.
Riconoscere precocemente gli indici di rischio e sapere quando rivolgersi a uno specialista è cruciale per garantire un adeguato percorso di supporto.
Inoltre, genitori e insegnanti possono svolgere un ruolo attivo nel favorire lo sviluppo linguistico e comunicativo dei bambini.
Per approfondire questi temi, abbiamo il piacere di intervistare la dottoressa Luisa Degasperi, logopedista con un'ampia esperienza nel trattamento dei disturbi del linguaggio in età evolutiva.
Ha fondato il Centro S.O.S. Parole di Trento e creato un’équipe multidisciplinare composta da specialisti in logopedia, psicologia e neuropsichiatria e altre figure di tipo sanitario e non https://www.sosparole.it/
Nel corso della sua carriera ha collaborato con numerosi centri e istituzioni, il Centro Abilitativo «Il Paese di Oz» dell’Anffas di Trento, lo Studio Eufonia, il Don Calabria di Verona, il CNR per le ricerche di fonetica di Padova.
Ha maturato una solida esperienza nella diagnosi e nel trattamento di ritardi e disturbi del linguaggio sia primari che secondati, disfluenze, disturbi dell’apprendimento, oltre a occuparsi di casi complessi legati a paralisi cerebrale e sindromi genetiche.
Ha svolto attività di formazione per personale educativo e sanitario presso enti come la Federazione delle Scuole Provinciali dell’Infanzia di Trento e la Cooperativa Sociale Città Futura, oltre ad aver collaborato con Erickson Edizioni per lo sviluppo di strumenti di rilevazione precoce dei disturbi del linguaggio. Autrice di articoli e materiali utili a chi svolge la sua professione e del libro «Aiutare i bambini a parlare» edito da Carocci.
Sul piano accademico, è laureata in Logopedia presso l’Università di Padova e ha conseguito diversi master, tra cui in Disturbi Specifici dell’Apprendimento e Management Sanitario. Prosegue la sua formazione con corsi ECM su diagnosi e trattamento dei disturbi del linguaggio e dell’apprendimento.
Il curriculum a questro link.
Dottoressa Degasperi, quali sono le principali tappe dello sviluppo linguistico nei primi anni di vita?
«I bambini nascono con una capacità biologica di percepire e produrre il linguaggio, la cui stimolazione inizia già all’interno del grembo materno, in particolare nell’ultimo trimestre di gestazione in cui la placenta funziona come un filtro che lascia passare dei suoni dall’esterno verso l’interno.
«Entro i 10 mesi di vita presentano la lallazione, producono delle sequenze di sillabe ben formate che spesso i genitori riconoscono come parole.
«Si tratta, invece, di un allenamento automatico che porterà verso l’anno di età alla produzione delle prime parole con significato, come mamma, pappa, papà.
«Nello sviluppo tipico, ai 2 anni di età, presentano un vocabolario di circa 300 parole e ha inizio lo sviluppo della grammatica. In breve tempo passano dall’utilizzare frasi di tipo telegrafico, costituite da elementi singoli in successione composte da due paroline come mamma qui, pappa buona a sviluppare entro i 3 anni la capacità di produrre frasi sovrapponibili a quelle degli adulti di riferimento.
«A 4 anni si ritiene concluso lo sviluppo fonetico, ossia i bambini hanno a disposizione tutti i suoni della lingua o delle lingue a cui sono esposti per poterli utilizzare nel pronunciare correttamente le parole.
«Tra i 5 e i 6 anni si ampliano ulteriormente le frasi e diventano abili ne narrare gli eventi.»
Quali segnali possono indicare un possibile disturbo del linguaggio nei bambini?
«Il primo indicatore di possibili fragilità linguistiche è una fase di lallazione scarsa, assente o in ritardo che tipicamente avviene fra i 5 e i 10 mesi di vita e che indica come il sistema fonologico, che è alla base della produzione dei suoni e delle sequenze che compongono le parole, possa essere in qualche modo alterato.
«Si possono trovare poi differenti tipologie di segnali, i più frequenti riguardano i bambini che a due anni non parlano: spesso si mostrano abili comunicatori, ma utilizzano mimica e gestualità al posto delle parole.
«Alcuni di loro sono semplicemente in ritardo, una volta che iniziano ad esprimersi verbalmente in poco tempo, generalmente entro i 3 anni, si portano al pari dei coetanei, tanto che in letteratura vengono definiti late bloomers.
«Altri bambini, invece, ai 3 anni di età, periodo che corrisponde più o meno all’ingresso in scuola dell’infanzia, si esprimono anche molto, ma utilizzano un linguaggio semplificato che può risultate poco comprensibile ad un ascoltatore non abituato, con conseguenze alle volte negative negli aspetti relazionali con i pari e di comportamento.
«Un ulteriore indice riguarda la fatica a trovare le parole rapidamente quando i bambini vogliono esprimere un concetto, alla base del quale ci potrebbe essere una difficoltà di accesso al lessico o la fatica nella strutturazione di una narrazione, con frasi non sempre legate coerentemente fra loro o incomplete.
«All’interno dei ritardi e disturbi del linguaggio si inseriscono numerose alterazioni, fra le quali anche quelle a livello pragmatico della comunicazione: è importante che il bambino sappia mettersi in contatto oculare con l’interlocutore, che utilizzi un linguaggio originale e non delle parole o frasi ripetute dai cartoni animati e che mostri intenzionalità nel comunicare con l’altro.»
A che età è consigliabile rivolgersi a uno specialista se un bambino non parla ancora?
«Consiglio per prima cosa di non allarmarsi e di vivere la valutazione logopedica con serenità. Si tratta di un momento in cui il logopedista osserva in setting semi strutturato le modalità di comunicazione e interazione fra i genitori e il bimbo, che viene accolto in una stanza di giochi e messo a proprio agio in un contesto ecologico e rispettoso delle sue caratteristiche.
«Quando un genitore o il pediatra hanno un qualsiasi dubbio meglio approfondire immediatamente ed escludere eventuali deficit in quanto il linguaggio si struttura primariamente nella fascia di età 0-3 anni per poi completarsi fra i 3 e i 6 anni e perfezionarsi entro i 12 anni.
«Ci sono aspetti linguistici che continuano a espandersi anche in età adulta come la conoscenza di parole, altri che sono invece prescrittivi e che difficilmente possono essere modificati dopo l’adolescenza.
«Sicuramente se il proprio bambino dopo i 4 anni non parla ancora chiaramente meglio affidarsi a uno specialista innanzitutto perché è un’età in cui il linguaggio diviene il mezzo di comunicazione e interazione privilegiato fra i pari e i bambini che si esprimono poco o male tendono ad essere esclusi dalle dinamiche di gioco ed anche perché la maggior parte dei bambini che poi a scuola primaria presentano un disturbo dell’apprendimento sono bambini che hanno avuto delle fragilità nel linguaggio e quindi ad alto rischio, che può essere prevenuto o perlomeno attenuato grazie alla terapia logopedica.»
Quali sono le principali caratteristiche della balbuzie in età evolutiva e come può essere trattata?
«La balbuzie si presenta, generalmente, verso i 30 mesi di età, ma può esordire anche in momenti successivi dello sviluppo, in particolare ai 6/7 anni o in adolescenza. Si tratta, quasi sempre, quando l’esordio è precoce, di alterazioni maturative, che in breve tempo, come si sono manifestate, scompaiono spontaneamente.
«Ci sono degli indici di rischio che ci possono segnalare quando la balbuzie potrebbe non essere passeggera e che portano a una presa in carico anche di tipo preventivo per evitare di arrivare ad un aggravamento progressivo come spesso succede, purtroppo, quando viene ignorata.
«I bambini, solitamente, dall’oggi al domani iniziano a ripetere la sillaba iniziale delle parole (ba ba balena) a bloccarsi sul suono iniziale delle parole (b b balena), a ripetere intere parole più volte (la balena balena grande) in associazione o meno a evidenze fisiche, come diventare rossi in viso, evidenziare sforzo, muovere parti del corpo, evitare di guardare negli occhi la persona a cui stanno parlando.
«In alcuni casi, soprattutto quando la gravità dei sintomi è sfumata, i bambini continuano a parlare senza mostrare disagio, in altri casi si assiste ad una inibizione della comunicazione verbale, preoccupazione o arrabbiatura nei confronti delle parole che non riescono più a pronunciare.
«Spesso chiedono cosa stia succedendo, perché non riescano più a dire le parole; in questo caso è necessario agire subito mediante un trattamento della disfluenza che nei bambini è prima di tutto ambientale con un parent training rivolto ai familiari, ma anche agli operatori, educatori ed insegnanti a seconda degli ambienti sociali che i bambini frequentano giornalmente.
«Per i bimbi dai 6 anni ci sono anche tutta una serie di attività che si possono proporre per attenuare la sintomatologia e aiutarli ad esprimersi con maggiore facilità.
«In alcuni casi, in particolar modo per i ragazzini, è importante intervenire associando logopedia e psicoterapia a favore del benessere emotivo del piccolo paziente nell’ottica di accettazione della propria caratteristica.
«Un consiglio ai familiari è quello di cercare di dare meno peso possibile alla balbuzie, nel senso di evitare di trasmettere le proprie ansie al bambino che vanno a peggiorare i sintomi di questa caratteristica.
«Utile risulta il rallentare il proprio modo di parlare quando ci si rivolge direttamente al bambino in modo da favorire le funzioni dei neuroni a specchio, cercando di guardarlo negli occhi e rassicurarlo che si tratta di una cosa che può capitare, mettendo in atto anche su se stessi alcune ripetizioni della sillaba iniziale delle parole in modo da normalizzare la situazione mediante desensibilizzazione.
«È bene rivolgersi al logopedista quando i sintomi persistono oltre i 6 mesi dalla prima comparsa e in tutti i casi in cui il bambino sia limitato nell’esprimersi o mostri disagio.»
La disprassia verbale: di cosa si tratta e quali difficoltà comporta nel bambino?
«La Disprassia Verbale Evolutiva è una alterazione del linguaggio che riguarda gli aspetti motori di pianificazione e realizzazione dei movimenti che stanno alla base di poter produrre vocali e consonanti e riuscire a coarticolarle fra loro per realizzare le parole.
«I bambini che presentano questa patologia spesso mostrano un quadro di disprassia generalizzato, che interessa anche il corpo, per questo un tempo definiti bambini goffi Non sempre è così, ma molto frequentemente.
«Le fatiche linguistiche sono marcate, anche quando si ha una lieve disprassia verbale il linguaggio risulta alterato in modo significativo. Ne risentono non solamente la pronuncia dei suoni e delle parole ma anche l’intonazione del linguaggio che appare rallentata e tende ad essere monotono.
«Nei casi più gravi si assiste purtroppo all’assenza di linguaggio orale e all’impossibilità di svilupparlo, motivo per cui la comunicazione dei bambini viene sostenuta con le immagini, ad esempio utilizzando la comunicazione aumentativa alternativa anche per mezzo di ausili come comunicatori e tablet.»
Quali strumenti diagnostici vengono utilizzati per identificare i disturbi del linguaggio?
«Prima dei 4 anni di età esistono pochi strumenti diagnostici nella nostra realtà, in conseguenza la valutazione dei bambini più piccoli viene svolta mediante una osservazione qualitativa e grazie a strumenti come questionari e screening che guidano il professionista nell’identificazione delle caratteristiche di atipia presenti nello sviluppo linguistico del bambino.
«L’esperienza e formazione del professionista fa sicuramente la differenza. Indispensabile, quando ci si rivolge al logopedista, informarsi sulla competenza dello stesso nell’ambito di cui si ha necessità di valutazione in modo da poter essere certi del riscontro dato, in particolar modo per i bimbi fino ai 48 mesi.
«A porre diagnosi di ritardo o disturbo del linguaggio è il medico neuropsichiatra infantile che si confronta con psicologhe e logopediste per gli approfondimenti del caso.»
In che modo i genitori possono stimolare il linguaggio del bambino a casa?
«Il sostegno allo sviluppo del linguaggio è fondamentale per ogni bambino, in particolare in questo momento storico dove oramai è evidente che il cervello dei piccoli si sta superspecializzando per tutti gli stimoli che passano attraverso il canale visivo, mentre le loro capacità di ascolto e attenzione uditiva stanno divenendo sempre più deboli.
«Poiché il linguaggio orale, ma anche quello scritto, si sviluppano sulla base di una integrazione di entrambe queste competenze (visuo/percettive e uditive) pare importante stimolarne lo sviluppo.
«Per prima cosa una buona abitudine è quella di leggere delle brevi storie, anche alla sera prima dell’addormentamento, che siano reiterate, cioè ripetute più volte nel tempo. Alle volte guardando assieme le immagini, alle volte solo narrate.
«Questo è un buon allenamento a sostengo dell’attenzione uditiva e della tenuta in ascolto, oltre che per l’arricchimento lessicale, morfo-sintattico e narrativo. Per la costruzione delle frasi sono molto efficaci i libriccini costruiti con la C.A.A., che dovrebbero essere disponibili in ogni casa, nido e scuola dell’infanzia.
«Un altro aspetto importante è quello di giocare assieme ai propri figli, non sempre il gioco autonomo è un pregio, la condivisione dell’attività, lo scambio di turno, di ruolo e la possibilità di nominare gli oggetti utilizzati e le azioni svolte sono tutti aspetti che sostengono significativamente lo sviluppo linguistico a tutti i livelli.
«Giocare, inoltre, con le parole inventate, che non esistono, associandole a nomi di personaggi di fantasia o utilizzarle come parole magiche come Bidibodibibu aiutano lo sviluppo del sistema fonologico, che permette la pronuncia corretta dei suoni e delle parole. Anche il nominare con brevi frasi le azioni quotidiane ripetitive è molto importante per lo sviluppo della grammatica: mettiamo la giacca, andiamo dalla nonna, facciamo i biscotti.
«Da evitare la richiesta di ripetere, il dillo bene o non si dice così per non mortificare i bambini con modalità non efficaci a correggere il sistema di pronuncia corretta delle parole, ma esclusivamente la singola parola, invece nominare correttamente le parole (il bambino dice voio lato, l’adulto produce voglio gelato).
«Con i bimbi di 5 anni che sono prossimi all’ingresso in scuola primaria è di aiuto giocare a identificare le parole che iniziano con una data sillaba (che parole ci vengono in mente che iniziano con pa…pane, papà, pasta, palla ) e imparare a fondere e segmentare le parole (ti dico dei pezzettini di parola prova a indovinare che parola è pa-pausa di 2 secondi-ne…pane e il contrario: ti dico una parola proviamo assieme a dividerla in pezzettini, anche usando il battito delle mani o altri movimenti per scandire la sillaba pane… pa-ne.»
Quali strategie possono adottare gli insegnanti per supportare al meglio gli alunni con difficoltà linguistiche?
«Se i bambini sono presi in carico presso servizi pubblici, accreditati o privati è bene che la scuola si attenga a quanto condiviso negli incontri di equipe previsti.
«Per ogni bambino con difficoltà di linguaggio ci sono degli aspetti specifici che prevedono strategie personalizzate, non è possibile generalizzare proprio in relazione all’estrema variabilità dei bambini con disturbo del linguaggio che si differenziano per molte caratteristiche.
«I percorsi di sostegno allo sviluppo del linguaggio nei bambini che hanno una alterazione in questo ambito devono essere personalizzati, altamente individualizzati e variano anche rapidamente nel tempo, di conseguenza non è possibile dare dei consigli generalizzabili; è, però, possibile dare delle indicazioni per sostenere lo sviluppo di tutti i bambini, sia con fatiche certificate che senza apparenti fatiche, proprio nella considerazione che il linguaggio sta facendo sempre più fatica a mantenersi qualitativamente adeguato nelle nuove generazioni.
«Un aspetto da curare riguarda l’organizzazione dei giochi nell’ambiente, aiuta molto associare scatole di colori differenti a categorie di oggetti, che possono essere semantiche, quindi ad esempio nella scatola verde tutti gli animali della fattoria, nella scatola rossa tutti i mezzi di trasporto, nella scatola gialla tutti i cibi della cucinetta e così via oppure percettive, nella scatola verde tutti gli oggetti verdi, nella scatola rossa tutti gli oggetti rossi, nella scatola gialla tutti gli oggetti gialli e così via.
«Altro aspetto fondamentale l’etichettatura delle scatole con una foto di quello che ogni scatola contiene e l’etichettatura delle scatole dei cibi che si usano in cucinetta.
«Nell’angolo morbido avere sempre a disposizione albi illustrati, libri sullo stile Altan con la frase a sinistra e l’immagine a destra e libriccini strutturati in Comunicazione Alternativa Aumentativa.
«Durante le attività di motricità prevedere dei percorsi e associare sillabe differenti a movimenti differenti, ad esempio quando si salta LA, quando si cammina PA, quando si entra nel cerchio TO e via così; la produzione delle sillabe deve essere svolta dall’adulto e assieme ai bambini saranno da eseguire i movimenti associati, come fossero dei comandi motori.
«Realizzare dei cartelloni come sfondo, ad esempio azzurro per il cielo, verde per il prato etc., preparare dei cartoncini da attaccare con per il cielo rondinelle e nuvolette, quando l’insegnante pronuncia FA ogni bambino prende la rondinella e la attacca sullo sfondo, quando pronuncia VA ogni bambino prende la nuvoletta e la attacca sullo sfondo, con attenzione a mettere a contrasto VA/FA, PE/BE, TI/DI, CIO/GIO, CU/GU associando ogni coppia a uno sfondo ed elementi differenti, come ad esempio nel mare pesci e stelle marine, in montagna scoiattoli e funghetti, sul prato fiori ed api e così via. Le parole sono essenziali, la scuola dell’infanzia è il regno del lessico, quindi, mi sento di dire a tutti gli insegnanti di continuare come già fanno e di sostenere le attività come il cerchio magico, all’interno del quale potersi passare la palla nominando una parola ad ogni via e il telefono senza fili da poter fare sia con le parole che con le non-parole, ossia parole inventate che non esistono.
«Le canzoni socializzanti che associano mimica, gestualità, suoni onomatopeici e parole sono molto utili, così come l’inserimento in canzoncine note di ritornelli composti dalla ripetizione della stessa sillaba: Il coccodrillo come fa…PA PA PA PA PA, non c’è nessuno che lo sa TA TA TA TA. In conclusione, tenere sempre presente che l’unità base del linguaggio parlato è la sillaba e come tale riveste una importanza fondamentale, sia in percezione che in produzione e di conseguenza andrebbe proposta nelle attività di gioco il più possibile.
«Tutte le attività in movimento o statiche che vanno a potenziare la memoria a breve e lungo termine sono le benvenute, sia che si tratti di percorsi da memorizzare, sia di step per cura delle piante o per la realizzazione di ricette, sia degli script per le attività quotidiane come il lavarsi le mani o l’allacciatura dei bavaglini, sia i quaderni delle attività che permettono ai bambini di riprenderle e raccontarle come le hanno vissute anche molto tempo dopo averle sperimentate.»
Qual è il percorso terapeutico più indicato per i bambini con disturbi del linguaggio?
«La terapia adeguata prevede il trattamento logopedico, che nei casi di disturbo primario del linguaggio può essere anche risolutivo, nei casi di disturbo specifico maggiormente severo, di disprassia verbale, disfluenza o nei disturbi secondari a quadri clinici complessi è efficace per far migliorare al massimo i bambini in quel momento della loro evoluzione, in base alle possibilità di ciascuno. In molte occasioni la logopedia va preceduta, accompagnata o seguita da altri trattamenti.
«Dopo una prima valutazione, si pongono degli obiettivi realistici da raggiungere che vanno condivisi con i genitori e, quando utile, col contesto sociale più ampio. In logopedia una accurata valutazione è indispensabile per poter identificare con precisione cosa possa essere raggiunto e cosa no. Il percorso di trattamento varia da uno a più incontri settimanali durante i quali, per prima cosa, si deve conquistare la fiducia relazionale del bambino, per poter lavorare in serenità attraverso differenti modalità a seconda del caso specifico e con strumenti vari, quali il gioco con giocattoli, giochi in scatola, Tablet, PC o ausili personalizzati.
«Personalmente propongo un approccio molto giocoso in cui il gioco diviene il mezzo attraverso il quale veicolare gli stimoli tecnici che sono utili al miglioramento del linguaggio verbale.
«Spesso i bambini che seguo alla domanda da parte dei genitori cosa avete fatto di bello? rispondono che hanno solo giocato, questo per i genitori può essere disorientante, mentre per me è la conquista più grande, essere riuscita a nascondere il lavoro tecnico nel gioco.
«Solo quando un’attività risulta motivante per il bambino genera apprendimento. L’approccio di tipo ecologico permette anche a quei bimbi che devono seguire la terapia logopedica per anni di farlo con serenità mantenendo la motivazione anche sul lungo termine.
«Ci sono anche altre modalità di approccio, in questo momento storico sono molto in voga i metodi, spesso importati da altre nazioni, con evidenze su altre lingue che vengono semplicemente tradotti e applicati, che hanno dei limiti ma possono essere utili in alcuni casi specifici.
«Ritengo che lo spessore di un professionista dipenda molto dall’ampia formazione che gli permette di applicare una metodologia individualizzata sul singolo caso, grazie alla conoscenza dei metodi maggiormente adatti e all’assemblamento di parti di essi o alla proposta diversificata in momenti diversi dello sviluppo.»
Il lavoro dell’équipe multidisciplinare è fondamentale in questi casi. Come avviene la collaborazione tra logopedisti, neuropsichiatri infantili e psicologi nel vostro centro?
«Il lavoro in equipe multidisciplinare è indispensabile sempre, in quanto permette di osservare e interpretare quello che si è osservato a 360 gradi grazie alle differenti professionalità.
«Per quanto riguarda i disturbi primari del linguaggio (non parliamo ovviamente di quei bambini a cui manca la R o pronunciano male la S) la diagnosi, ad oggi, si pone per esclusione, cioè si tratta di bambini che non hanno alterazioni cognitive, neurologiche, psicologiche o strutturali tali da avere come conseguenza un disturbo del linguaggio che, in questo caso, viene definito secondario.
«È necessaria, quindi, una valida collaborazione fra il medico Neuropsichiatra Infantile, gli psicologi e i logopedisti che unendo le loro valutazioni quantitative e qualitative possono delineare un quadro chiaro del caso e giungere al corretto inquadramento clinico.
«Senza un quadro clinico completo si lavora sulle sabbie mobili, si procede per tentativi, che non sempre vanno a buon fine e, comunque, fanno perdere dei tempi che all’età dei bimbi di cui stiamo parlando possono essere preziosi.
«Mi è capitato in questi trent’anni di professione di seguire bambini con percorsi di trattamento già svolti in precedenza non adatti alle loro caratteristiche proprio per mancanza di un inquadramento clinico accurato.»
Quali sono i principali pregiudizi o falsi miti legati alla logopedia in età evolutiva?
«La fatica con cui ci confrontiamo spesso è la paura della reazione dei propri figli a una valutazione clinica, che, nella realtà, non è per nulla invasiva. Quando i genitori mi chiedono cosa devono dire ai bambini, suggerisco di spiegare che andranno a giocare assieme in una stanza piena di giochi e ci sarà Luisa che farà vedere loro dei giochi nuovi e delle figure molto carine.
«Quando i bambini sono consapevoli delle proprie difficoltà di linguaggio, questo succede in genere dai 5 anni di età, consiglio di spiegare che andranno assieme dalla logopedista che è una persona che aiuta i bambini a parlare e che assieme faremo dei giochi, utilizzeremo dei magnetici e forse chiederò loro di fare cose un po’ buffe, come delle smorfie. Un altro pregiudizio è la convinzione che ci sia un è troppo piccolo, è presto, non è pronto, quando in realtà sta allo specialista riuscire ad organizzare il setting e le proprie modalità e attività in base alle caratteristiche di età o di immaturità dei bambini.
«Quando un genitore ha un sentore o un dubbio consiglio di accoglierlo ed ascoltarlo senza farsi guidare dai consigli esterni, difficilmente i genitori che hanno questa sensibilità sbagliano. Per fortuna la maggior parte dei bambini che effettuano la valutazione logopedica non hanno bisogno di un percorso, ma è sempre meglio essere sereni grazie ad un approfondimento svolto da un logopedista che può indicare se ci sia o meno un problema, di che natura sia e se ci sia bisogno o meno di un percorso logopedico diretto o indiretto o di altri approfondimenti.
«La presa in carico precoce sarebbe auspicabile in tutti i casi, in quanto il cervello è molto attivo verso il linguaggio fino ai 5 anni e poi un po’ alla volta tende ad essere sempre meno manipolabile.
«Come falso mito mi ritrovo spesso ad essere considerata una tuttologa, come se migliorando il linguaggio potessero scomparire altre caratteristiche del bambino, in particolare quelle legate a comportamenti non appropriati che vengono imputati alle difficoltà di linguaggio, ma che spesso sono indipendenti da queste e spesso legate a carenze educative.
«Un altro falso mito è la convinzione che più si fa logopedia più si ha la possibilità di risolvere completamente i problemi di linguaggio, purtroppo non è così. I limiti sono personali, la risposta al trattamento è soggettiva, la gravità del quadro linguistico e l’età di presa in carico sono fondamentali per la prognosi.
«Sicuramente la logopedia riesce a spingere sul linguaggio il più possibile per quel bambino in quel momento del suo sviluppo, purtroppo non sempre può essere risolutiva.
«Non bisogna, però, esagerare con l’esposizione alla logopedia sia per il benessere emotivo dei bambini, sia perché le tecniche applicate creano comunque una certa rigidità nel sistema linguaggio; ad ogni obiettivo raggiunto nel setting ci deve essere un accompagnamento alla generalizzazione che prevede anche dei tempi di sospensione della terapia che sono soggettivi e variano da bambino a bambino.»
Quanto è importante il coinvolgimento della famiglia nel percorso logopedico?
«La collaborazione della famiglia nel percorso logopedico è essenziale, sia nel fare che nel non fare a seconda di obiettivi e momenti del trattamento. Si lavora spalla a spalla indicando ai genitori come rivolgersi a loro, in che contesto, quali stimoli inserire spiegandone le motivazioni. I genitori non devono diventare i terapisti dei propri figli, quindi, i consigli vengono calibrati in base a quello che possono fare mantenendo il loro ruolo di genitori, che non deve essere snaturato.
«Quando la famiglia non crede nel percorso o non lo sente adatto o necessario per i propri figli risulta difficile avere un risultato positivo, di conseguenza il coinvolgimento della famiglia che inizia a vedere i primi miglioramenti ed è consapevole che derivano anche dal loro impegno è fondamentale alla buona riuscita del trattamento.
«Questo ruolo assume ancora maggiore importanza nelle fasi di mantenimento del risultato raggiunto, durante i quali vengono spiegate attività e consegnati materiali per tenere vivo l’apprendimento nel periodo di sospensione della logopedia per poi poter ricominciare con le acquisizioni ben stabilizzate e procedere con la costruzione di una competenza linguistica successiva.
«Immaginate il linguaggio come una parete, prima si lavora per mettere delle buone basi e poi si costruisce verso l’alto, il ruolo della famiglia è quello di permettere al cemento di seccarsi per mantenere stabili i mattoni man mano che si sale.»
Quali risorse o servizi offre il vostro centro per supportare le famiglie in questo percorso?
«Il nostro è un ambulatorio di logopedia con autorizzazione sanitaria, ma all’interno di S.O.S. Parole svolgono la loro libera professione molte figure indispensabili al lavoro di equipe.
«Il Neuropsichiatra infantile può porre diagnosi e verificare la presenza o meno di alterazioni neurologiche, le Psicologhe sono specializzate in diversi ambiti: alcune in psicoterapia, supportano la famiglia quando necessario e seguono i ragazzi più grandicelli per aiutarli a superare le fatiche emotive legate ai disturbi del linguaggio e dell’apprendimento (spesso conseguenti), alcune sono formate anche in metodo di studio e affiancano i bambini della primaria e i ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado, altre sono specializzate in neuropsicologia dell’età evolutiva e svolgono le valutazioni che permettono di tracciare un profilo di funzionamento del bambino così da poter orientare verso la diagnosi più adeguata e i trattamenti maggiormente efficaci.
«La terapista della riabilitazione psichiatrica collabora nei casi di autismo o disturbi severi del comportamento, coinvolgendo famiglia e scuola mediante modalità condivise efficaci. Le pedagogiste, di cui una specializzata sulla fascia 0-6 e una che si occupa di bambini più grandicelli, lavorano su aspetti anche di tipo educativo, che sono fondamentali nel percorso di tanti bambini e delle loro famiglie.
«Ci sono poi altri professionisti che però non entrano in gioco nei bambini con disturbo del linguaggio primario, ma in altre patologie, come l’ortottista indispensabile per alcuni quadri sindromici, nei casi di disprassia e nei disturbi di apprendimento.
«Collaboriamo anche professionisti esterni sia pubblici che privati, come ad esempio terapiste della neuropsicomotricità, psicomotriciste, ottico-optometrista, otorino, foniatra, dentista specializzato in ortodonzia pediatrica.
«Per supportare le famiglie abbiamo, inoltre, attivato un aiuto compiti nella giornata del venerdì pomeriggio dedicato ai bambini con disturbo dell’apprendimento e bisogni educativi speciali e un campo estivo di logopedia che quest’anno sarà dedicato al potenziamento delle funzioni esecutive, abilità che sono fondamentali sia per il linguaggio orale che per il linguaggio scritto, nel quale tutte le attività sono proposte da specialiste logopediste col supporto di un team di educatori che ha permesso negli anni di rendere il campus super divertente ed efficace. Serate a tema sia in presenza che in webinar dedicate a comprendere meglio i disturbi del linguaggio e le modalità per sostenere lo sviluppo delle competenze orali dei bambini.»
Ringraziamo la dottoressa Luisa Degasperi per la sua disponibilità e per il prezioso contributo nel sensibilizzare su un tema così importante per il benessere e lo sviluppo dei bambini.
Nadia Clementi – [email protected]
Luisa Degasperi - [email protected]
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