La «vie en rose» di Albino Armani – Di Giuseppe Casagrande

La storica azienda della Valdadige presenta il Foja Zicolà, un rosato ancestrale che nasce da viti centenarie al confine tra le province di Trento e Verona

Abino Armani con la moglie Egle Capilupi e il figlio Federico nei vigneti della Valdadige.

C'è foglia e foglia. Osservando le foglie dei tralci delle viti - mi ha confidato un agronomo della Scuola Enologica di Conegliano - possiamo intuire se riusciremo ad ottenere un buon vino, mediocre o eccellente.
La conferma l'abbiamo avuta confrontando le foglie di due vitigni autoctoni della Valdadige, figli della domesticazione della Vitis Vinifera Silvestris: il Lambrusco Foja Tonda e il Lambrusco Foja Zicolà a foglia frastagliata.
Vitigni - va precisato - che non vantano alcun grado di parentela con i Lambruschi emiliano-romagnoli.
Entrambe le varietà, anticamente chiamate «Labrusche» o «Ambrusche» (dal latino labrum che significa ai margini), erano coltivate da tempo immemorabile nelle ischie e al limitare dei boschi della Valdadige tra Ala, Avio e Brentino Belluno.
Sono delle autentiche rarità che Albino Armani custodisce gelosamente nel «sancta sanctorum» della Conservatoria, la collezione di varietà autoctone e ancestrali dell'azienda vitivinicola della Valdadige, al confine tra le province di Trento e Verona.
 
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I vigneti dell'azienda Albino Armani tra le due sponde del fiume Adige.

 
 L'azienda Albino Armani 1607, una storia lunga oltre 400 anni  

C’è un filo sottile che lega le storie più antiche a ciò che di più contemporaneo possiamo immaginare.
È lo stesso filo che attraversa i filari di un vigneto di fine Ottocento (poco più di un ettaro e mezzo) adagiato sulle rive del fiume Adige su terreni sabbiosi e limosi, sopravvissuto alla fillossera, a due guerre mondiali e al passare del tempo.
Qui, nel cuore della Valdadige, Albino Armani, viticoltori dal 1607, firma un nuovo capitolo della sua lunga storia enologica con il «Foja Zicolà», un rosato in edizione limitata di 3.000 bottiglie che porta con sé l’eredità autentica di una delle varietà più storiche della valle: il Lambrusco a foglia frastagliata: il «Foja Zicolà».
«Foja Zicolà» ricorda il dialetto locale e la natura stessa dell’uva da cui nasce. Un nome che suona genuino, come la sua storia.
Perché questo vino - che fa parte della Conservatoria, la collezione di etichette dedicata al recupero delle varietà autoctone e ancestrali - nasce proprio dall’idea di non dimenticare.
Ma non solo: nasce anche per riattualizzare, per raccontare un territorio e un’identità culturale con un linguaggio nuovo, comprensibile anche per chi oggi si avvicina al vino cercando freschezza, autenticità e una narrazione sincera.
 
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 Un vino ancestrale, fresco, sapido e di grado alcolico contenuto  

«Foja Zicolà» è il risultato di una visione aziendale coraggiosa e per certi versi anche un po’ rivoluzionaria.
Un vino intergenerazionale, che ha origine da un vigneto che racconta di una viticoltura antica - dove tra un filare e l’altro crescevano patate e legumi - per trasformarsi in un prodotto contemporaneo, fresco, sapido, con una struttura sottile, ma di carattere e un grado alcolico contenuto (11 gradi).
«Un vino che guarda al futuro ripercorrendo fedelmente il passato - spiega Albino Armani - perché è così che lo facevano i nostri nonni. Un vino ancestrale che torna a raccontare la nostra Valle.»
Concetto ribadito dal figlio Federico:
«Il nostro vigneto respira quest'aria ancestrale da più di cent’anni: è un giardino austero e vivo, un ecosistema che ha resistito alla storia.
«Nel Novecento da noi la Foja Zicolà si vinificava leggera, sfruttando la varietale tannicità dell’uva e la sua acidità vivace.
«Oggi scegliamo di tornare a quella lettura, autentica, essenziale, fresca. Perché il vino può, anzi deve essere anche memoria liquida.»
 
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Le etichette friulane Terre di Plovia presentate a Vinitaly da Federico Armani.

 
 L'etichetta riproduce stralci di antiche dispense e testi ottocenteschi  

«Questa nuova etichetta – aggiunge Federico Armani – non è soltanto un omaggio alla tradizione dei nostri nonni: è, piuttosto, la fotografia più autentica e fedele di un vigneto unico, che parla con voce propria.
«Il nostro compito non è quello di inventare, ma di ascoltare e interpretare ciò che la vigna ha da raccontare, nel rispetto della sua natura profonda e del suo limite.
«Un impianto così antico, franco di piede e con una densità di ceppi per ettaro molto bassa, offre una produzione tesa a vini snelli e leggeri che non può - né deve - essere forzata verso stili che non le appartengono.
«Da queste vecchie viti non nascerà mai un vino di grande estrazione e corpo, sarebbe un errore tentare di piegarlo a modelli lontani dalla sua identità.
«Questo è, a tutti gli effetti, un vigneto-museo, che custodisce una memoria agricola e culturale irripetibile.
«Il progetto Conservatoria nasce proprio con questa finalità: proteggere e valorizzare la storia della viticoltura della nostra valle senza snaturarne l’essenza, accogliendone anche fragilità e limiti, che ne rappresentano l’anima più vera.»
 
La vinificazione - interamente in acciaio, con una breve macerazione a freddo per esaltare i profumi e il colore varietale - lascia spazio alla naturale espressività dell’uva, senza sovrastrutture.
Risultato: ne nasce un vino versatile: ideale al calice, perfetto a tavola.
Colore rosa cerasuolo brillante, sprigiona profumi freschi e intensi di fragoline di bosco, ciliegia e fiori di campo.
In bocca è vivace, fresco e piacevolmente fruttato, con un perlage fine e persistente.
Perfetto come aperitivo, si abbina splendidamente con i piatti della tradizione veneta e trentina, ma anche con una cucina più esotica e speziata, dove acidità e sapidità possono trovare la giusta collocazione.
 
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 Un rosato che attraversa il tempo e accorcia le distanze tra generazioni  

L’etichetta, un dettaglio che non è solo estetica, ma anche contenuto, riproduce stralci di antiche dispense e testi ottocenteschi in cui si parlava per la prima volta della fillossera e si iniziava a comprendere il valore dei terreni sabbiosi.
Piccole tracce del passato che oggi rivivono, come le viti stesse da cui tutto ha preso forma.
Foja Zicolà è più di un rosato. È un vino che attraversa il tempo, accorcia le distanze tra generazioni, riporta in primo piano il valore delle varietà autoctone e il senso profondo di un mestiere che non si fa solo con le mani, ma anche con la memoria e con la visione.
Un nuovo tassello nella linea della Conservatoria, dunque, che già custodisce con orgoglio il «Foja Tonda» (Casetta DOC Valdadige Terradeiforti) e la «Nera dei Baisi» che hanno ispirato anche la nascita della tenuta Terre di Plovia in Friuli-Venezia Giulia, dove si coltivano alcune varietà rare come lo «Sciaglin», l'«Ucelut» e il «Piculìt Neri».
Etichette che rappresentano modi diversi di custodire e interpretare l’Italia vitivinicola più profonda, a cui oggi si aggiunge il «Foja Zicolà», per proseguire un racconto che vive nella terra prima ancora che nella bottiglia.

In alto i calici. Prosit!
Giuseppe Casagrande – [email protected]

Albino Armani davanti alla Conservatoria dell'azienda.
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