La lunga attesa del padre – Di G. Maiolo, psicoanalista

I nuovi giovani non sognano più la California. E senza sogni la sofferenza si dilata e la sfiducia esonda

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È passata da poco l’annuale ricorrenza di San Giuseppe, e ogni volta ritorna il tema del padre anche se di questi giorni ciò che prevale è l’aspetto commerciale della festa.
Eppure l’iconografia classica del padre-falegname da sempre allude alle funzioni paterne che sono di colui che dona al figlio non solo l’esistenza ma il tempo e ciò che il padre-artigiano produce.
Questo padre è la rappresentazione dell’idea che si può vivere della propria energia creativa con cui costruire la vita e dare significato al «qui e ora».
Ma la condizione «sine qua non» per un padre siffatto è quella di «esserci» per il figlio, averlo nel proprio pensiero.
 
Perché si cresce solo se pensati, se si appartiene alla mente di un padre che da un certo tempo a questa parte ormai, ha smesso la corazza e si è tolto l’elmo del guerriero diventando più affettivo che comandante, più dolce che severo.
Quello che sembra non abbia ridotto è la smania del fare e l’impazienza.
I figli così lamentano la sua distanza e quella taciturna presenza che lo hanno reso trasparente anche quando fisicamente è presente. Per cui vien da chiedere, come fa Massimo Recalcati: «Cosa resta del padre?» (Raffaello Cortina Editore).
 
Ricordo che una volta un adolescente, parlando del padre, mi disse: «Sarebbe meglio un padre morto piuttosto che averlo e non poterselo godere».
Presi dagli obblighi quotidiani, dallo sfilacciamento dei rapporti familiari e dalla perdita dell’autorità, in effetti i padri di oggi appaiono deboli, troppo distanti dalla scena dei figli, spesso incapaci di coniugare il desiderio con le regole, l’importanza dell’autonomia con la necessità dei limiti.
Se poi li ritroviamo anche inabili nell’intercettare il dolore interno giovanile che sconfigge, come può aiutare la crescita? Come sostenere il cambiamento e la fatica delle trasformazioni?
 
I nuovi giovani, lontani dai conflitti generazionali che in passato alimentavano le turbolenze con il padre-guerriero, non sognano più la California. E senza sogni la sofferenza si dilata e la sfiducia esonda.
Così alcune di queste adolescenze fuggono dalle relazioni, a volte si barricano dentro le camere-utero protettrici e salvifiche.
È allora che gli adolescenti si ritirano per un tempo indefinibile e si fermano in attesa di un padre che entri in scena.
Molti lo chiamano a gran voce e lo invocano, oppure, incapaci di contenere il dolore interno, si fanno del male per star bene, si tagliano non per morire, quanto per tentare di controllare quella sofferenza mentale ingovernabile.
 
Negli adolescenti che incontro, è l’angoscia per il futuro che prevale ma anche la lunga attesa di un padre.
Ma un figlio non può attendere che il padre si manifesti e metta mano alle sue funzioni. Il rischio oltre alla rabbia e alla delusione è di perdersi a inseguire false effigi di autorità che illudono…
Urge una rinnovata autorevolezza paterna, capace di pazienza e fiducia, perché si cresce da soli, con sempre meno certezze e senza parole, quelle che servono quando tutto muta vertiginosamente.

Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento