«La Grande Guerra di Dante» – Di Luciana Grillo

Oggi, 25 marzo 2025, è il «Dantedì» – Una riflessione su un diario che vale la penna essere ricordato proprio in questa giornata

Nella giornata in cui si celebra il Dantedì, mi stacco dai versi e dalle prose di Dante, ma a Dante mi ricollego a proposito di un diario molto originale, pubblicato qualche anno fa, che racconta la prigionia in Russia di italiani che avevano combattuto per l’Impero asburgico.
Il titolo è il primo richiamo: La Grande Guerra di Dante.
 
Ida de Michelis, la curatrice, ci racconta di esser venuta in possesso casualmente del diario, comprato fra vecchi libri usati al mercato di Porta Portese a Roma, di un soldato italiano che combatteva per l’Austria-Ungheria e quindi di aver deciso di approfondire i suoi studi sulla prima guerra mondiale, allargandoli a chi si sentiva italiano, ma viveva e combatteva in terre non ancora italiane.
 
Il volumetto ci fa entrare nel mondo dei prigionieri irredenti in Russia dove la convivenza con altri italiani in divisa austroungarica risvegliò sentimenti e passioni nei soldati che trovarono nella lingua e nella letteratura italiane il segno unificante di un comune sentire.
Perciò due di loro riscrissero la Divina Commedia:

«Ohi Russia vituperio delle genti
di quel paese là dove il “Da” stona
quanti io vidi in te e quai tormenti»


Questi versi dello scultore trentino Ermete Bonapace, nati nel campo di prigionia di Omsk, sono accompagnati dalle sue memorie, che «scrive per dire la sua verità e denunciare le falsificazioni da parte delle alte gerarchie».
È poi nel campo di Kirsanov che i gruppi di prigionieri si compattano; qui si fonda il giornale di campo, «La nostra Fede», stampato in circa quaranta copie, che ha «come motto il verso dantesco ”non sbigottir ch’io vincerò la prova”, a testimoniare lo spirito nazionale con il quale nasceva l’iniziativa».
 
Quando cominciarono i rimpatri, ci fu chi rimase in Russia, chi tornò in Italia attraverso la Gran Bretagna e la Francia, chi attraverso la Cina.
«Tra i fortunati rimpatriati del 1916 si trovano entrambi gli autori della Divina Commedia irredenta… Ermete Bonapace e Silvio Viezzoli».
Il Viezzoli, maestro di origine istriana, verso il 1959 ricopiò tutto il testo e lo intitolò «Dante in visita agl’Italiani irredenti prigionieri in Russia nell’anno 1916».
 
Ciò che va sottolineato, è che quest’opera diventa una sorta di Storia degli italiani, una Commedia dantesca ambientata nella contemporaneità, un’operazione parodica che parte dalla conoscenza della grande letteratura italiana, il racconto di un viaggio alla ricerca di sé e della patria lontana, con riferimenti precisi al luogo in cui questi italiani vivono la loro odissea:
 
«Evvi un sito oltre i monti ed oltre i mari,
lontano in mezzo ad infinita neve
contro la qual non valgono ripari.
 
E perduta in cotal fosca pianura
la città che Chirsanovo s’appella
fra tal desolazion siede sicura.
 
Guidato dal Maestro io giunsi in quella;
per quale strada non saprei ridire,
tanto il freddo mi cinse le cervella.»

 
Precisa anche la descrizione dei prigionieri:

«Ed al Maestro: ”Chi son quegli offesi?”
rivolto domandai “lassù tapini?”

Ed Egli a me: ”Costoro son sospesi,
non sono austriaci e non sono italiani
non son soldati e non son borghesi.

Austriaci sono detti dai profani
e grigio hanno indosso ancora il saio
ma l’anima di lor li fa romani».

 
Tutti i canti, in impeccabili terzine, raccontano la vicenda, come se fosse Dante a parlare. Impeccabile anche la conclusione:
 
«Virgilio se n’andò alla sua magione,
ed io, deposta ormai l’inutil penna,
m’avviai solitario alla stazione

a prendere il biglietto per Ravenna».

 
Cosa farebbero i giovani d’oggi se si trovassero in circostanze simili?
Forse giocherebbero con lo smartphone, o scriverebbero di calcio, non avendo neppure l’ombra delle conoscenze dei loro coetanei vissuti solo un secolo fa.
 
Eppure le guerre non sono finite: vicino a noi ancora oggi soffiano venti di guerra. E c’è chi scrive, in poesia o in prosa, come Dante e come i soldati italiani in Russia.
 
E pensando proprio a Dante, vissuto nel momento drammatico delle lotte tra potere temporale e potere spirituale, tra Guelfi e Ghibellini, mi piace ricordare Salman Natur, scrittore e traduttore palestinese, giornalista e poeta, morto nel febbraio 2016, che ha raccontato i brandelli di una realtà frantumata; ha raccolto testimonianze e memorie, è stato il primo presidente dell’Associazione degli scrittori arabi in Israele. E ci ha lasciato questi versi memorabili:
 
Sono nato dopo la guerra del 1948.
Ho iniziato la scuola il giorno della guerra di Suez.
Ho finito la scuola superiore durante la guerra dei Sei Giorni.
Mi sono sposato durante la guerra di ottobre.
Il mio primogenito è nato durante la guerra del Libano.
Mio padre è morto mentre infuriava la guerra del Golfo.


(Da «Memoria» – Edizioni Q 2008)

Luciana Grillo
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