Il branco – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

La prepotenza anestetizza la coscienza e rende «normale» la ferocia, sia essa crudeltà o indifferenza

Sembra ormai consueto chiamare «branco» quel gruppo di minori che si aggregano senza una ragione precisa se non quella di marcare il territorio, che poi diventano minacciosi, offendono, violentano e compiono atti delinquenziali.
Accade con una frequenza inaudita di ritrovare la malvagia crudeltà del branco narrata dalle cronache.
Di recente quella dell’abuso sessuale di un tredicenne trentino nei bagni di un centro commerciale o quella di un ragazzino minacciato e picchiato dai pari, ora traumatizzato in forma grave.
Gli adulti si allarmano e chiedono protezione per i «cuccioli», pene esemplari, ma zero prevenzione.
Serve l’indignazione per far fronte alla violenza, ma non basta gridare «al lupo, al lupo!» e archiviare ogni storia senza un rinnovamento della coscienza collettiva.
 
Riflettiamo invece su cosa vuol dire oggi «essere» branco e se tra le ragioni di una banda, non ci sia il fascino del protagonismo e lo spettacolo delle prepotenze di gruppo da mostrare, che prevalgono su tutto, anestetizzano la coscienza e rendono «normale» la ferocia.
Per i bulli che offendono o abusano di nascosto in un apparente anonimato, c’è il diffuso piacere del divertimento e del «gioco» che fa mettere in scena la violenza e la riprende col cellulare, la rende virale, ma ne trae immediata ricompensa dai like dei followers.
Ricordiamoci che manca ancora l’educazione alla sessualità (non l’educazione sessuale) che è educazione alle relazioni e alla comunicazione rispettosa.
E, in casa come a scuola c’è un vuoto inaccettabile di attenzione ai comportamenti di minori e a come si accostano al sesso.
 
Diversamente da un tempo si arriva al sesso con una quantità di siti pornografici dove si incatenano gli adolescenti, presentando la sessualità come pluriprestazione e godimento orgiastico.
La gioventù di oggi vive in maniera decisamente ansiogena le trasformazioni fisiche, nonostante mostri con la spavalderia dei selfie, un corpo esibito e rifiutato, perché evaporato nel virtuale.
La generazione Alpha, ha una crescente incapacità di ascoltarsi e stabilire rapporti affettivi, teme piuttosto i sentimenti e preferisce il sesso virtuale a quello reale.
Già i preadolescenti subiscono il fascino del potere che spesso diventa prepotenza e violenza, cinismo e disprezzo degli altri ma anche odio o a volte disumana ferocia.
 
Sconvolge la precocità di quella «banalità del male» di cui diceva Hannah Arendt che aumenta di giorno in giorno, ma chiediamoci quanto conta la mancanza di una presenza adulta equilibrata e affidabile, la povertà educativa o il vuoto di controllo genitoriale durante la lunga crescita adolescenziale
Poi, il male che più contamina i giovani del terzo millennio è l’indifferenza che potremmo chiamare psico-apatia, cioè deficit di emozioni o siderale distanza affettiva.
Che è un tratto diffuso di questa società del narcisismo che trascura l’ascolto e l’attenzione all’altro, fa primeggiare l’individualismo e assottiglia la riprovazione sociale normalizzando la violenza in ogni sua forma.

Giuseppe Maiolo - Psicoanalista
Università di Trento