I vini dealcolati. E perché no? – Di Giuseppe Casagrande

Il colosso Schenk decide di trasferire a Ora, dalla Spagna, la produzione di bevande dealcolate. Investimento: 2 milioni. Petrini (Slow Food): attenzione agli additivi

I vini e le bevande dealcolate non sono più un tabù.

Vini dealcolati? Perche no. E alla fine anche l'Italia ha detto sì. Nel BelPaese, una delle potenze del vino mondiale, si potrà produrre, come in altre Nazioni, il vino dealcolato.
Una novità «storica», preceduta da un lungo dibattito tra gli addetti ai lavori, ufficializzata con il decreto firmato a fine anno dal ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida.
Il tema rimane, comunque, caldissimo in Italia, tra favorevoli e contrari, anche se sicuramente si tratta di una svolta attesa da molti per aprire alla produzione di nuovi prodotti e allinearsi anche alle tendenze dettate dal mercato, sempre più sensibile al tema salutistico.

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Daniele Simoni, amministratore delegato di Schenk Italia, la sede è ad Ora.

 
 Ma il vino dealcolato tutelerà davvero la salute e la sostenibilità? 

A questo punto ci chiediamo: ma il vino dealcolato tutelerà davvero la salute e la sostenibilità? Sul tema è intervenuto Carlin Petrini, fondatore dell'Associazione Slow Food e padre putativo del filosofico slogan: buono, giusto e pulito. Concetto dal valore e dai confini universali, che vale tanto per il cibo che per il vino.
Carlin Petrini ribadisce l’importanza di valori come la conoscenza e la morigeratezza, non demonizza un prodotto secolare come il vino, ricco di storia e cultura, ma allontana anche certi pregiudizi superficiali.
 
«Questo provvedimento era necessario - sostiene - la produzione di vino dealcolato è già disciplinata in molte Nazioni e si sta già ritagliando spazi importanti in fiere del settore. Mi pare quindi giusto che anche l’Italia abbia aperto a questa pratica perché, diversamente, avremmo patito una sorta di concorrenza sleale. Anche se - aggiunge - dal punto di vista strettamente gustativo, questi vini sono molto differenti da quelli oggi in commercio e la loro diffusione dipenderà certamente dal favore che incontreranno nella percezione del consumatore. L’alcol è un elemento essenziale nel gusto e nella piacevolezza del vino».

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 Carlin Petrini (Slow Food): «Il rischio è l'aggiunta di aromi e altri additivi» 

Il fondatore del movimento della «Chiocciola» Calin Petrini avverte che c'è un rischio da evitare ovvero che «per compensare l’assenza dell’alcol, si cerchi di raggiungere le sensazioni organolettiche del vino classico addizionando aromi, zuccheri o altri additivi che possono essere dannosi alla salute. Non va nemmeno trascurato che il decreto disciplina anche i vini parzialmente dealcolati, con un titolo alcolometrico inferiore ai 8,5-9%. Quindi vino non proprio senza alcol con il rischio che, soprattutto tra i giovani, si faccia strada un consumo poco prudente».
 
Per quanto riguarda le uve da utilizzare per i vini dealcolati, Petrini aggiunge che «molti produttori favorevoli sostengono che aiuterà a far sopravvivere alcune vigne a rischio di estirpazione e quindi a far vivere territori fragili. Temo però, visto che in Italia non si possono dealcolizzare vini a Denominazione di origine protetta (Dop) e a Indicazione geografica protetta (Igp), che per produrre questo tipo di vino si possa attingere da zone vinicole poco pregiate e ad alta resa come ad esempio quelle di pianura. C’è anche un aspetto ambientale da prendere in considerazione. Uno dei procedimenti di produzione usato è quello dell’osmosi inversa (attraverso una membrana, i composti aromatici e fenolici vengono filtrati prima di rimuovere l’alcol per distillazione e successivamente reintegrati): un procedimento che richiede molta energia, in un periodo in cui si cerca di limitare l’impronta carbonica della produzione del vino che è già abbastanza alta».

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Daniele Simoni, amministratore delegato della Schenk Italian Wineries,

 
 La chiave per una corretta educazione alimentare è la morigeratezza 

Concludendo, Petrini sostiene che «i vini dealcolati possono rappresentare un’opzione alle bevande analcoliche classiche per chi per diverse ragioni non può o non deve bere alcol. Dall’altra parte per garantire la continuità di una produzione millenaria con salde radici in molte parti del mondo serve morigeratezza. Ad esempio sarebbe un errore grave dire, come spesso succede, con superficialità che il vino fa bene alla salute. Conoscenza e morigeratezza, sono elementi fondanti per una corretta educazione alimentare, ma, anche, garanzia per un piacere responsabile e questo vale non solo per il consumo del vino».

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Daniele Simoni nei vigneti di una delle tenute del colosso Schenk Italia.

 
 Schenk Italia (con sede ad Ora) una realtà da 60 milioni di bottiglie 

In Italia c’è chi investe con convinzione nella produzione del vino dealcolato, una nicchia di mercato, ma con buone prospettive di crescita. Ci crede, ad esempio Schenk, il ramo italiano del gruppo Schenk Family con sede ad Ora che è pronta a trasferire la produzione in Italia. Schenk, realtà da 140 milioni di euro di fatturato e 60 milioni di bottiglie che per il 70% finiscono all’estero (Stati Uniti, Germania, Est Europa, Nord Europa e Asia in testa) produce annualmente tra le 50.000 e le 80.000 bottiglie di vini e bevande dealcolate in Spagna, il 25% sono commercializzate in Italia.
Oggi è pronta a mettere sul piatto un investimento importante, stimabile sui due milioni di euro. Come ha spiegato a WineNews Daniele Simoni, amministratore delegato di Schenk Family Italia.
 
«Fino ad oggi, come molte altre realtà italiane, abbiamo dovuto produrre fuori dal Paese, noi lo facevamo in Spagna, con costi aggiuntivi per il trasporto del prodotto. Con questo investimento, che stiamo definendo e sarà operativo dal 2026, contiamo, tra le altre cose, di abbattere più o meno del 20% il costo di produzione dei nostri vini dealcolati, che andranno ad arricchire l’offerta dei nostri marchi più importanti.»

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La sede della Schenk Italian Wineries in via Stazione a Ora.

 
 Daniele Simoni: «Questa nuova tipologia di prodotti è destinata a crescere» 

Il trasferimento della produzione di vini dealcolati dalla Spagna ad Ora sarà una scommessa sul futuro di una tipologia di prodotti di cui si è discusso molto nel Belpaese (tanto che l’iter per arrivare al decreto che ne consente la produzione è stato molto più lungo rispetto ad altri competitor europei come Spagna, Francia o Germania, per esempio), ma che sembra destinata a crescere, soprattutto in una fase in cui il consumo di alcol, in generale, è messo in discussione.
 
«Alcuni mercati, come quelli della Danimarca, del Belgio, della Germania, della Francia e dei Paesi Bassi, dimostrano - sottolinea Simoni - una crescente attenzione verso i prodotti a zero alcol, o a bassa gradazione alcolica, con un forte interesse a produrli localmente per essere più competitivi. Per l’Italia, tuttavia, la necessità di esportare il vino per la dealcolizzazione e poi reimportarlo, fino ad ora - aggiunge Simoni - comportava costi e complessità che hanno penalizzato il settore».

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Carlo Petrin, fondatore dell'Associazione Slow Food,

 
 Ora si aprono scenari molto interessanti anche nel nostro Paese 

«Attualmente, il volume dei vini dealcolizzati rappresenta una quota minima del mercato del vino, pari al 2-3% della produzione totale, fatta eccezione per pochi marchi, e quindi rimane un prodotto di nicchia. La sfida principale consiste nel capire se sarà possibile attrarre quei consumatori che, pur non bevendo abitualmente vino, magari per motivi sociali o per situazioni particolari (ad esempio, guidatori designati o donne in gravidanza), desiderano comunque condividere l’esperienza».
 
«Adesso anche in Italia si aprono scenari molto interessanti sia sotto il profilo delle economie di scala, che ci permetteranno di investire di più sui mercati per far conoscere questi prodotti, sia per quanto riguarda la flessibilità, la velocità e la sostenibilità di produzione. Per far crescere realmente il settore in Italia - conclude Daniel Simoni - occorrerà convincere anche chi tradizionalmente non consuma vino a scegliere un’alternativa più naturale, come il vino dealcolato, rispetto a bevande più economiche e meno naturali. Sebbene la tecnologia consenta oggi di ottenere vini dealcolati di qualità sempre migliore, la differenza di gusto rispetto ai vini alcolici rimane significativa».

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Giuseppe Casagrande - [email protected]