Concordato preventivo biennale per Partite Iva, mezzo flop?
La CGIA di Mestre: «Si, perché c’è molta meno evasione di quella stimata»
Da ogni singolo aderente, l’erario incasserà mediamente 2.600 euro. La CGIA critica i dati del MEF sull’evasione degli autonomi ritenendoli non «attendibili». Pochi controlli? Falso. Tra lettere di compliance, accertamenti e verifiche, nel 2023 sono state interessate 3,7 milioni di attività imprenditoriali, pari al 65% circa del totale Per qualcuno può sembrare una provocazione, per l’Ufficio studi della CGIA, invece, costituisce la chiave di lettura che spiega il mezzo flop registrato dal Concordato preventivo biennale (Cpb). |
I numeri dell’insuccesso
Secondo
le prime indiscrezioni rilasciate dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze (MEF), avrebbero sottoscritto il Cpb poco più di 500mila partite
Iva che dovrebbero assicurare all’erario 1,3 miliardi di euro.
A
fronte di 4,5 milioni di lavoratori autonomi e di imprese potenzialmente
interessate da questo strumento (di cui 1,8 milioni di forfettari e 2,7
milioni di operatori sottoposti agli Isa - Vedi tabella a pié di pagina).
Entro
il 31 ottobre scorso avrebbe aderito solo l’11 per cento del totale. In
merito alle entrate, invece, il concordato dovrebbe aver fruttato alle
casse dello Stato 1,3 miliardi di euro, rispetto ai 2 miliardi
preventivati inizialmente.
Pertanto, ogni soggetto che ha sottoscritto questo patto con il fisco ha pagato mediamente 2.600 euro.
Se
con la scadenza del 31 ottobre scorso l’erario sicuramente incasserà
molto meno del previsto, non è che per caso la dimensione economica
dell’evasione in capo agli autonomi sia abbondantemente sovrastimata?
Le stime «inattendibili» del MEF. Gli autonomi non sono un popolo di evasori
In
materia di evasione fiscale, molti autorevoli opinionisti citano spesso
i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) che stimano in
82,4 miliardi di euro il tax gap delle entrate tributarie e
contributive presenti in Italia.
Entrando nel dettaglio di questa
analisi, la tipologia di imposta più evasa sarebbe l’Irpef in capo ai
lavoratori autonomi, per un importo pari a 29,5 miliardi di euro che
corrisponde ad una propensione al gap nell’imposta che da anni sfiora
stabilmente il 70 per cento.
Questo vuol dire, secondo gli estensori
di questa elaborazione, che poco meno del 70 per cento dell’Irpef non
sarebbe versata all’erario dai lavoratori autonomi.
Non entriamo nel
merito della metodologia di calcolo utilizzata, alquanto arzigogolata,
ma ci limitiamo a dimostrare l’«inattendibilità» di questo risultato.
Secondo
le dichiarazioni dei redditi dei lavoratori autonomi in contabilità
semplificata del Nord (praticamente artigiani e commercianti), nell’anno
di imposta 2021 hanno dichiarato mediamente 33 mila euro lordi.
Segnaliamo
che oltre il 70 per cento di queste partite Iva è composto dal solo
titolare dell’azienda (in altre parole lavora da solo).
Bene. Se,
come sostengono i tecnici del MEF, queste attività evadono quasi il 70
per cento dell’Irpef, quanto dovrebbero dichiarare se fossero ligi alle
richieste dell’erario? Il 120 per cento in più, ovvero poco più di 74
mila euro all’anno.
Ora, come possono “raggiungere” nella realtà una
soglia di reddito così elevata se, come abbiamo appena detto, la
stragrande maggioranza lavora da solo, quindi è poco più di un
lavoratore dipendente, e al massimo può lavorare 10-12 ore al giorno,
senza contare che durante questa fascia oraria deve rapportarsi anche
con i clienti, con i fornitori, con altre aziende, con il
commercialista, con la banca, con l’assicurazione e come tutti i comuni
mortali può infortunarsi, ammalarsi, etc., etc.?
Ovviamente, nessuno
può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle
sacche di evasione che vanno assolutamente contrastate.
Tuttavia, le
stime messe a punto del MEF non convincono, anche alla luce del fatto
che, per ragioni di natura tecnica, non includono il tax gap
riconducibile agli autonomi esclusi dal pagamento dell’Irap. Vale a dire
quelli in regime dei minimi (1,8 milioni di soggetti), una buona parte
delle imprese agricole, i professionisti privi di autonoma
organizzazione e il settore dei servizi domestici.
Complessivamente stiamo parlando di ben oltre la metà dei lavoratori indipendenti presente nel nostro Paese.
Ebbene, se fosse considerata anche l’evasione di questi ultimi, che picco toccherebbe l’infedeltà fiscale degli autonomi?
È
evidente che questi dati sono poco «attendibili», ma quello che è
altrettanto insopportabile che molti opinionisti radical chic utilizzino
queste stime per accusare gli autonomi di essere un popolo di evasori.
Uno strumento potenzialmente ad hoc per gli evasori
Tornando
al Cpb edizione 2024, nessun altro provvedimento di compliance
presentato in passato era stato modellato su misura come questo, in
particolare per chi sistematicamente ha la cattiva “abitudine” di pagare
poche tasse.
In via subliminale, il «patto» proposto dal fisco era
basato su questi presupposti: il contribuente dichiara per il biennio
2024-2025 qualcosa in più e conseguentemente paga un po’ più di quanto
ha versato in passato, consentendo all’erario di incassare
immediatamente la liquidità necessaria per coprire la riduzione delle
aliquote Irpef al cosiddetto ceto medio.
Per contro,
l’Amministrazione fiscale, nello stesso arco temporale, si impegna a
limitare la propria azione di controllo, concentrando la propria
attività anti-evasione su chi non ha aderito.
Vantaggioso, ma inutilizzato
Per
chi con la propria attività può fare molto nero, questo provvedimento
ha consentito, con un pagamento relativamente modesto, di congelare per
due anni l’attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate nei
propri confronti.
Considerato che gli imprenditori e i lavoratori
autonomi non sono degli stupidi, vuoi vedere che, nonostante il Cpb
fosse particolarmente vantaggioso, l’adesione è stata nettamente
inferiore alle attese, poiché la propensione all’evasione fiscale di
queste categorie sarebbe, secondo la CGIA, molto al di sotto delle
stime, anche di quelle elaborate dal MEF?Sia chiaro: non si venga a dire
che questa ipotesi non sarebbe verosimile, perché la possibilità che
una micro/piccola impresa venga controllata dal fisco e in generale
dalle istituzioni pubbliche è pressoché pari a zero. Tesi, come
dimostreremo nel paragrafo successivo, del tutto infondata…
Pochi controlli? Assolutamente falso
Nel
2023 tra le lettere di compliance8 (2.681.147), gli accertamenti, le
verifiche e i controlli eseguiti dall’Agenzia delle Entrate e dalla
Guardia di Finanza in materia fiscale sono state interessate poco più di
3.510.000 partite Iva/imprese. Sempre nello stesso anno, in materia
contrattualistica/sicurezza sul lavoro/assicurativa l’attività eseguita
dall’Ispettorato del lavoro, dall’Inps e dall’Inail ha toccato i 260.440
controlli.
Pertanto, nell’ipotesi che le aziende non siano state
destinatarie di più controlli, possiamo affermare che circa 3,7 milioni
di attività, pari al 65 per cento circa del totale, l’anno scorso sono
state interessate da queste misure. Va segnalato che anche i controlli
in materia di lavoro tendono sempre più a verificare anche la regolarità
fiscale dell’azienda sottoposta all’attività ispettiva. Per ottenere la
cosiddetta «patente a crediti», ad esempio, molte aziende e lavoratori
autonomi che operano nei cantieri mobili o temporanei hanno dovuto
dimostrare, nei casi previsti dalla normativa vigente, di possedere il
Documento unico di regolarità fiscale (Durf).
Questo attestato,
rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, certifica il possesso di
determinati requisiti e la corretta osservanza di alcuni adempimenti
previsti dalla legislazione fiscale.
L’attività ispettiva non riguarda solo il fisco
Più
in generale, ricordiamo che tra i dati relativi all’azione ispettiva
riportati più sopra, non sono inclusi quelli eseguiti dall’Agenzia delle
Dogane e dei Monopoli, dai Vigili del Fuoco, dal Nucleo
Antisofisticazione e Sanità (NAS) dei Carabinieri, dal Nucleo Operativo
Ecologico (NOE) sempre dei Carabinieri, dalla Polizia stradale, dai
Vigili urbani, dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e
dai servizi di prevenzione, igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro
delle Aziende sanitarie/ospedaliere.
Adesso, forse, verranno riaperti i termini
Nel
tentativo di recuperare almeno un altro miliardo, il Governo sembra
intenzionato ad approvare a breve un decreto che consenta la riapertura
dei termini per aderire al Cpb fino al prossimo 10 dicembre.
Dal
punto di vista del nostro esecutivo è una decisione comprensibile, anche
se così facendo si ammette implicitamente che il gettito stimato nel
primo «tentativo» è stato molto al di sotto delle aspettative.