Cartoline di Bruno Lucchi: «La Casa del Pozzo», Lecco
Se siete nei paraggi di Lecco, vi invito a visitare «La Casa sul Pozzo», le porte sono (sempre) aperte. Gli incontri che plasmano l'anima
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Fare lo scultore e il fotografo mi ha insegnato una cosa fondamentale: ogni volto, ogni gesto, ogni suono ha una storia da raccontare.
Non sono solo forme o suoni, ma incontri. Sono frammenti di vita che si lasciano plasmare, come l’argilla sotto le mani, modellandoti a loro volta.
Quella domenica mattina, partendo da Levico Terme, non portavo solo la mia attrezzatura fotografica, ma anche un bagaglio di ricordi e aspettative. Il mio viaggio mi conduceva alla «La Casa sul Pozzo» di Lecco, per celebrare un momento speciale: 50 anni di storie condivise e vite intrecciate della Comunità di Via Gaggio.
Angelo Cupini, l'ispiratore, fautore, «direttore» di questa «Orchestra» di pensiero e di ascolto, sussurrava ad ognuno dei presenti - con i suoi occhi indimenticabili, il suo «grazie».
Lì avrei incontrato ancora una volta Claudia Ravetto, Giacomo Agazzini e Feryanto Demichelis, tre musicisti che conosco da tempo, legati da un filo invisibile al maestro Ezio Bosso. Erano stati suoi compagni di viaggio musicale, avevano suonato e inciso dischi con lui.
E ora, in questo concerto, avrebbero suonato per ricordarlo, con quel pianoforte Steinway & Sons che Ezio chiamava affettuosamente il Fratellone.
Gli amici Daniela e Gianni assieme alla Comunità avevano deciso di organizzare due concerti, uno a mezzogiorno e uno nel pomeriggio, per permettere a più persone di immergersi in quella magia, dato che la sala poteva accogliere solo centotrenta spettatori per volta. Un numero ristretto, che però rendeva l’esperienza ancora più intima.
Il Trio suonava al centro della sala, circondato dal pubblico. Io ero seduto a un metro dal violino, vicinissimo agli altri strumenti.
Potevo vedere ogni movimento dell’arco, ogni vibrazione delle corde, e persino le espressioni sui volti dei musicisti, che sembravano raccontare storie senza bisogno di parole.
Intorno a noi, le pareti erano adornate dalle opere del pittore spagnolo Mino Cerezo, un artista che ha narrato con i colori le storie delle popolazioni dei Paesi in cui ha vissuto parti della sua vita.
Una delle sue creazioni, un disegno delicato di un uccello, decorava la locandina e l’invito del concerto, aggiungendo un tocco poetico a quel giorno speciale.
La musica iniziò, e con essa un viaggio senza tempo.
Ogni nota sembrava raccontare un pezzo della storia di Ezio, intrecciandosi con quella dei musicisti e di tutti noi che ascoltavamo.
Mentre fotografavo, cercavo di fermare non solo il momento, ma anche l’anima che lo permeava.
Ogni brano era seguito da applausi che riempivano la sala, risuonando come un'eco di gratitudine e commozione.
Era come se ogni persona presente volesse restituire ai musicisti parte dell’emozione ricevuta.
Alla fine del concerto, l’intera sala si alzò in piedi, regalando una standing ovation che sembrava non voler finire mai.
Quell’energia, quel calore umano, era un promemoria: gli incontri, quando autentici, non finiscono mai davvero. Restano con noi, aspettando solo il momento giusto per ritrovarsi e continuare a creare bellezza insieme.
Al rientro - in autostrada - una frase di Ezio mi frullava nella mente:
«Esiste quel luogo dove ti rendi conto che allora esiste il migliore dei mondi possibili, e te li porti dentro, come quei sorrisi, quelle parole, quegli occhi intorno a te, che sono i tuoi occhi.»
Se siete nei paraggi di Lecco, vi invito a visitare «La Casa sul Pozzo», le porte sono (sempre) aperte, non solo in senso figurato ma anche metaforico; come lo erano - del resto - le case abitate da Ezio.
Bruno Lucchi