Cartoline di Bruno Lucchi: Calasetta e la cultura Tabarchina in Sardegna
I tabarchini non sono sardi, sono anche sardi. Non sono genovesi, anche genovesi. Non sono tunisini, anche tunisini – Bruno Rombi, poeta e scrittore di Calasetta

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Faceva un caldo torrido e, nonostante fossimo in vacanza in Sardegna, Graziella ed io faticavamo a stare in spiaggia.
Le giornate erano dominate da un caldo opprimente. In una di quelle afose giornate, ci ritrovammo a camminare per le strette vie di Calasetta, cercando disperatamente un po’ d’ombra lungo i muri riscaldati dal sole.
Avevamo trascorso numerose vacanze sull’isola di Sant’Antioco nel corso degli anni, ma mai il caldo era stato così implacabile: le case di Calasetta, prive di gronde, offrivano pochi ripari.
Fu così che incrociammo l’insegna dello Spazio digitale per la cultura tabarchina e, incuriositi, ci avvicinammo all’Archivio Ràixe.
Qui incontrammo Remigio Scopelliti, un orgoglioso discendente tabarchino, che aprì la porta per accoglierci.
Ci spiegò che avevano già iniziato una visita guidata, ma vedendo la nostra delusione ci fece accomodare insieme agli altri partecipanti.
Remigio iniziò quindi a raccontarci l’incredibile storia dei discendenti dei genovesi, in particolare di coloro provenienti da Pegli, che intorno al 1540 emigrarono verso la piccola isola di Tabarca, in Tunisia, per dedicarsi alla pesca del corallo.
La comunità crebbe e prosperò fino all’inizio del 1700: i tabarchini non dovettero fuggire per mano del regime dei Bey, ma trovarono accoglienza da re Carlo Emanuele III, il quale, destinando loro l’isola di San Petro, fondò Carloforte.
Successivamente, re Carlo riscattò molti tabarchini ridotti in schiavitù dal Bey, assegnandoli all’isola di Sant’Antioco, dove prese forma Calasetta.
Col tempo, le storie e le occupazioni si moltiplicarono.
L’insularità e le attività legate al mare non facilitarono l’integrazione con il retroterra sardo, mentre i legami con la cultura ligure – visibili nei costumi, nella cucina e nella lingua – rimasero saldi.
Solo più tardi, con Graziella, ci attardammo ancora alla mostra digitale, dove Remigio continuò con passione a illustrarci le origini e le tradizioni dei Tabarchini.
Con una simpatia contagiosa, ci promise di riprendere la conversazione il giorno seguente, guidandoci alla Torre Sabauda.
Costruita nel 1756 in pietra vulcanica, secondo il progetto dell’ingegnere militare piemontese Vallin, la torre offre una vista mozzafiato: dalla sua sommità si possono ammirare la costa, le acque cristalline e la trama delle vie, che conservano l’impronta dei sentieri romani.
Con entusiasmo, Remigio proseguì narrandoci l’incredibile storia di Calasetta, fondata dagli schiavi liberati, illustrandoci le attività economiche e la cucina, un perfetto connubio di tradizioni liguri, tunisine e sarde, fino ad arrivare al Carignano prodotto nella cantina, la più antica della Sardegna.
Dopo un aperitivo all’ombra dei grandi ombrelloni lungo il corso, ci salutammo con la promessa di rivederci, sia in Sardegna che in Trentino.
Bruno Lucchi