«Associazione Castelli del Trentino» – Di Daniela Larentis

Il 10 aprile a Mezzolombardo, Luigi Sardi e Danilo Zanoni parleranno dei bombardamenti che hanno colpito il Trentino nella Seconda Guerra Mondiale

Luigi Sardi.

Prosegue il ciclo di incontri dell’edizione 2024-2025 promosso dall’Associazione Castelli del Trentino, con l’ultimo appuntamento della stagione primaverile.
L’incontro, intitolato «Attacco al Trentino - Storie di bombardamenti tra Piana Rotaliana e Valli del Noce. Il caso del bombardiere caduto a Campodenno», si terrà giovedì 10 aprile 2025, come di consueto a Mezzolombardo, presso la Sala Spaur in Piazza Erbe, alle ore 20.00.
Ospiti della serata saranno il giornalista e autore trentino Luigi Sardi e lo studioso di storia locale Danilo Zanoni.

L’evento si propone di approfondire gli episodi di bombardamenti che coinvolsero il Trentino durante la Seconda Guerra Mondiale, con particolare attenzione al caso del bombardiere precipitato a Campodenno.
 
Da 36 anni l’Associazione Castelli del Trentino è attiva nell’ambito culturale provinciale soprattutto attraverso pubblicazioni, convegni e cicli di conferenze su tematiche storiche e storico-artistiche che vengono seguiti con attenzione dal pubblico e dalla stampa.
Le iniziative proposte godono del patrocinio della PAT e della Regione, sono inoltre riconosciute valide ai fini dell’aggiornamento del personale docente da parte dell’Iprase.
Continua la collaborazione con l’Accademia roveretana degli Agiati e con la Società di Studi trentini di Scienze storiche.
 
 Cenni biografici  

Luigi Sardi
è un giornalista e scrittore, nato a Como il 23 agosto 1939. Durante la Seconda guerra mondiale si trasferisce a Trento, città alla quale resta profondamente legato.
Inizia la carriera nel 1959 come inviato speciale del quotidiano Alto Adige, dove lavora fino al 1998.
Autore prolifico, si occupa soprattutto di storia del Trentino, con particolare attenzione alle due guerre mondiali e alla memoria civile.
Tra i suoi libri più noti figurano «Gli anni delle bombe», «I giorni della Portèla e di San Martino - 1943-1944», «La Grande Guerra e il Trentino - Fra neutralismo ed interventismo», «Battisti, Degasperi, Mussolini - Tre giornalisti all’alba del Novecento», «Via Rasella, il Südtirol e Kappler» e «Delitti e misteri del Trentino».
La sua scrittura si distingue per il rigore della documentazione e per l’impegno nel tenere viva la memoria storica del territorio.
 
Danilo Zanoni
. Studioso trentino, si occupa da anni di storia locale, con particolare attenzione agli episodi dimenticati legati alla Val di Non e alla comunità di Campodenno.
Ha ricoperto incarichi istituzionali in ambito provinciale, nei settori dell’ambiente, delle foreste, dell’urbanistica e della protezione civile.
Tra le sue opere più recenti figura il libro «Il dosso di San Pancrazio a Campodenno», che approfondisce la storia di questo sito.
 
Abbiamo intervistato Luigi Sardi
, giornalista e scrittore che nei suoi libri e articoli affianca al rigore dell’analisi storica una riflessione civile sulle ferite della guerra: non solo distruzione materiale, ma anche perdita umana, sociale e culturale.
Il suo racconto non si limita ai fatti, ma invita a riflettere sul significato della guerra e sul modo in cui viene ricordata e compresa nel presente.
 
Luigi Sardi, su quali aspetti verrà focalizzata maggiormente l’attenzione durante l’incontro di giovedì 10 aprile?

«Sul bombardamento che distrusse il rione della Portéla, quello cresciuto all’ombra della Chiesa di Santa Maria Maggiore, dove vennero portati i corpi dilaniati dalle bombe.
«Accentuando il fatto che Trento venne bombardata il 2 settembre del 1943, un giorno prima della resa del Regno d’Italia – ore 17 del 3 settembre – a Cassibile, presso Siracusa, nella tenda-comando del generale americano Dwight David Eisenhower, mentre il fascismo, che aveva portato il Regno d’Italia in una guerra disastrosa, era caduto il 25 luglio creando speranze di pace.
«Ricordando che fra 15 giorni, il 25 Aprile, ricorreranno gli 80 anni della Liberazione. Anniversario storico di una Nazione, non di una fazione; spiegando che la Resistenza cominciò a Trento la notte dell’8 settembre nella caserma di via Maccani.
«Che Mario Pasi, medico al Santa Chiara, decise due giorni dopo di entrare nella clandestinità e che Edo Benedetti, ufficiale del Primo Reggimento Granatieri, decise – era in Puglia – di passare contro tedeschi e fascisti.
«Ricordiamo che nel Sessantotto, i cortei che passavano sotto Palazzo Thun scandivano il grido «Benedetti fascista, sei il primo della lista.»
 
Nel suo libro «I giorni della Portèla e di San Martino - 1943-1944» ha raccolto numerose testimonianze sui bombardamenti che colpirono Trento. Che impressione emerge da quei racconti?

«Nel 1973 quando domandai alla Direzione del giornale Alto Adige di scrivere quella che è stata la prima versione del libro - e l’idea venne immediatamente accolta dalla Seta, la società che gestiva il giornale - raccolsi dai superstiti che erano ancora in vita (adesso siamo davvero in pochi visto gli ottanta anni trascorsi) lo sgomento, la paura, l’infinita pena di quanti si erano all’ improvviso trovati in prima linea in quella guerra che arrivava dal cielo.
«Il racconto dei feriti, dei sepolti vivi, di chi aveva perso, con la casa, ogni avere, ogni speranza, il futuro.»
 
I bombardamenti aerei che hanno interessato il Trentino durante la Seconda guerra mondiale hanno colpito tanto obiettivi strategici quanto centri abitati. Quale fu, in generale, l’impatto di queste operazioni sul territorio e sulle popolazioni locali?

«I bombardieri cercavano di colpire la stazione ferroviaria, lo scalo Filzi, il ponte dei Vodi - si canticchiava: mangia e godi, ma sta lontan dal pont dei Vodi e finirono per sbriciolare interi rioni, quello di San Martino compreso.
«E cominciò la tremenda sopravvivenza nei rifugi dove il puzzo, anche la paura ha un odore nauseante, era indescrivibile.»
 
La storia dei bombardamenti in Trentino, come di tanti altri conflitti, ci parla anche delle enormi risorse investite nella guerra a discapito della vita civile. A suo avviso, in che modo la memoria storica può offrire strumenti utili per riflettere oggi sulle priorità collettive e sul valore della pace?

«Né un uomo né un soldo per questa guerra e se le teste coronate vogliono la mobilitazione, ci sarà la rivoluzione. Non aveva dubbi Benito Mussolini, socialista, antimilitarista, quando dalle colonne dell’Avanti! scandiva l’obbligo della neutralità dell’Italia di fronte alla guerra che nell’autunno del 1914 era già un’enorme strage sul fronte della Marna, puntualmente e ampiamente documentata dai giornali italiani.
«Poi venne pagato dai francesi - un milione di lire - per fondare il giornale interventista Il Popolo d’Italia. Sappiamo tutti come andò a finire, ma poiché la storia si impara male e si dimentica in fretta, ci troviamo dopo 80 anni di pace a sentire di nuovo il rullare dei tamburi guerreschi.
«Pazienza se l’elegante signora Hadja Lahbib (si è disquisito più sul colore del suo abito che sulla balzana proposta), credo ben pagata per fare la commissaria europea per la Gestione delle crisi, ci mostra un kit di sopravvivenza di 72 ore da utilizzare in caso di sciagura bellica; ma c’è da inorridire a sentire gente ai vertici della politica europea disquisire con toni da Bar Sport - giù il cappello quando parlano di calcio mentre a Montecitorio c’è una rissa continua - di leva obbligatoria, trasferire truppe di qua e di là, mostrare aerei della sesta generazione e portaerei da 60 bilioni di dollari, somma che basterebbe a sfamare e dissetare tutto il pianeta.
«Ci siamo dimenticati com’era l’Europa, l’Italia e Trento nell’aprile del 1945; cos’era il terrore quando risuonava l’allarme, come si sopravviveva nell’orrore dei rifugi, cosa sarà una terza guerra mondiale che quando finirà costringerà i pochi, disperati superstiti, all’età della pietra.
«Guardate alla televisione le macerie di Gaza. Sono più spaventose di quelle di Berlino di 80 anni fa. E domandate, per restare in casa nostra, ai superstiti, che sono sempre meno, della Portèla e di San Martino, cosa voleva dire il suono delle sirene d’allarme, l’arrivo dei bombardieri, il tuonare della contraerea.
«Passerà subito la voglia di blaterare di nuove guerre. Eppure si morì - ma nessuno lo ricorda - attorno a Kiev nel 1942 con l’avanzata della Wehrmacht, l’uccisione degli ebrei, dei presunti commissari del Popolo e poi nel 1944 con l’avanzata dell’Armata Rossa.
«Come dal maggio del 1948 si viene uccisi in Israele, Palestina, Siria, Libano ricordando Gola Maier, nata a Kiev nel 1898 da una famiglia di ebrei ucraini, (il suo vero nome è Golda Mabovitz) che fu sul punto di vetrificare il Golan e il Sinai in quel Yom Kippur: fu sul punto di usare la bomba atomica per fermare gli eserciti di Egitto e Siria che stavano per travolgere l’esercito di Israele.
«Ma c’è un aspetto sconosciuto. Nel 1938, Hitler portò il confine della Grande Germania al Brennero e Mussolini si spaventò. Si legge nei diari di Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri dell’Italia fascista e marito di Edda, la figlia prediletta del Duce, che l’annessione dell’Austria terrorizzò Mussolini, timoroso che il Führer potesse attraversare il Brennero per annettersi il Sud Tirolo, terra indubbiamente tedesca per storia, lingua e tradizioni.
«Più volte dettò a Ciano il suo pensiero: Bisognava tenersi Hitler come amico, come alleato.
«Per evitare quella mossa che avrebbe sbarellato il fascismo, così propose e firmò il tragico Patto d’Acciaio poi divenuto nel gergo popolare il Roberto (Roma, Berlino, Tokio) che portò il Regno dalla non belligeranza alla dichiarazione di guerra del giugno del 1940.»
 
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Danilo Zanoni.

 
Abbiamo rivolto alcune domande anche a Danilo Zanoni
, appassionato ricercatore della memoria storica, capace di far rivivere vicende dimenticate e frammenti nascosti del passato con rigore e sensibilità divulgativa.
 
L’episodio della caduta di un bombardiere americano durante la Seconda guerra mondiale è l’argomento di cui si parlerà nella serata di giovedì 10 aprile. Può raccontarci che cosa accadde quel giorno?

«Il 19 novembre 1944, un bombardiere americano B-26, colpito dalla contraerea tedesca Flak, andò a schiantarsi sul versante poco sopra l'abitato di Campodenno, in località Faè-Grum.
«L'aereo faceva parte di una squadriglia di 38 bombardieri decollati dalla base di Porretta, in Corsica, per una missione di bombardamento con obiettivo il ponte ferroviario di S. Michele all'Adige.
«I sei componenti dell’equipaggio, lanciatisi con i paracadute, furono tutti catturati dalle SS tedesche e successivamente deportati in campi per prigionieri di guerra in Germania.»
 
Nel corso della sua ricerca ha riportato alla luce una vicenda che era pressoché dimenticata. Che tipo di fonti ha potuto consultare e quali difficoltà ha incontrato nel ricostruire i fatti?

«In paese si è sempre parlato della caduta di un aereo, tuttavia con molta approssimazione e versioni confuse, spesso dettate da suggestioni.
«Il ricordo più concreto si concentrava più che altro sul relitto, sui rottami dell'aereo che divennero preda dei molti recuperanti, consentendo di riutilizzare ogni materiale utile.
«Il segno della memoria più significativo era rappresentato dalle bombe trasportate dall'aereo che, nella caduta, non esplosero: furono disinnescate da gente del posto e successivamente collocate presso il monumento ai caduti di Campodenno, ove tuttora si trovano.
«Per la ricostruzione dell'evento ho potuto contare su diverse fonti. In particolare, fonti americane dell'aeronautica, potendo consultare documenti ufficiali declassificati.
«Inoltre, siti di associazioni di veterani di guerra, molto attive e documentate.
«Alcune notizie sono state reperite presso archivi comunali. Importante è stato anche l’apporto di notizie, dati e informazioni avuti e scambiati con appassionati che si dedicano alle vicende dei crash aerei nella Seconda guerra mondiale in Trentino.»
 
Vicende come questa contribuiscono a rafforzare il legame tra storia e identità locale. Ritiene che oggi ci sia maggiore attenzione verso il recupero della memoria storica nei piccoli centri, oppure resta forte il rischio che episodi importanti vadano perduti?

«Riscontro, positivamente, un diffuso interesse per il recupero e la conoscenza della storia locale, delle comunità di appartenenza in particolare.
«Cresce il desiderio di sapere di più delle vicende che raccontano la storia dei paesi, anche dei fatti minori, di ripercorrere il passato – più o meno lontano – e di conservarne la memoria.
«Pare emergere l'esigenza di consolidare un'identità più determinata, più precisa.»
 
Nella pubblicazione «Il dosso di San Pancrazio a Campodenno», racconta un capitolo della storia locale legato al territorio. Quali obiettivi si è posto e quali aspetti ha scelto di mettere in luce?

«Il dosso di S. Pancrazio, col suo insediamento abitativo e l’omonima chiesetta, è da sempre luogo simbolico e riferimento identitario per la comunità di Campodenno.
«C'è un forte legame di appartenenza al luogo, molto vissuto e radicato nella popolazione. La recente pubblicazione documenta oltre cinque secoli di storia di questo luogo e delle vicende che lo hanno caratterizzato, a partire dal XIV secolo, e stabilmente abitato fino all'inizio del XX.
«Si sono susseguite nei secoli presenze ed esperienze diverse, alcune singolari: possessori e nobili rurali, contadini e viandanti.
«Per un lungo periodo fu concesso come dimora a eremiti regolari. Infine, venuta meno la destinazione agricola, fu abbandonato. Ma è sempre rimasta viva – e riferimento costante – la chiesetta di San Pancrazio, più volte restaurata, ove si celebra due volte l'anno.
«Con la chiesetta continua la storia del dosso. Una parte significativa del testo è dedicata agli aspetti storico-artistici di essa, alle tradizioni della religiosità popolare, alla sua frequentazione.
«Il dosso di San Pancrazio è tuttora luogo molto vissuto e frequentato, non solo dalla gente di Campodenno ma anche da molti paesi vicini e da visitatori occasionali.
«La sua collocazione è davvero suggestiva e panoramica.»

Daniela Larentis – [email protected]