Armare, riarmare, disarmare – Di G. Maiolo, psicoanalista

L'«educazione sentimentale» ci può aiutare a sviluppare buone competenze emotive ed elaborare in modo creativo le conflittualità insite nella vita relazionale

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I verbi in genere indicano azioni o intenzioni, stati, modi di essere o progetti. Quelli con la parola «armi» ricordano paure e terrori della guerra mentre il riarmo promuove la deterrenza come via salvifica.
Così sembra trovare giustificazione la locuzione latina che dice «Se vuoi la pace, prepara la guerra» anche se i preparativi non si basano sul confronto dialettico, ma su un equilibrio degli armamenti e più di tutto sulla paura.
In altre parole alla base del riarmo c’è la paura come strategia e il terrore che chiede più armi per garantire la pace.
 
Torna allora la domanda che ci interroga tutti su quanto la paura continua non finisca per essere uno stile di vita e uno stato collettivo di ansia che attiva tensioni e conflitti.
In questo modo ci si può avviare alla guerra per paura della guerra, perché la paura non è più un deterrente
Ma poi viene in mente l’interrogativo che pose Albert Einstein a Sigmund Freud alle soglie dell’avvento nazista, quando gli chiese se «C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?».
 
Il padre della psicoanalisi, lapidario, non ebbe dubbi nel dire che è «Impossibile sopprimere le inclinazioni aggressive degli uomini».
Fino alla fine dei suoi giorni egli sostenne che la guerra è ineliminabile per cui a noi oggi sembra impossibile non riarmarsi per difenderci, benché si urli: «Mai più guerra!» in un tempo in cui vediamo gli orrori delle guerre che ci attorniano, le cui armi portano devastazione e morte.
 
Sono le pulsioni aggressive, diceva Freud, come il «potere, la padronanza, l’appropriazione» che contengono anche «il piacere di odiare e distruggere» e che insieme alla crudeltà, alimentano la pulsione di morte che si oppone alla pulsione di vita.
Per questo i «forti fattori psicologici paralizzano gli sforzi» di regolare i conflitti sociali senza l‘uso delle armi.
 
Potrà sorprendere ma la «febbre della guerra» s’impossessa di tutti gli individui e alimenta quegli istinti che spesso diventano psicosi collettiva mentre si esaltano i comportamenti aggressivi.
Se il sentimento di odio deumanizza il nemico e giustifica la violenza, la paura e l’angoscia per il futuro autorizzano le corazze e dunque il riarmo come deterrenza, al punto tale che gran poco si riesce a fare per il disarmo.
 
Eppure è ancora Freud che suggerisce come mitigare la naturale distruttività umana: prima di tutto, sostiene, dovremmo accarezzare l’anima, cioè costruire la pace all’interno della nostra mente e sviluppare strumenti, valori e motivazioni reali come la solidarietà, capaci di neutralizzare le spinte distruttive.
 
In secondo luogo è il pensiero della psicoanalisi sociale, quello che ci propone per esempio Luigi Pagliarani, psicosocioanalista, studioso attento al fenomeno guerra insieme a Franco Fornari, quando sostiene che solo un progetto di «educazione sentimentale» ci può aiutare a sviluppare buone competenze emotive ed elaborare in modo creativo le conflittualità insite nella vita relazionale.
 
Giuseppe Maiolo - Psicaonalista
Università di Trento