Amiloidosi cardiaca da transtiretina – Di Nadia Clementi
Chiediamo al prof. Stefano Caruso Direttore dell’UOC di cardiologia del Politecnico di Milano quali sono le nuove frontiere nella diagnosi e nel trattamento
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Il prof. Stefano Carus.
L’amiloidosi cardiaca da transtiretina (ATTR) è una patologia emergente, caratterizzata dall’accumulo di proteine anomale nel cuore, che compromette la sua funzionalità.
A lungo sottodiagnosticata e spesso identificata in fase avanzata, questa condizione può portare a insufficienza cardiaca e altre gravi complicanze.
Tuttavia, i recenti progressi nella ricerca e nelle tecnologie diagnostiche hanno aperto nuove prospettive terapeutiche, offrendo speranza ai pazienti.
Per approfondire queste innovazioni e le prospettive future nella lotta contro l’amiloidosi cardiaca, abbiamo il piacere di intervistare il Prof. Stefano Carugo, Direttore dell'UOC di Cardiologia del Politecnico di Milano, un punto di riferimento nella ricerca e nel trattamento di questa patologia:
Il suo curriculum a questo link.
Prof. Carugo, l’amiloidosi cardiaca è ancora una malattia poco conosciuta dal grande pubblico. Potrebbe spiegarci brevemente cos'è e come si manifesta nei pazienti?
«L’amiloidosi cardiaca non è una patologia unitaria, bensì un insieme di malattie rare accomunate dall’accumulo di fibrille amiloidi in diversi organi, fra cui il muscolo cardiaco. Nel 98% dei casi, la condizione è riconducibile a due principali varianti:
• Amiloidosi AL (amiloidosi da catene leggere), derivante da un’anomala produzione di catene leggere delle immunoglobuline, spesso associata a disordini clonali delle cellule plasmatiche.
• Amiloidosi da transtiretina (ATTR), che può manifestarsi in forma ereditaria (hATTR) a causa di mutazioni genetiche, oppure in forma acquisita (wild-type ATTR), tipicamente correlata all’invecchiamento.
«Le manifestazioni cliniche variano in funzione della specifica forma della malattia, ma tra i sintomi più comuni si annoverano affaticamento intenso, dispnea da sforzo ed edemi periferici (gonfiore a livello di gambe e caviglie). Nei casi più avanzati, la patologia può condurre a aritmie e scompenso cardiaco.
«Oltre alle manifestazioni cardiache, l’amiloidosi può associarsi a segni distintivi quali sindrome del tunnel carpale bilaterale, stenosi del canale lombare e rottura atraumatica del tendine del bicipite brachiale.
«Tuttavia, la diagnosi è spesso tardiva, poiché il quadro sintomatologico può sovrapporsi a quello di altre patologie cardiache di più frequente riscontro.»
Negli ultimi anni, ci sono stati significativi progressi nella diagnosi e nel trattamento dell’amiloidosi cardiaca. Quali sono le principali novità in ambito scientifico e clinico su questa patologia?
«Tradizionalmente, la diagnosi di amiloidosi cardiaca richiedeva procedure invasive come la biopsia endomiocardica.
«Oggi, grazie all'avanzamento delle tecniche di imaging, è possibile identificare la malattia in modo non invasivo. In particolare, la scintigrafia ossea con traccianti specifici (ad es. 99mTc-DPD) consente di diagnosticare l'amiloidosi da transtiretina (ATTR) senza necessità di biopsia.
«L'ecocardiografia e la risonanza magnetica cardiaca con mapping tissutale sono strumenti fondamentali per valutare il coinvolgimento cardiaco, offrendo dettagli sulla struttura e sulla funzione del cuore.
«Nel trattamento della forma ATTR, l’introduzione di farmaci stabilizzatori della transtiretina, come il tafamidis, ha segnato una svolta, rallentando significativamente la progressione della malattia.
«Ulteriori innovazioni includono le terapie basate sul silenziamento genico (ad esempio, patisiran e inotersen), che agiscono riducendo la sintesi della proteina transtiretina.
«Per l’amiloidosi AL, l’ottimizzazione dei regimi chemioterapici ha contribuito a migliorare il decorso della malattia e la prognosi.»
Quali sono le sfide principali che i cardiologi affrontano oggi nella gestione dell’amiloidosi cardiaca? E come la ricerca sta cercando di affrontarle?
«La gestione dell’amiloidosi cardiaca pone numerose sfide ai cardiologi, che spaziano dalla diagnosi precoce alla scelta della terapia più adeguata.
«Tuttavia, la ricerca sta sviluppando strategie sempre più efficaci per affrontarle. Le sfide principali sono rappresentate da:
• diagnosi tardiva e sottostima della patologia. L’amiloidosi cardiaca è spesso confusa con altre forme di cardiomiopatia, ritardando la diagnosi.
• L’assenza di sintomi specifici e la scarsa familiarità della comunità medica con la patologia contribuiscono a questa problematica.
• Difficoltà nell’identificazione della forma specifica (AL vs ATTR). Distinguere tra amiloidosi AL e ATTR è cruciale per il trattamento, ma richiede test avanzati come scintigrafia ossea, biopsia e analisi genetiche, che non sempre sono prontamente disponibili.
• Gestione delle comorbidità e progressione della malattia. I pazienti con amiloidosi cardiaca sono spesso anziani e affetti da altre condizioni, rendendo più complessa la gestione terapeutica. L’insufficienza cardiaca avanzata e le aritmie sono difficili da trattare, limitando l’efficacia delle terapie tradizionali.
• Accesso limitato ai nuovi trattamenti. Sebbene farmaci innovativi come il tafamidis per ATTR e gli inibitori del proteasoma per AL abbiano migliorato la prognosi, il loro alto costo e la disponibilità limitata ne ostacolano l’uso su larga scala.
• Monitoraggio della risposta alla terapia. Valutare l’efficacia dei trattamenti rimane complesso, poiché i biomarcatori tradizionali (NT-proBNP e troponine) possono essere influenzati da altri fattori, e gli strumenti di imaging richiedono una continua validazione per monitorare la regressione o la stabilizzazione della malattia.
«Nonostante le difficoltà, i progressi nella ricerca stanno trasformando l’amiloidosi cardiaca da una malattia spesso fatale a una condizione sempre più gestibile, con prospettive di trattamento più efficaci e accessibili.
«L’uso combinato dell’intelligenza artificiale e strumenti di imaging avanzati (risonanza magnetica con mapping T1, scintigrafia con 99mTc-DPD) sta accelerando il riconoscimento della malattia in fasi iniziali.
«Dal punto di vista terapeutico oltre a tafamidis, le terapie di silenziamento genico (patisiran, vutrisiran) e gli approcci di editing genomico CRISPR (NTLA-2001) potrebbero rivoluzionare la gestione dell’amiloidosi ATTR.
«Per la forma AL, gli anticorpi monoclonali diretti contro i depositi amiloidi stanno mostrando risultati promettenti.
«La creazione di centri di riferimento dedicati all’amiloidosi, con team specializzati di cardiologi, ematologi e neurologi, migliora la gestione personalizzata della malattia.
«Infine, studi clinici mirano a ridurre i costi dei trattamenti e ampliare l’uso di farmaci già approvati, rendendoli disponibili a un maggior numero di pazienti.»
Foto col suo staff.
Il Politecnico di Milano è all’avanguardia anche nella ricerca clinica per l'amiloidosi cardiaca. Quali progetti o studi innovativi stanno attualmente seguendo nel vostro reparto?
«Il Policlinico di Milano si distingue come centro di eccellenza nella ricerca clinica sull’amiloidosi cardiaca, avvalendosi di un approccio multidisciplinare che coinvolge cardiologi, ematologi, radiologi, medici nucleari, neurologi e genetisti.
«Attualmente, siamo impegnati in uno studio clinico randomizzato in doppio cieco, volto a valutare l’efficacia di un anticorpo monoclonale in aggiunta al tafamidis nel trattamento di pazienti affetti da amiloidosi cardiaca da transtiretina non ereditaria (ATTR wild-type).
«Parallelamente, portiamo avanti un ambizioso progetto di ricerca sui biomarcatori precoci, con l’obiettivo di migliorare la diagnosi tempestiva della patologia e affinare le strategie terapeutiche.
«Il nostro Istituto è, inoltre, parte attiva del Gruppo Italiano di Amiloidosi, un network di riferimento per la ricerca e la gestione clinica della malattia. In questa prospettiva, stiamo promuovendo, in collaborazione con altri centri di eccellenza, la nascita della Rete Lombarda dell’Amiloidosi, un’iniziativa volta a ottimizzare il percorso diagnostico-terapeutico e a garantire un accesso più equo e tempestivo alle cure per i pazienti affetti da questa complessa patologia.»
La diagnosi precoce è cruciale per migliorare gli esiti nei pazienti con amiloidosi cardiaca. Quali sono le tecniche diagnostiche più promettenti emerse negli ultimi tempi?
«La diagnosi precoce dell’amiloidosi cardiaca ha beneficiato di importanti innovazioni diagnostiche. La scintigrafia ossea con traccianti specifici consente di distinguere la forma ATTR da quella AL senza necessità di biopsia, mentre la risonanza magnetica cardiaca con mapping T1 e Late Gadolinium Enhancement permette di identificare precocemente l’infiltrazione amiloide.
«L’uso di biomarcatori plasmatici, come NT-proBNP e troponine, resta essenziale per il monitoraggio della malattia, mentre nuove molecole emergenti potrebbero affinare ulteriormente la diagnosi precoce. Dal punto di vista terapeutico, il tafamidis ha rappresentato una svolta nel trattamento dell’amiloidosi ATTR, rallentando la progressione della malattia e migliorando la sopravvivenza.
«I farmaci di silenziamento genico, come patisiran e vutrisiran, riducono la produzione della transtiretina mutata, offrendo nuove opportunità terapeutiche per la forma ereditaria. Inoltre, gli anticorpi monoclonali in sperimentazione mirano alla rimozione dei depositi amiloidi, mentre l’editing genetico tramite CRISPR-Cas9 rappresenta un approccio innovativo con il potenziale di bloccare alla radice la produzione della proteina patologica. L’approccio alla malattia sta dunque evolvendo rapidamente, con trattamenti sempre più mirati che migliorano la qualità di vita e rallentano la progressione della patologia.»
Qual è l'importanza della collaborazione tra i centri di ricerca e i professionisti della salute nell'affrontare malattie rare come l'amiloidosi cardiaca? Quali sinergie sono necessarie per garantire una cura migliore ai pazienti?
«La collaborazione tra centri di ricerca e professionisti della salute è fondamentale per affrontare malattie rare come l’amiloidosi cardiaca, poiché consente di unire competenze specialistiche, ottimizzare le risorse e accelerare l’accesso a diagnosi e terapie innovative.
«La creazione di reti interdisciplinari favorisce un approccio integrato, migliorando il percorso diagnostico e terapeutico dei pazienti.
«Sinergie tra clinici, genetisti, biologi e farmacologi permettono di sviluppare strategie terapeutiche più efficaci, mentre il coordinamento tra centri di riferimento garantisce un’equità nell’accesso alle cure.
«La condivisione di dati e risultati scientifici, sostenuta da studi multicentrici e registri internazionali, è essenziale per affinare la conoscenza della patologia e promuovere lo sviluppo di nuovi trattamenti, offrendo così prospettive sempre più concrete per il miglioramento della qualità di vita dei pazienti.»
Guardando al futuro, quali sono le vostre aspettative per la ricerca sull'amiloidosi cardiaca nei prossimi cinque o dieci anni? Dove pensate che possano esserci le scoperte più rilevanti?
«Nei prossimi cinque-dieci anni, la ricerca sull’amiloidosi cardiaca si concentrerà sull’identificazione di biomarcatori sempre più precoci e specifici, permettendo diagnosi tempestive e personalizzate. L’evoluzione delle terapie di silenziamento genico e l’editing genetico mediante CRISPR potrebbero rivoluzionare l’approccio alla malattia, intervenendo direttamente sulla causa biologica e non solo sui sintomi.
«Lo sviluppo di anticorpi monoclonali capaci di rimuovere i depositi amiloidi rappresenta un’altra frontiera promettente, con il potenziale di migliorare la funzionalità cardiaca e rallentare in modo significativo la progressione della patologia.
«L’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie di imaging consentiranno una stratificazione più accurata dei pazienti, ottimizzando le strategie terapeutiche e personalizzando le cure. Infine, il consolidamento di reti di ricerca internazionali e l’accesso sempre più ampio a sperimentazioni cliniche offriranno opportunità terapeutiche innovative, contribuendo a trasformare l’amiloidosi cardiaca da una malattia spesso fatale a una condizione sempre più gestibile.»
Nadia Clementi - [email protected]
Stefano Carugo - [email protected]
Medico Direttore di Dipartimento
Direttore di Struttura Complessa Professore Associato
Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università degli Studi di Milano
https://www.policlinico.mi.it/il-nuovo-policlinico
https://www.youtube.com/watch?v=9-wnTBUPlrc