Dialogo con la dottoressa Francesca Conci – Di Paolo farinati

Dalla sua promessa al nonno Angelo, al suo talento nella ricerca sulla SLA

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Abbiamo il piacere di proseguire il nostro cammino nel corso del quale incontriamo e dialoghiamo con alcuni dei nostri giovani più capaci, che sprigionano talento e passione.
Questa volta è il turno della giovane dott.ssa Francesca Conci, 26 anni.
Lo scorso anno si è laureata a pieni voti in Biotecnologie Cellulari e Molecolari e da qualche mese è stimata ricercatrice presso il CIBIO, Dipartimento di Biologia, Computazionale e Integrata, dell'Università di Trento.
Gli studi attuali di Francesca sono concentrati sulla SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, terribile malattia neurodegenerativa progressiva, di cui è morto il suo amato nonno Angelo.
Da qui il suo nobile impegno nella ricerca.
Ma ascoltiamola.

 

 
Gentile Francesca, iniziamo con una tua breve presentazione: quando sei nata, dove vivi, che scuole hai fatto, la tua famiglia.
«Sono nata il 15 settembre 1998 a Rovereto. Attualmente vivo con la mia famiglia, mamma Donatella, papà Valter, mio fratello Lorenzo e Calypso, la mia gattina, in una piccola frazione del Comune di Nogaredo. Dopo le scuole medie, ho deciso di intraprendere gli studi classici presso il Liceo classico “Antonio Rosmini” di Rovereto. Questa mia scelta era in parte dovuta alla mia passione per le lingue antiche, la letteratura e l’arte, e in parte al fatto che sono cresciuta in una famiglia che da sempre mi ha trasmesso l’enorme valore della cultura, soprattutto come mezzo di libertà.»
 
Quali hobbies hai? Cosa fai nel tempo libero? Pratichi qualche sport? Ascolti musica?
«Per molti anni, ho praticato danza classica con la Maestra Maria Grazia Torbol. Pur avendo abbandonato questa disciplina durante gli anni del Liceo, continuo a coltivare la passione per quest’arte, andando a vedere gli spettacoli quando c’è occasione. In generale amo dedicare il mio tempo libero ad eventi culturali, come mostre, concerti o presentazioni di libri, e al volontariato. Per molti mesi ho aiutato Simona e Roberta al centro di ascolto e solidarietà Caritas di Rovereto. Ho avuto anche l’occasione di conoscere le straordinarie realtà del Sermig di Torino e dell’associazione Libera, partecipando alle loro iniziative. Attualmente mi dedico all’attività di aiuto compiti a bambini stranieri delle scuole di Villa Lagarina.»
 
Quando è nata in te la passione e l’interesse per la ricerca?
«Il mio interesse per la ricerca è nato in un momento ben preciso della mia vita. Ho sempre riconosciuto l’importanza della ricerca scientifica, ma il coinvolgimento diretto è legato ad un evento che ha toccato da vicino la mia famiglia. Nel 2015, il mio amatissimo nonno Angelo si è ammalato di sclerosi laterale amiotrofica, la SLA, una grave malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni e per la quale non esiste ancora una cura. Per me si è trattato di un durissimo colpo, che all’inizio ho fatto molta fatica ad accettare. Nonno Angelo, oltre ad avermi cresciuta insieme a nonna Noemi, è sempre stato la mia guida e mi ha trasmesso quei valori che mi rendono la persona che sono ora. Lui, uomo mite e di immensa umanità, ha affrontato la sua malattia con tenacia, serenità e fede, lasciandoci in eredità le cose più importanti, ovvero il suo esempio di vita e l’amore. Durante questo periodo molto difficile, ho sperimentato la grande sofferenza che attraversa i pazienti affetti da questa malattia crudele e le famiglie che li accompagnano. Ho promesso, quindi, al nonno e a me stessa che avrei dedicato la mia vita alla ricerca sulla SLA, per dare speranza ai malati. Al tempo stesso, questo mi avrebbe permesso di tenerlo vivo e presente tutti i giorni nella mia vita.»
 
Ti sei laureata molto bene prima a Ferrara e poi a Trento. Raccontaci in breve queste tue due importanti esperienze.
«Dopo aver terminato il Liceo, mi sono iscritta alla Facoltà di Biotecnologie a Ferrara. Ferrara è una città molto vivace e ricca di stimoli per i giovani studenti, che vengono accolti in grande numero. Sicuramente, vivere e studiare a Ferrara ha rappresentato una grande opportunità di crescita personale; ho avuto modo di conoscere tante persone e stringere amicizie profonde. Purtroppo il COVID mi ha costretta a tornare a casa proprio verso la fine del mio percorso, che ho portato a termine con molta soddisfazione. Mi sono infatti laureata nel dicembre 2020, grazie al sostegno del professor Michele Rubini, mio relatore, il quale mi ha fortemente incoraggiata a proseguire la mia carriera scientifica. Ho deciso poi di frequentare il corso di Laurea Magistrale in Biotecnologie Cellulari e Molecolari presso il Dipartimento CIBIO dell’Università di Trento. Ho scelto di tornare a Trento perché il CIBIO è un’eccellenza del nostro territorio, non solo a livello regionale, ma anche nazionale e internazionale, e mi avrebbe permesso di specializzarmi nell’ambito della neurobiologia, che era ciò che più mi interessava. La realtà di Trento è molto diversa da quella di Ferrara; l’ambiente più ristretto e le risorse uniche messe a disposizione dall’Ateneo di Trento permettono di mantenere il livello di formazione degli studenti molto elevato. Inoltre, il fatto che molti Corsi di Laurea Magistrale siano svolti in lingua inglese rivela l’approccio internazionale dell’Università. Al CIBIO ho conosciuto il vero spirito della ricerca scientifica, soprattutto grazie all’anno di tirocinio che ho svolto nel laboratorio di Neurobiologia Trascrizionale della professoressa Manuela Basso. Grazie a lei ho potuto lavorare su un progetto di ricerca di base sulla SLA e di conoscere alcuni collaboratori, tra cui alcuni medici che si erano presi cura del nonno al CRESLA di Torino. Il 21 marzo di quest’anno, esattamente sette anni dopo la morte del mio carissimo nonno Angelo, mi sono laureata con una tesi sperimentale sulla SLA, compiendo con immenso orgoglio il mio primo passo nella ricerca su questa terribile malattia.»
 
Da qualche mese lavori al CIBIO, un Centro di Ricerca di Trento molto noto anche nel mondo. Su cosa stai lavorando e quali risultati hai sin qui ottenuto?
«Dopo la laurea, sono tornata nel laboratorio della professoressa Basso per fare ricerca con una borsa di studio. Attualmente il nostro laboratorio si sta occupando di progetti diversi riguardanti la SLA. Durante il tirocinio ho sviluppato una parte di progetto volto a studiare il ruolo delle vescicole extracellulari nella comunicazione fra diverse popolazioni cellulari del cervello nella SLA. Ora invece, sto lavorando su un progetto in collaborazione con l’Istituto Mario Negri di Milano, mirato a investigare gli effetti di alcune mutazioni in una proteina coinvolta nella malattia. Purtroppo, la SLA è una malattia estremamente eterogenea e complessa e studiarne i meccanismi patogenetici non è affatto facile. Ottenere risultati, anche minimi, richiede molto tempo e sforzo, per questo bisogna essere tenaci e credere fortemente nel progetto che si sta portando avanti.»
 

 
L’ambiente a Povo è buono? Come sono i rapporti interni con i colleghi?
«In generale, l’ambiente a Povo è stimolante e amichevole, ma, allo stesso tempo, molto impegnativo e, talvolta, competitivo. Nonostante questo, sono riuscita a instaurare ottimi rapporti con i miei colleghi di Università, costruendo un clima di sostegno e confronto reciproco. In laboratorio è indispensabile lavorare come in un team; come dice la professoressa Basso, è fondamentale essere generosi e condividere le proprie conoscenze, perché solo in questo modo si può progredire verso l’obiettivo.»
 
Qual è la tua aspirazione? Vorresti fare esperienza all’estero?
«La mia aspirazione è quella di proseguire con la ricerca sulla SLA. Sinceramente non miro a nulla di grandioso, ciò che mi interessa davvero è dare il mio contributo alla ricerca per capire qualcosa in più su questa malattia e, potenzialmente, trovare una cura. Mi piacerebbe moltissimo fare un’esperienza all’estero per conoscere approcci scientifici diversi, acquisire nuove competenze e per una mia crescita personale.»
 
Come ti vedi tra dieci anni?
«Tra dieci anni mi immagino di essere ancora una ricercatrice. Non so se in ambito accademico o aziendale, ma sicuramente vorrei continuare a studiare la SLA e scoprire qualche ulteriore tassello che aiuti a ricostruire il puzzle finale, che è questa malattia. Un altro mio desiderio è quello di diventare mamma, anche se sono consapevole che con questo lavoro scegliere di fare una famiglia non sia decisione facile.»
 
La ricerca è in costante evoluzione in tutti le scienze. Come può migliorare la vita dell’essere umano e la qualità dell’ambiente che ci circonda?
«Ricerca è futuro. Senza la ricerca, non c’è progresso. Per questo è davvero un peccato che spesso si decida di non investire o di togliere risorse a questo settore, soprattutto in Italia. Fare nuove scoperte, che possono trovare un’applicazione concreta nella vita delle persone, permette alla società di avere nuove cure, fare prevenzione e magari utilizzare materiali che siano ecocompatibili, per generare meno rifiuti o processi produttivi meno dannosi per la salute. Di conseguenza, tutto ciò può portare anche ad una riduzione della spesa pubblica, sia in ambito sanitario che della previdenza sociale, e allo sviluppo di condizioni di vita migliori, che permettano alla popolazione di essere più felice e fiduciosa nel futuro.»
 
Chiudiamo con un tuo messaggio d’incoraggiamento ai giovani verso la ricerca e lo studio.
«Le nuove generazioni sono artefici del futuro. Il potere di cambiare in meglio il nostro pianeta è nelle loro mani. Lo studio, la conoscenza sono chiavi che permettono di aprire molte porte, sia verso noi stessi, sia verso il mondo esterno. In particolare, la ricerca medica, che si occupa di un aspetto fondamentale della vita umana, la salute, produce speranza e, come diceva Sammy Basso, ci insegna “l’importanza di andare avanti quando sembra impossibile”. Più saranno i giovani a intraprendere questa strada e diventare ricercatori, maggiori saranno le possibilità di trasformare la speranza in risposte concrete contro la sofferenza dei malati.»
 
Grazie di cuore, cara Francesca, per le Tue risposte, tutte molto profonde e animate da una conoscenza e da una sensibilità assai rare. Sono più che certo che sono e saranno d’insegnamento ai nostri tanti giovani, come pure a moltissimi di noi più avanti con l’età.
Non possiamo che chiudere questo nostro bel dialogo con gli auguri più sinceri di un futuro ricco di felicità e di meritate soddisfazioni.
 
Paolo Farinati - [email protected]