La transizione dei paesi post sovietici e della Cina secondo Gérard Roland
«L'Autoritarismo non frena l'economia di mercato, ma senza mercato non ci può essere democrazia»
Le economie socialiste non avevano
né mercato né democrazia. Alcuni di questi paesi, in particolare
quelli dell'Europa centrale, hanno avuto una transizione verso il
mercato e la democrazia, la Cina ha vissuto e sta vivendo una forte
crescita economica pur rimanendo sostanzialmente un paese senza
democrazia, mentre la Russia e molti paesi dell'ex Unione
Sovietica, dopo aver vissuto un periodo di apertura democratica,
hanno imboccato la via dell'autoritarismo. Percorsi diversi che
insegnano una cosa: mentre un'economia di mercato può essere
compatibile con l'autoritarismo e l'assenza di democrazia, non può
esistere democrazia senza economia di mercato o, detto in altri
termini, la democrazia non è compatibile con l'economia
pianificata.
È la tesi che Gérard Roland, economista belga che insegna economia
e scienze politiche all'Università di Berkeley, ha esposto oggi a
Palazzo Geremia.
«La democrazia e la pianificazione centrale - ha spiegato Roland -
non sono compatibili perché è necessario imporre quotidianamente
numerose decisioni relativamente alla distribuzione delle risorse.
Prendiamo l'esempio dell'Urss: la crescita ha cominciato a
rallentare sotto Gorbaciov perché le imprese minacciavano di non
realizzare i propri piani di produzione a meno di non ottenere
maggiori risorse.»
«L'esperimento comunista - sostiene ancora Roland - ha dimostrato
l'inferiorità della pianificazione centrale rispetto all'economia
di mercato, ma l'incompatibilità di democrazia e pianificazione
centrale è una lezione cruciale anche del ventesimo secolo.»
In che modo si può spiegare questa divergenza? Studioso di economia
della transizione, Roland individua nell'inerzia in termini di
valori e credenze che ha caratterizzato quei paesi la spiegazione
dell'assunto iniziale. Tale processo ha interessato però in modo
diverso questi paesi, cosa che però non spiega da sola la
divergenza istituzionale fra Europa centrale e Russia e le altre ex
repubbliche sovietiche. Il sostegno alla democrazia è inferiore in
Russia ma non nell'ex Unione Sovietica rispetto ai paesi che hanno
di recente aderito all'Unione Europea, mentre il sostegno
all'economia di mercato è in generale maggiore nei nuovi stati
membri, ma è piuttosto variabile nell'ex Unione Sovietica: basso in
Russia, Armenia, Bosnia, Kazakhstan, alto in Mongolia, Albania e
Tagikistan, medio in Tagikistan, Montenegro, Serbia, Ucraina e
Uzbekistan.
Quale il ruolo svolto dall'Europa?
«L'adesione all'Unione Europea - afferma Roland - ha svolto il
ruolo di ancora istituzionale per i nuovi stati membri, così come
ha fatto a suo tempo per Spagna, Grecia e Portogallo. I previsti
benefici dell'adesione hanno portato all'introduzione di importanti
riforme istituzionali nei paesi dell'Europa centrale, si è trattato
di un incentivo che ha funzionato molto bene, basti ricordare la
situazione che c'era in Italia prima dell'adesione all'Euro, ma
questo incentivo è scomparso dopo l'adesione, creando una certa
tensione fra il progresso istituzionale compiuto e i valori
relativamente autoritari e interventisti. L'Unione Europea dovrà
quindi ancora svolgere un ruolo importante per stabilizzare le
istituzioni nei nuovi paesi membri.»
Se in Europa centrale la spinta alla democratizzazione è arrivata
dal basso grazie alla presenza di una forte società civile, in Urss
il cambiamento è avvenuto soprattutto in seguito al fallito colpo
di stato del 1991, che mise fuorilegge il Partito comunista.
«Ciò ha avuto un effetto importante sulle scelte delle istituzioni.
L'ex Unione Sovietica ha introdotto sistemi presidenziali forti,
mentre i paesi baltici e quelli dell'Europa centrale, dove c'era
una società civile forte, si sono introdotti sistemi politici con
una minore concentrazione di potere nelle mani dell'esecutivo.»
Un modello interpretativo, quello di Roland, che si ferma ai
confini della Cina, che ha avuto la crescita più spettacolare di
tutti i paesi post comunisti, pur mantenendo un governo comunista e
pur essendo «molto più autoritaria della Russia di Putin», con un
basso punteggio per quanto riguarda lo stato di diritto. Un vero
rompicapo quello cinese, che per Roland è spiegabile solo guardando
alla storia di questo grande paese ed alla sua tradizione
meritocratica e di decentramento fiscale.
«Un posto di funzionario governativo è ancora oggi tra le carriere
più ambite e desiderate dai cinesi e c'è una grande competizione
all'interno dell'apparato burocratico. Di più, i leader provinciali
hanno autonomia sulle risorse fiscali e fanno velocemente carriera
se riescono ad avere una buona crescita economica nei territori da
loro amministrati.»
Ma crescita e riforme non avvengono semplicemente riducendo il peso
del governo.
«Meritocrazia e decentramento fungono da sostituti dello stato di
diritto e della separazione dei poteri. Una meritocrazia che è
riuscita a raggiungere tassi di crescita spettacolari dovrebbe
essere in grado - sostiene Roland - di ottenere altri obiettivi -
ad esempio la riduzione dell'inquinamento ambientale - se esistesse
la volontà politica, cosa che invece fino ad ora non si è
vista.»
«Dunque l'esperienza comunista - questa la conclusione di Gérard
Roland - si è avuta la dimostrazione dell'incompatibilità della
pianificazione centrale con la democrazia. Le differenti
traiettorie democratiche in Europa centro-orientale, dove una
maggiore democrazia si è associata ad una migliore crescita
economica, si possono spiegare con una combinazione di differenze
culturali, con l'adesione all'UE e con il diverso sviluppo della
società civile. Mentre la crescita cinese, unica fra i paesi post
comunisti, trova ragione nella meritocrazia e nell'obiettivo di
governo, nazionalista, della crescita che hanno sostituito lo stato
di diritto.»