Come sarà il mondo dopo il Covid? – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con il sociologo, traduttore e scrittore Riccardo Mazzeo

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L’emergenza Coronavirus ci ha imposto uno stop.
La società liquida, così come definita da Bauman, uno dei più importanti sociologi europei del ’900, ha improvvisamente rallentato il suo corso, veloce e frenetico.
Da un giorno all’altro abbiamo cambiato le nostre abitudini quotidiane, ci siamo adeguati a un nuovo modo di lavorare e a un nuovo modo di studiare, abbiamo ridotto i consumi e rinunciato agli incontri fisici.
Improvvisamente la nostra percezione dell’altro è cambiata, come è cambiata la nostra percezione del tempo.
Un tempo che sembra essersi dilatato ci sta offrendo la possibilità di riflettere e capire cosa c’è di veramente importante nella vita di ognuno di noi.
 
In pratica, il Covid ha cambiato profondamente il nostro modo di vivere con noi stessi e con gli altri a causa della reclusione e del senso di paura e di confusione che essa stessa ha creato.
L’essere umano si sente invincibile di fronte a qualsiasi minaccia, ma questo periodo ha dato prova del fatto che è molto più fragile di ciò che si pensi, basta disallineare leggermente gli equilibri per farlo cadere in uno stato di shock che, consapevolmente o no, continuerà a farsi sentire nella vita di tutti i giorni.
Chi l’avrebbe mai detto che in un’era così utopica della storia dell’umanità un virus avrebbe messo la nostra colonna portante in ginocchio?
Le stesse istituzioni politiche, economiche e sociali hanno subito un forte senso di disorientamento all’arrivo di questa nuova minaccia, di conseguenza i membri di tutte le comunità mondiali si sono trovate in preda alla paura.
 
Di fatto, la pandemia ha messo in pausa il motore del mondo: le interazioni sociali, e anche se siamo nell’era della tecnologia un cellulare non basta a colmare il nostro bisogno di nutrirci dell’altro.
Ma questo tragico avvenimento ha un’altra faccia, perché ci è stato vietato di avvicinarci a meno di uno/due metri l'uno dall'altro e di riflesso il nostro inconscio è stato condizionato a tal punto da farci temere il prossimo.
Non è difficile pensare che la paura dell’esclusione di cui parlava Bauman si sia insinuata nelle nostre vite nel contesto pandemico che stiamo vivendo, perché il Covid è un nemico invisibile che prende le sembianze di ognuno di noi, di conseguenza siamo diventati tutti nemici di tutti.
Bauman inoltre ha additato la causa di tutte le nostre paure al declino, alla scomparsa della stabilità economica, sociale e politica.
 
Come sarà il mondo dopo il Covid?
Lo abbiamo chiesto allo scrittore e sociologo Riccardo Mazzeo autore di numerosi libri con Zygmunt Bauman, Edgar Morin, Tariq Ramadan, Miguel Benasayag e Agnes Heller.

Chi è il dott. Riccardo Mazzeo?  
Laureato in lingue e letterature straniere, dopo un master triennale in Gestalt Therapie ha lavorato per 25 anni come editor in chief e rights manager della Erickson e nel 2014 ha rassegnato le dimissioni per scrivere i suoi libri. Ha tradotto più di cento volumi da inglese, francese e spagnolo, e le sue opere scritte in inglese sono state tradotte in molte lingue fra cui l'arabo e il turco. In uscita la versione cinese di Elogio della letteratura, scritto con Zygmunt Bauman.

Dottor Mazzeo, secondo lei quali sono le cause sociologiche che il Coronavirus ci ha lasciato e continua a lasciare?
«Innanzitutto ci ha mostrato l'inadeguatezza della sociologia medesima a decodificare cambiamenti repentini come quello in cui siamo incappati a partire dall'anno scorso.
«La sociologia analizza fenomeni che si dispiegano in un tempo lungo, e al contrario la pandemia ha prodotto cambiamenti inaspettati, imprevedibili e in continuo mutamento.
«Basta ricordare come ci si sentisse al sicuro prima della seconda ondata con l'illusoria convinzione del liberi tutti, e come finanche adesso che i vaccini sembrano garantirci la fuoruscita dal tunnel le varianti più diverse (l'ultima quella indiana) mettano in forse la tenuta della preservazione nonostante i vaccini.»
 
Il suo caro amico Zygmunt Bauman, sociologo e scrittore polacco, ha coniato il termine «società liquida», definita tale perché instabile, priva di equilibri e di punti di appoggio certi, profondamente modificata dall’avvento della globalizzazione e delle nuove tecnologie. Secondo lei, Bauman, aveva già previsto tutto?
«Bauman amava ricordare come la sua professione (la sua missione!) fosse quella del sociologo, non del profeta.
«Certo il suo acume, la lucidità con cui decifrava il mondo in cui viviamo e la potenza della sua immaginazione hanno consentito a lui come forse a nessun altro di cogliere le trasformazioni in atto e le nuove configurazioni che ne sarebbero scaturite.»
 

 
Bauman, inoltre, ha spesso parlato nei suoi scritti anche di «paura liquida», quel tipo di paura che non è facile da affrontare perché non se ne conoscono le cause. Cosa voleva anticipare Bauman con questa affermazione?
«La paura liquida è intrecciata al tipo di società in cui ormai viviamo, illustrata dal suo amico, che anch'io avevo frequentato, Ulrich Beck: la Risikogesellschaft, ovvero la società del rischio.
«Un tempo i processi che governavano la nostra vita erano più ordinati e consueti, benché vi fossero le guerre si poteva prevedere con ponderato anticipo che cosa sarebbe avvenuto nel prossimo futuro.
«E le guerre, quando scoppiavano, generavano paura ma non l'angoscia che tante persone provano in una società dell'incertezza come la nostra.»
 
La paura del contagio e la sfiducia nell’altro sono una cosa da temere e che potrebbe anche portare alla conflittualità interpersonale e alla rottura della coesione sociale? Il Coronavirus ci imporrà, secondo lei, una revisione della nostra gerarchia di valori?
«I pareri degli scrittori più illuminati in proposito sono discordi. C'è chi, come Massimo Recalcati, ritiene che la lezione del Coronavirus consista nella presa d'atto che ci si può salvare solo insieme agli altri e che la nostra società, ammorbata da una cinica individualizzazione negli ultimi trent'anni a partire dall'avvento del neoliberismo, riuscirà a essere più solidale e rispettosa dell'altro. Ma c'è anche chi, come Michel Houellebecq, pensa invece che quando usciremo dalla pandemia saremo ancora peggiori.»
 

 
Stiamo costruendo una realtà nuova, un’epoca post-Covid in cui regnerà ancora l’incertezza ma dove le priorità saranno sempre più chiare. L’importanza della salute e la necessità di trovare nuovi modi di lavorare renderanno diverso il nostro modo di vivere rispetto al passato? Cosa ne pensa?
«Le nuove tecnologie, con le immense nuove opportunità che offrono di comunicare da distanze infinite e di reperire informazioni con un semplice clic su Wikipedia, sono come un'ascia nelle mani delle persone.
«Un'ascia può tagliare i rami degli alberi e fare un fuoco per scaldarsi, ma può anche essere usata per tagliare teste.
«Allo stesso modo le meraviglie offerte da internet ci giovano e però ci inducono a rincantucciarci in una comfort zone dove non siamo più esposti ai pericoli, le frizioni, le sofferenze che fanno parte della vita autentica, quella offline, ma al tempo stesso nella vita online ci disabilitiamo dalla capacità di stare materialmente in mezzo agli altri.»
 
Mentre siamo alle prese con un presente che non ci aspettavamo, dobbiamo ricominciare a guardare al futuro, secondo lei, in che modo?
«Con una certa dose di fiducia, per quanto irragionevole possa sembrare. In psicologia esiste il concetto della self-fulfilling prophecy, ovvero la profezia che si autoavvera, che è fondamentale tenere presente perché se assumiamo un atteggiamento pessimista e ostile è molto più probabile che la risposta da parte degli altri sia negativa.»
 

 
Nella sua esperienza di scrittore e di editor lei si è occupato molto di educazione e formazione. All'epoca di internet e delle nuove tecnologie multimediali è ancora possibile «educare» i giovani?
«Secondo il grandissimo antropologo Gregory Bateson ci sono tre livelli dell'apprendimento: nel primo (quello di un tempo, ancora in auge in certe scuole) l'insegnante spiega e l'alunno deve saper ripetere, dopo averlo memorizzato, quanto è stato detto; nel secondo si offre allo studente una cornice e una variegata modalità di apprendimento che possono poi essere usate per imparare sempre cose nuove; nel terzo livello, salta qualunque cornice e si impara per dimenticare subito dopo assumendo sempre nuovi assetti: opportunità e pericoli, ma i nostri figli sono a proprio agio soprattutto nel terzo livello, propensi a cercare solo gli highlights (il goal segnato, il momento più esaltante del film) e poco inclini a sorbirsi tutta la storia – perdendosi in questo modo tutte le sfumature e le riflessioni che ci rendono veramente umani.»
 
Quali ripercussioni lascerà la pandemia nel futuro dei bambini?
«Hanno perso un pezzo di vita e sono numerose le voci che ne fanno un dramma, ma come per i figli della guerra, che comunque sono sopravvissuti e sono andati avanti, bisogna fare i conti con quel che c'è e personalmente non vedo il dramma di cui tanto si parla.
«Noi non siamo quel che gli altri (nella fattispecie la pandemia) hanno fatto di noi, ma con Sartre siamo ciò che riusciamo a fare di quel che hanno fatto di noi. Non siamo inerti, siamo fin troppo coccolati e viziati, dobbiamo imparare ad affrontare le difficoltà che la vita non mancherà di riservarci.»
 
Cosa le hanno insegnato le collaborazioni recenti, da intellettuali di valore come Bauman, Benasayag, Heller e Morin?
«La bellezza e l'importanza del pensiero critico e dell'etica.»
 

 
Che ruolo ha avuto l'incontro con Bauman nella sua vita?
«A parte genitori, figli e mogli, è la persona più importante che io abbia incontrato. Conobbi la sua opera negli anni Novanta, a partire da Modernità e olocausto, e lo incontrai per la prima volta nel 2006 al Festival dell'Economia di Trento.
«Di lì a poco diventammo amici e ci incontrammo spesso di persona. Curai il suo libro Homo consumens, tradussi altri suoi volumi, e ne scrissi due con lui, Conversazioni sull'educazione (Erickson) e Elogio della letteratura (Einaudi).
«Tenemmo insieme varie conferenze a Festival o altri eventi. Ho raccontato diffusamente la nostra storia nel libro «Bauman e Maggie», uscito per CurcuGenovese alla fine del 2019.»
 
Di che si sta occupando in questo momento? Qualche anticipazione sulle prossime pubblicazioni?
«Dopo l'uscita di Education and Intercultural Identity, di Bauman e Portera, che ho introdotto e curato per Routledge, usciranno il libro che ho curato per Mimesis Immigrate: tra gabbie esteriori e interiori, il potenziale trasformativo di sé e del mondo e il libro che ho scritto su Bauman per la collana Eredi di Feltrinelli che uscirà in ottobre.
«Poi ci sono le conferenze, la ricerca sulle rifugiate in Giordania, la collaborazione con l'università di Pisa, il nuovo ciclo di Cinema e letteratura, insomma avrò qualcos'altro da fare nel prossimo futuro.»

Nadia Clementi - [email protected]
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