Via degli Abati da Pavia a Pontremoli/ 1 – Di Elena Casagrande

Percorsa dal VII secolo dai monaci di Bobbio, attraversava gli Appennini in terra longobarda, prima che la Francigena diventasse la via principale per Roma

Segnaletica della Via degli Abati al bivio con la Francigena.

  La Via degli Abati era usata per ragioni religiose, diplomatiche e commerciali 
Fondata dal monaco irlandese Colombano nel 614 su terreni regalatigli dal re Agilulfo, l’Abbazia di Bobbio, detta la «Montecassino del Nord», divenne ben presto un centro strategico del percorso che da Pavia, capitale del Regno Longobardo, portava a Roma.
Passare dal Borgallo era la via più sicura per attraversare gli Appennini, almeno fino alla conquista del Monte Bardone (l’attuale Passo della Cisa), all’epoca in mano ai bizantini.
Altri conventi ed ospitali lungo la via garantivano gli appoggi necessari ai monaci, ai pellegrini
provenienti dal Nord Europa e ai commercianti che si spostavano tra Lombardia e Tuscia. Teodolinda aveva «sponsorizzato» a corte San Colombano, personaggio di spicco e noto in tutta Europa, per suggellare il passaggio dall’arianesimo al cattolicesimo e, al contempo, per dimostrare il legame del Regno al Pontefice.
 

Il Ponte Coperto sul Ticino a Pavia.
 
  Un altro itinerario europeo ripercorre i viaggi di San Colombano dall’Irlanda a Roma 
La Via degli Abati non va confusa con la Via di San Colombano, che parte dall’Irlanda - passando da Gran Bretagna (Cornovaglia), Francia, Germania, Svizzera, Austria e Italia - per raggiungere Bobbio e Coli, ricalcando i viaggi che Colombano e i suoi monaci intrapresero per ristabilire sul continente europeo, reduce da guerre ed invasioni, la fede cattolica «pura e non inquinata come si era conservata in Irlanda».
Ma anche se il tracciato è diverso, si trovano comunque cartelli della Columban Way anche sulla Via degli Abati che, da Pavia a Pontremoli, si snoda per 190 chilometri e si può suddividere in 8 o 9 tappe. Una volta arrivati a Pontremoli si può riprendere la Via Francigena fino a Roma oppure proseguire lungo la Via del Volto Santo fino a Lucca. Noi abbiamo suddiviso le tappe sfruttando i week end ed il «ponte» del 25 aprile, ripartendo, ogni volta, dal punto di arrivo della tappa precedente.
 

Il cartello della Via di San Colombano – The Columban Way.
 
  Iniziamo il cammino dalla Chiesa romanica di San Michele, uno dei tesori di Pavia 
Usciamo di casa prima dell’alba e così riusciamo ad arrivare a Broni in tempo per parcheggiare l’auto e prendere il primo autobus per tornare a Pavia ed iniziare da lì il nostro cammino. In città tira un vento gelido. Facciamo colazione di fronte al Ponte Coperto sul Ticino. Il proprietario sforna e farcisce ottime brioche, ma è anche un maratoneta. Ieri si è allenato tra le colline dell’Oltrepò Pavese ed è felice che iniziamo la Via degli Abati.
Alla splendida chiesa romanica di San Michele, il Santo guerriero e patrono del Regno Longobardo, timbro la credenziale e chiedo informazioni sulla percorribilità a piedi del Ponte della Becca. «Non c’è nessun divieto per i pedoni. Fatevi solo vedere, magari con uno straccio sopra il bastone» – mi dice il sagrestano. Il consiglio dello «straccio» mi turba un po’.
Nella cripta è esposta la statua di San Giuseppe: domani è la sua festa. Fra poco si celebrerà un funerale. Meglio andare.
 

La facciata della Chiesa di San Michele a Pavia.
 
  L’uscita dalla città diventa quasi un memento mori 
«Per fortuna che arriva la primavera» – dico a Teo. «Sto battendo i denti dal freddo». «Forza che c’è il sole» – mi risponde lui. Usciamo dal centro passando da Corso Garibaldi e poi da Viale Partigiani, senza tornare al Lungoticino.
Un anziano ci ferma a San Feliciano. «Qui è successa una cosa grossa. È apparsa la Madonna di Fatima! Ma non vogliono che se ne parli! Shhht» – ci bisbiglia. Cerca la nostra complicità e fa tenerezza. Gli offriamo un caffè e proseguiamo fino ai Bacini del Naviglio Pavese.
Si procede sempre diritti fino alle chiese di Santa Maria delle Grazie e di San Pietro in Verzolo: in entrambe stanno per celebrare altri due funerali.
Vabbè…mai «incrociati» tre funerali in una sola mattinata di cammino! «Che San Colombano voglia ricordarci qualcosa?»
 

I bacini del Naviglio Pavese.
 
  Dopo San Lazzaro finiamo in una lanca del Ticino ricca d’acqua e di pesci 
Al bivio per San Lazzaro lasciamo la città. La sua Chiesa è un esempio molto interessante di romanico lombardo con annesso ospitale e, non a caso, era sulla Via Francigena. Fa impressione vederla attorniata da condomini anni ’60.
Nei pressi della Cascina Francana (l’antico nome della Via Francigena) finiamo in una lanca, ovverosia un meandro abbandonato, del fiume Ticino. Un guardiano sta pulendo il prato davanti allo specchio d’acqua. Orgoglioso ci mostra le risorgive che lo alimentano. Qui è pieno di pesci. Gli chiedo cosa fare per arrivare sulla Via degli Abati e mi dice di tornare indietro. Per fortuna passa un ragazzo che ci indica un passaggio alternativo per riagganciare il cammino, accompagnandoci per un tratto, tra gli alberi attorno alla lanca.
 

L’abside di San Lazzaro e l’ospitale.
 
  Il sole si fa sentire e ci accompagna tra cascine, il fiume ed alberi fioriti 
Usciti dal boschetto Teo trova l’adesivo della Via degli Abati su un palo. «Ok. Ci siamo». Da lì, dopo il giardino pubblico, la via imbocca una stradina, che poi diventa sentiero, con una cascina, ad un lato e il Ticino dall’altro. Ranuncoli gialli, viole selvatiche e prugnoli fioriti rallegrano i nostri passi. Il sole comincia a scaldare.
Arriviamo sotto il Ponte della Becca camminando piacevolmente. Davanti ai cartelli escursionistici della zona due signore di Milano, Laura e Tilla, ci domandano informazioni sul tratto percorso sino a lì, dato che desiderano fare una passeggiata. Noi, invece, chiediamo se sul ponte, da cui sono appena scese in auto, vi sia o meno traffico.
 

Le prime fioriture lungo la Via degli Abati.
 
  Un consiglio: evitate di passare a piedi sul Ponte della Becca 
Laura ci sconsiglia di camminare sul ponte, dato che anche lei, in auto, ha avuto paura, stretta com’era dai Tir e dalle auto provenienti dall’altro lato della carreggiata. Tilla, invece, è più possibilista e ci fa un bastone, in men che non si dica, strappandolo da un arbusto, per issarci qualcosa a mo’ di bandiera. Io sono perplessa. Saliamo all’imbocco del ponte. È del 1912 ed è stato appena riverniciato, ma non ha né un marciapiede né una passerella per i pedoni. Ho paura.
Si ferma una signora con la sua auto. Tira giù il finestrino e ci dice di salire con lei. «Non si può attraversare il ponte a piedi. È troppo pericoloso.» Accettiamo e la ringraziamo tanto. Si chiama Sara e per noi è il primo «angelo» di questo cammino.
 

Il Ponte della Becca sulla confluenza tra i fiumi Ticino e Po.
 
  Il parroco di Broni, pur indaffarato per la Pasqua, ci accoglie con calore 
Al di là del Ticino la Via degli Abati prosegue tra campi gialli e verdi, su uno sterrato che ci fa mangiare la polvere delle auto che, di gran carriera, scendono verso il Po. A fatica riusciamo a fare una pausa per mangiare la focaccia acquistata al forno Mussini, a Pavia.
Sui cespugli, a lato della strada, ci sono tante coccinelle. Ne fotografo una e la invio all’amico pellegrino Chema di Oviedo. Ha perso da poco il fratello e la coccinella, chiamata nelle Asturie «perrín de Dios» (cagnolino di Dio), è un bel segno.
Entriamo a Broni dalla zona artigianale. Alla Casa parrocchiale don Marco sta scaricando i rami di olivo per la Domenica delle Palme. Subito manda il suo aiutante a prenderci due bottigliette d’acqua e si offre di mostrarci la Basilica di San Pietro. «Dovete visitarla. È importante, soprattutto per voi pellegrini, dato che qui riposa un Santo pellegrino.»

Elena Casagrande - [email protected]

Avvicinandoci a Broni.