Zigmunt Bauman: una lezione sulla «moralità commercializzata»
«Le risorse non sono infinite, non potremo lenire il dolore continuando semplicemente ad accrescere la produzione e il consumo»
Tutto esaurito per l'ultimo incontro
del festival dell'Economia, che ha avuto per protagonista il grande
sociologo di origini polacche Zygmunt Bauman, teorico della
«società liquida».
Introdotto dall'editore Giuseppe Laterza, Bauman ha parlato, con
toni a volte profetici, del mercato e del consumismo e di come essi
si alimentino oggi della mercificazione della moralità.
Laterza, nell'introdurre l'ospite, ha brevemente ripercorso i temi
toccati in questa edizione del festival, tutti legati alla
questione della libertà e della liberta economica in particolare:
la crisi economica, il ruolo dell'Europa, il rapporto
stato-mercato, l'immigrazione e così via.
«Bauman - ha ricordato - qualche anno fa aveva parlato in questa
sede del ruolo dell'Europa, oggi invece ci parlerà di libertà e
delle minacce alla libertà. Minacce che ha conosciuto molto bene,
avendo partecipato da giovane al cosiddetto ottobre
polacco, che criticava l'ideologia ufficiale sovietica e la
sudditanza di Varsavia da Mosca.»
Nel '68 venne messo all'indice dal Partito comunista per avere
solidarizzato con il movimento studentesco e denunciato
l'antisemitismo esistente nel suo paese.
Essendogli stato impedito l'insegnamento, è emigrato all'estero
dove nel corso degli anni ha analizzato il passaggio dalla
modernità alla postmodernità.
Si è occupato fra l'altro del consumo, delle vite di
scarto, ovvero dei lavoratori messi da parte dal sistema
economico perché superflui, ma anche della voglia di comunità che
emerge nelle società postmoderne.
Nell'ultimo periodo di è occupato anche di fenomeni molto
contemporanei come Il Grande fratello e Facebook, ma anche di un
tema centrale per l'identità dell'Europa quale è quello
dell'accoglienza. In questa edizione del festival ci siamo
concentrati sul tema dei limiti della libertà economica. La libertà
di pensiero è una caratteristica fondamentale dell'opera di Zygmunt
Bauman. per questo è particolarmente importante averlo con noi
oggi.
Bauman si è complimentato con chi ha messo a fuoco il tema di
questo festival, i confini della libertà economica, un tema che ha
definito fondamentale, «perché oggi cominciamo a capire che anziché
ampliare ed estendere le nostre opzioni il range di scelte a nostra
disposizione si restringe».
«Ad esempio, nei giornali sono apparse recentemente delle notizie
sul picco della produzione mondiale di petrolio, principale fonte
di energia odierna, che sarebbe stato già raggiunto, nel 2006. Da
allora c'è solo il declino. Abbiamo dei mercati basati sulla
competizione, che presuppongono la disponibilità di energia,
pensiamo a realtà come India, Cina, Sud Africa, che in passato
consumavano una quota di energia molto minore, per esempio perché
in essi non era diffuso il traffico privato.
«L'altra notizia è che entro il 2020 i prezzi degli alimenti
raddoppieranno. Ci sono già delle rivolte basate sulla scarsità di
cibo, nel mondo, cose che pensavamo appartenessero al passato.
«Il terzo elemento è l'aumento della disuguaglianza a livello
globale, per certi versi incredibile, perché va nella direzione
opposta rispetto a quella pensata dai pionieri della libertà e
dell'Illuminismo, come Cartesio, Bacon, Hegel.
«Il paese più ricco, il Qatar, ha oggi uno standard 428 volte più
alto del paese più povero, lo Zimbabwe.
«Il 20% dell'umanità (più ricco) controlla il 75% della ricchezza,
il 20% (più povero) il 2%. Fino a 30-40 anni fa il trend era
diverso, il divario fra i paesi sembrava destinato a colmarsi. Come
mai è successo questo? Ci sono due fattori fondamentali, e sono più
culturali e sociali che economici.
«Il primo è che vogliamo godere di una vita ricca, abbiente, il che
ci ha orientati ad assumere come principale indicatore l'acquisto,
lo shopping. Pare che tutte le strade che portano alla felicità
portino ai negozi.
«Ciò sottopone il sistema economico, e più in generale il nostro
pianeta, ad una pressione enorme.
«Ciò è disastroso per le nuove generazioni; è evidente che stiamo
vivendo al di sopra dei nostri mezzi, sulle spalle dei nostri
figli.
«Poi c'è la questione della risoluzione dei conflitti. Nel corso
della modernità abbiamo sviluppato la capacità di risolvere i
conflitti sociali, anche quelli legati alla diseguale distribuzione
dei beni, aumentando la produzione, il Pil.
«Quando il Pil cala non è che viene messa a rischio la
sopravvivenza alimentare, ma nonostante ciò si sviluppa il panico,
perché la gestione dei conflitti è tutta basata sull'aumento della
produzione e del consumo.
«Conosciamo la metafora della pagnotta: possiamo discutere come
distribuirla, oppure produrne anche un'altra. Ma le risorse per
produrre tutte le pagnotte che desidereremmo non sono infinite. Ciò
pone un grande interrogativo sulla crescita economica. Possiamo
trovare delle alternative alla crescita della produzione e dei
consumi per trovare soddisfazione, in definitiva per essere felici?
Ciò è necessario se non vogliamo distruggere il nostro habitat e
generare fenomeni catastrofici come le guerre.
«I livelli attuali di consumo sono già insostenibili dal punto di
vista ambientale e anche economico, come scritto da Tim Jackson in
un libro molto importante uscito due anni fa. L'idea della
prosperità al di fuori delle trappole del consumo infinito viene
considerata un'idea per pazzi o per rivoluzionari.
«Jackson dice che ci sono delle alternative: le relazioni, le
famiglie, i quartieri, le comunità, il significato della vita. Ci
sono enormi risorse di felicità umana che non vengono
sfruttate.
«Anche l'antropologia ci ha mostrato che in certe zone - remote -
del pianeta la formula di Adam Smith non funziona: si tratta della
formula ben nota per la quale il fatto che noi troviamo il pane in
panificio tutte le mattine è un frutto dell'avidità del
panettiere.
«Invece a volte le persone sono spinte a produrre e a condividere
ciò che producono da motivi diversi rispetto all'avidità. Le loro
attività non consumano molta energia e non producono rifiuti: la
ricompensa dei produttori è il rispetto e l'affetto della
comunità.
«Gli stili di vita che stanno dietro a questi comportamenti
producono molta felicità e soddisfazione, ma non sono
particolarmente favorevoli alla crescita della produzione.»
«La maggior parte delle politiche realizzate nel mondo dai governi
va esattamente nella direzione opposta. Queste politiche raramente
vanno al di là della prossima scadenza elettorale, raramente
guardano a ciò che succederà fra 20 o 30 anni.»
«Assistiamo a un processo di mercificazione e commercializzazione
della moralità. I mercati sono abituati ad orientare i bisogni
umani, bisogni che in passato non erano soddisfatti dal
mercato.
«Questo è ciò che io indico con l'espressione
commercializzazione della moralità.
«Il nostro reale bisogno dovrebbe essere prenderci cura dei nostri
cari. Credo che tutti noi qui in sala ci sentiamo in colpa perché
non riusciamo a trascorrere abbastanza tempo con i nostri cari.
«20 anni fa il 60% delle famiglie americane si ritrovava attorno
allo stesso tavolo per cenare.
«20 anni dopo solo il 20%.
«Le persone sono più occupate con il loro cellulare, il loro ipad e
così via.»
«La nostra vita quotidiana è profondamente cambiata, a causa anche
delle tecnologie, che hanno sicuramente prodotto delle cose
positive, ma hanno anche creato dei danni collaterali. Se oggi
usciamo senza cellulari ci sentiamo nudi.
«Il confine fra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla
famiglia è sfumato. Siamo sempre al lavoro, abbiamo l'ufficio
sempre in tasca, non abbiamo scuse. Dobbiamo lavorare a tempo
pieno.
«E più si sale nella scala gerarchica meno tempo per si ha sé. Si è
sempre in servizio.»
«Ovviamente i mercati e il consumismo non possono riparare questa
situazione. Possono però aiutarci a mitigare la nostra cattiva
coscienza e lo fanno spingendoci verso l'acquisto, lo shopping, il
mercato.
«Al tempo stesso disimpariamo altre abilità primarie. Ad
esempio a riconoscere il dolore. Il dolore morale, che è molto
importante, perché esso è un sintomo, ci aiuta a riconoscere la
fragilità dei legami umani.
«Improvvisamente abbiamo persone che hanno migliaia di amici in
internet; ma in passato dicevamo che gli amici si vedono nel
momento del bisogno, e questo non è esattamente il caso degli amici
che abbiamo in internet.»
«Fino a quando il nostro senso morale verrà mercificato, l'economia
crescerà perché messa in moto dai bisogni umani e dai desideri che
è chiamata a soddisfare, bisogni e desideri apparentemente
buoni, come dimostrare l'amore per gli altri.
«I grandi economisti del passato sostenevano che i bisogni sono
stabili, e che una volta soddisfatti tali bisogni possiamo fermarci
e godere del lavoro fatto. C'era la convinzione che alla fine del
percorso avviato con l'inizio della modernizzazione si avrebbe
avuto un'economia stabile, in perfetto equilibrio.»
«Successivamente si è presa una strada diversa. Si è inventato il
cliente. Si è capito che i beni non hanno solo un valore d'uso, ma
anche un valore simbolico, sono degli status symbol.
«Non si acquistava più un bene perché se ne ha bisogno, ma perché
si desidera. L'obiettivo quindi diventava sviluppare
sempre nuovi desideri negli esseri umani.»
«Ma anche i desideri ad un certo punto si scontrano con dei limiti.
Così, il limite è stato superato mercificando la moralità: non ci
sono limiti all'amore, non ci sono limiti all'affetto che vogliamo
dimostrare agli altri.
«Responsabilità incondizionata, condita da incertezze e ansie:
questo è il motore del consumismo odierno, questo l'impulso che ci
spinge a fare sempre di più, a produrre sempre di più.»
«Ma ciò non è possibile, le risorse sono sempre limitate. Non
potremo lenire il dolore di vivere semplicemente continuando ad
accrescere la produzione e il consumo.
«Ma il momento della verità forse è più vicino di ciò che ci dicono
le merci esposte sugli scaffali, gli amici su Facebook, gli esperti
di marketing. A meno che non intraprendiamo un cammino umano basato
sulla reciproca comprensione.»