Covid, Ivano Dossi getta la spugna – Di Giuseppe Casagrande

Lo chef della «Locanda D&D Maso Sasso» di Nogaredo si è arreso alla crisi. E già aveva abbassato definitivamente le serrande la «Cantinota» di Padergnone

Renato Filippi: lo chef della Locanda D&D Maso Sasso di Nogaredo, Ivano Dossi.
 
Il mondo della ristorazione, complice la pandemia, sta vivendo un momento davvero difficile.
È di ieri la notizia che anche la Locanda D&D Maso Sasso di Nogaredo (Vallagarina) ha chiuso i battenti. Nei giorni scorsi aveva abbassato definitivamente le serrande anche la storica Cantinota di Padergnone (Valle dei Laghi).
E altri locali del Trentino stanno per gettare la spugna, travolti dalla crisi. Particolarmente sofferta la decisione presa da Ivano Dossi, chef patron della Locanda D&D Maso Sasso, luogo di ritrovo e punto di riferimento in Vallagarina per gli amanti della buona tavola, buongustai trentini e non solo.
 
Ivano Dossi, originario di Brentonico, 25 anni fa aveva lasciato i ristoranti stellati e la grandeur della splendida Versailles per tornare in Italia con la moglie francese Sandrine, portando in Trentino una ventata di internazionalità che ha stimolato il settore dell'enogastronomia di casa nostra.
All'epoca era di moda la nouvelle cuisine. Ivano Dossi l'ha interpretata con intelligenza e buon senso coniugandola con i prodotti del territorio e con le tradizioni trentine.
Imperdibili i suoi risotti stagionali (con gli ortaggi in primavera), con le castagne e il Marzemino (in autunno), con il tastasàl (d'inverno).
E lo stesso discorso vale per gli gnocchi alle ortiche, per gli strangolapreti, per gli strigoli al ragù di Scottona, per le carni alla brace, per il galletto alla piastra, per il salmerino con le erbe aromatiche, per lo «stofìss dei frati».
 
A proposito di stofìss ricordo il menu presentato nel 2016 alla finale del Festival Triveneto del Baccalà.
Di straordinaria suggestione il carpaccio di baccalà farcito con coda di gambero e riso allo zafferano della Vallagarina, insalata di cavoli cappucci biologici della Val di Gresta, aceto di mele e olio gardesano.
Da applausi anche l'orzotto integrale al Marzemino con crema e sfilacci di «stofìss».
Una provocazione (simpatica) lo Stockburger con crema di sedano rapa e cipolle rosse racchiuso in una focaccina al rosmarino.
Chiusura in dolcezza con un semifreddo alle noci caramellate del Bleggio e susine di Dro.
 
Purtroppo, dopo 25 anni, complice la crisi legata alla pandemia, Ivano ha dovuto gettare la spugna e lasciare il maso della famiglia De Tarczal e la splendida balconata su Rovereto, location che da sola valeva il viaggio.
Ma il suo non sarà un addio definitivo al mondo della ristorazione. Egli è pronto ad affrontare una  nuova sfida ci ha confidato. In bocca al lupo, Ivano, meglio alla balena come direbbe il mio amico Edoardo Raspelli.
Nei giorni scorsi ha chiuso i battenti anche la mitica Cantinot" di Padergnone, da 100 anni (o giù di lì) meta preferita dai buongustai trentini e da quanti, anche dalla lontana Baviera, si recavano sul lago di Garda.
 
La Cantinota era la classica bottega di paese: negozio di generi alimentari, osteria, trattoria e luogo di incontro tra amici per una merendina o semplicemente per fare quattro ciacole in allegria tra un calice di vino della casa (alla spina) e una grappetta.
Memorabili i panini imbottiti, i taglieri dei formaggi e dei salumi, i sottaceti, i cartocci di «pesatei» e «anguiloti» marinati.
Un locale schietto e genuino in un ambiente informale: un bancone, quattro tavoli, niente tovaglie, pietanze presentate su carta oleata o sulla carta gialla da macellaio. Quanti ricordi.
E all'uscita i motti proverbiali dei fratelli Bressan: «Non metterti in cammin se la boca no la sa de vin».
O ancora: «Agli chef della tivù, preferiam la trattoria senza tivù».
Bei tempi.

Giuseppe Casagrande – [email protected]