Due volte orfani – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

L’orrore dei danni generati nel femminicidio è una costante indelebile

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Giada 33 anni, un figlio di 3 e un compagno che la scaraventa da un cavalcavia dell’autostrada. L’orrore dei fatti nel femminicidio è una costante, ma anche la meraviglia di parenti, amici, vicini di casa che non hanno visto e sentito (o non hanno saputo cogliere) nulla di una tragedia solitamente annunciata da tempo. Purtroppo una narrazione abituale.
Quello che cambia invece sono i luoghi, le stanze o i ponti, teatro della tragedia e gli scenari macabri dell’assassinio, mentre tutti i femminicidi hanno dinamiche simili, ovvero maschi «normali», apparentemente amorevoli o anche padri preoccupati che però per depistare la verità si inventano alibi e raptus o improbabili vuoti di memoria.
 
Ma quasi sempre dietro questi orrori, ci sono figli per anni testimoni silenziosi di un male lungo, annidato nelle stanze familiari dove invece dell’amore c’era l’abuso e il sopruso.
Di loro, vittime al pari delle loro madri uccise, al momento della tragedia si sa poco o nulla. Stanno sullo sfondo e spesso rimangono fantasmi cui andranno briciole di attenzione e qualche riga di cronaca. Ma anche questa è storia comune che però, secondo alcune ricerche, interessa quasi 2000 casi accumulati in 15 anni, come denuncia Anna Costanza Baldry nel libro «Orfani speciali» (Franco Angeli 2024)
Sono infanti, bambini e adolescenti che senza una fisionomia precisa che d’un colpo diventano «orfani due volte». Spesso testimoni oculari del massacro, hanno capito tutto della furia omicida di un padre che ha fatto respirare loro per anni, l’odio nascosto di una relazione violenta fatta di parole e gesti ricolmi di quotidiane offese.
 
Ma con la tragedia dove finiscono i figli del femminicidio? Quale destino li attende? Di solito se ne sa poco, anzi niente. Rimangono soli, sullo sfondo di uno scenario di rovine affettive, spesso tenuto insieme da menzogne sull’accaduto perché si crede che per aiutarli si debba addolcire la pillola. E anche quando hanno visto tutto, presenti alla furia omicida vengono imbrogliati. Loro che d’un colpo restano doppiamente orfani, di una madre uccisa e di un padre incarcerato o in qualche caso, suicida e vittime di un trauma immenso che ha bisogno di cure specifiche, non solo dell’umana pietà! Spesso a malapena trovano una famiglia conosciuta o meno che li accoglie e servizi armati di buona volontà ma con operatori non sempre preparati ad affrontare i postumi di una tragedia infinita.
 
Per anni, lavorando negli immediati dintorni della violenza sui minori ne ho incontrati anch’io di questi orfani, svuotati del presente e privati del futuro, dimenticati o invisibili, senza più riferimenti affettivi cui potersi aggrappare. Travolti da un dolore indicibile per un trauma complesso che sconfina in una sofferenza infinita e cronica. Perché sopravvivere alla violenza familiare e all’assassinio di un genitore da parte dell’altro, vuol dire essere figli senza voce e crescere senza diritti. Più ancora, feriti e dimenticati.

Giuseppe Maiolo- Psicoanalista e giornalista
Officina del Benessere
Università di Trento - Docente di Psicologia età della vita