La violenza giovanile e l’illusione di diventare famosi – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
Voler diventare ricchi e famosi non è un peccato ma, se non accade, non può essere dietro solo il fallimento
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È un buio denso, quasi impenetrabile, quello che avvolge l’esplosione della violenza giovanile di questi giorni. Ti chiedi il perché un 17enne massacri i membri della sua famiglia e cerchi spiegazioni all’uccisione di Sharom che nemmeno l’assassino sa dare.
Mi vien da dire che non c’è follia nell’uccidere senza sapere il perché e nemmeno raptus (che non esiste) nell’accoltellare padre madre e fratello. C’è più il vuoto pneumatico che dilaga dentro e ricordo un procuratore di Bergamo che anni fa, davanti ai ragazzini che gettavano pietre mortali dal cavalcavia dell’autostrada, dopo averli interrogati, dice ai giornalisti: «Teste vuote, dove non c’è dentro nulla!». Sono passati anni e siamo ancora lì, anzi peggio. Qualcosa ci è sfuggito di noi e dei figli.
Ma non scomodiamoci a cercare le motivazioni alla violenza nel colore della pelle, nelle origini o nella nazionalità acquisita o meno. La violenza cresce ovunque per una quantità di motivi che vanno cercati senza le banali semplificazioni di chi crede che le «pene esemplari» servano da sole a modificare il disagio giovanile.
Nella morte di Sharon non c’è la casualità di trovarsi sulla strada dell’omicida. Potrebbe esserci invece la povertà sociale e l’emarginazione, il degrado culturale e, perché no, anche le illusioni di un successo facile con cui cresciamo i giovani. Forse sta lì quel nulla che non riempie l’anima degli adolescenti di passioni ma allaga le mente di falsi valori.
Li facciamo diventare grandi con la nostra indifferenza senza mai ascoltarli davvero. A me colpisce sempre la frase «Era un bravo ragazzo che non ti saresti mai aspettato facesse quello che ha fatto». Eppure ha accoltellato uno ad uno i suoi familiari! Dopo chiama la polizia, ne rivendica l’impresa (quasi un vanto) e, forse, inventa la violenza del padre.
L’educazione disattenta e urlata che oggi prevale, non aiuta lo sviluppo di un minore, men che meno contiene la diffusa cultura della violenza che fa premeditare una strage senza che nessuno se ne accorga ma, prima ancora, normalizza le offese, le prepotenze quotidiane e le aggressioni.
Oggi sappiamo poco di quello che sentono i ragazzi e spesso ci sfuggono quei piccoli capò fuori misura che crescono e diventano bulletti dal futuro promettente.
Crescono con l’illusione di diventare famosi e cercano ricompense immediate dal popolo dei social che premia chi la spara più grossa. Conta allora diventare Supereroi, ricchi, famosi e riconoscibili e, pur di emergere, credono ci si possa consentire tutto. Ma lo abbiamo inventato noi adulti il «tutto è possibile» e li abbiamo imbrogliati e per paura degli inciampi a casa abbiamo fatto scendere il silenzio senza dire nulla sui comportamenti negativi che sono diventati «solo bravate».
A scuola poi si discute poco o niente su quello che accade nelle strade vicine. I giornali non arrivano o nessuno li porta in classe. La vita, quella reale, resta fuori dalle aule, mentre le coscienze rimangono inchiodate agli stereotipi del pensiero più diffuso o a quello urlato dalle Twitstar e dagli Influencer con milioni di «seguaci».
Voler diventare ricchi e famosi non è un peccato, ma se non accade, non ci può essere dietro solo il fallimento di una vita, la disperazione e la violenza oppure la pazzia. Il fallimento è di tutti noi.
Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento