Come cambia il ruolo dello Stato. – L’Europa fra imitazione e innovazione
Philippe Aghion: «ci vuole un eurogoverno che gestisca le politiche macroeconomiche.» - Priorità a liberalizzazione dei mercati e innovazione
Man mano che gli Stati si avvicinano
alla «frontiera tecnologica» - ovvero ad una fase di sviluppo
avanzata - sono sempre più necessarie politiche che incentivino
l'innovazione, la concorrenza, la flessibilità, la crescita
qualitativa della formazione, specie ai livelli più alti, e del
capitale umano. Questo però non significa che lo Stato deve
sparire. Piuttosto, deve intervenire in maniera diversa rispetto al
passato. Per l'Europa in particolare è necessario un eurogoverno
che faccia da contraltare alla Banca centrale e sappia varare le
opportune iniziative anticicliche.
Queste in sintesi le tesi esposte al castello del Buonconsiglio da
Philippe Aghion, docente di Economia ad Harvard e
collaboratore della Banca europea per la ricostruzione e lo
sviluppo.
Introdotto da Riccardo Gianola, vicedirettore de
«L'Unità», Aghion ha esordito mettendo a confronto la situazione
europea con quella degli Stati Uniti. «In passato - ha detto -
l'Europa non aveva grandi problemi; nella fase dell'immediato
Secondo dopoguerra ha messo a punto politiche di sviluppo
industriale in parte mutuate proprio dagli Usa che le hanno
consentito di rimontare in maniera piuttosto agevole lo svantaggio.
Le difficoltà sono iniziate con lo shock petrolifero, e si sono
acuite negli anni '90. Che cosa è mancato? Una politica che
favorisse l'innovazione, sempre più necessaria man mano che ci si
avvicina alla frontiera tecnologica e, di conseguenza, i tassi di
crescita dell'economia cominciano a calare.»
«Ciò che è emerso, - ha proseguito Aghion - è che l'Europa
disponeva di istituzioni e politiche che erano andate benissimo
nella fase successiva alla Seconda guerra mondiale, ma che ormai
erano palesemente inadeguate.
Contrariamente a quanto previsto dalla «vulgata liberista», però,
l'economista francese non è tanto favorevole ad uno smantellamento
dello Stato in favore del mercato. Piuttosto ad una radicale
trasformazione delle sue politiche.
«Nella fase di accumulazione del capitale possono essere efficaci
politiche come quelle adottate a suo tempo dalla Francia: sussidi
statali, limitazione della concorrenza, investimenti concentrati
sull'istruzione primaria e secondaria. Ma nella fase
dell'innovazione ci vuole tutt'altro: flessibilità, apertura al
commercio, stimolo agli investimenti privati, meno burocrazia e
meno costi per le nuove imprese che entrano nel mercato, e che con
la sola loro presenza svolgono un ruolo positivo, incoraggiando
tutte le altre ad innovare. Ci saranno però anche quelle che non ce
la fanno: qui il ruolo dello Stato è importante, ad esempio
nell'orientare i lavoratori dimessi dalle aziende 'decotte' verso
quelle che stanno crescendo. Inoltre lo Stato deve investire di più
in istruzione superiore e università. Tuttavia all'università non
servono solo i soldi; ci vogliono anche regole di funzionamento
nuove, che vadano nella direzione di una sempre maggiore autonomia
degli atenei e nella crescita della concorrenza.»
Per quanto riguarda l'Europa, negli ultimi anni è mancata una forte
politica anticiclica, che compensasse ad esempio il calo degli
investimenti privati dovuto ai vincoli creditizi. In risultato è
che dalla fine degli anni '90 siamo in una fase di stagnazione, e
abbiamo perso terreno nei confronti degli Usa.
(mp)