A Palazzo Calepini, Fuoco incrociato tra sindacati e imprenditori

Fedeli: «Voi di Confindustria rischiate di frenare il cambiamento» Usai: «Ragioni economiche non ci permettono di fare di più»

Confronto acceso, ma sempre civile, questa mattina all'ex Fondazione Caritro dove i sindacati confederali e le associazioni imprenditoriali sono stati chiamati a discutere su temi tanto attuali quanto caldi. Sul tavolo: democrazia economica, responsabilità sociale dell'impresa ed il ruolo dei lavoratori nella crescita competitiva delle imprese.
Primo argomento disquisito, su suggerimento del moderatore, il giornalista Francesco Terreri, il modello tedesco. Modello recentemente importato nel nostro Paese, pur con modifiche strutturali importanti.

«Siamo molto lontani dal governare in questa direzione - dichiara Giorgio Usai, direttore relazioni industriali e affari sociali di Confindustria - Ricordiamo che la cogestione non è prevista da coloro che hanno inventato il modello e che i tedeschi stanno pensando a smontarlo. A mio avviso il tema della partecipazione dev'essere scisso in tre grandi pilastri: la partecipazione gestionale e la partecipazione economica, dove troviamo l'Italia avanti rispetto ad altri Paesi, e la partecipazione finanziaria su cui il nostro Paese deve ancora lavorare molto.»
Sulla partecipazione gestionale, fa notare Usai, non si può dimenticare quanto fatto dall'Europa. Sin dagli anni '70 il «vecchio continente» ha coinvolto i lavoratori nella gestione delle imprese con varie sfumature. E ancora. Siamo in presenza di tre grosse normative che disciplinano i Paesi europei, ossia: i comitati aziendali europei; la società europea che non ha trovato però ancora attuazione pratica in Italia e, ultimi ma non per ordine di importanza, gli interventi di informazione e consultazione. Risultato:
«come sistema paese siamo avanti. Abbiamo una tradizione che vede, a partire dal 1976, interventi tesi all'informazione. Sul coinvolgimento dei lavoratori - afferma Usai - sul piano della partecipazione abbiamo avuto, ed abbiamo tuttora, un comportamento ineccepibile.»

«Forse qualche accelerazione la stiamo mettendo in atto - controbatte Valeria Fedeli, segretaria nazionale Filtra CGIL - ma non siamo certo stati in grado di fare una discussione sull'articolo 46 della Costituzione. Al contrario ritengo il 12 maggio una data storica perché abbiamo varato una piattaforma della riforma contrattuale che prevede il ritorno del dialogo. Il mio auspicio è quello di superare l'idea di antagonismo del rapporto tra capitale e lavoro. Certo - prosegue Fedeli - concordo con Usai quando dice che la nostra esperienza sta in campo rispetto a quella tedesca, ma è anche vero che abbiamo avuto una stagione in cui nei contratti nazionali si è inserito il tema dei diritti di informazione all'interno di un sistema che ha provato a costruire tutta una serie di contraddizioni del tipo "l'impresa è mia e la comando io.»
Senza la spinta delle direttive europee - fa notare la segretaria nazionale di Filtra CGIL - avremmo fatto fatica ad avviare la stagione dei CAI.
«Quello che voglio dire - afferma Fedeli - è che al di là che ci siano le leggi è una questione di scelta e questo indipendentemente dalle azioni di sostegno. Mi chiedo: perché non proviamo ad attuare normative anticipatrici per contribuire ad una cultura della partecipazione?»

«La discussione su quale modello partecipativo attuare - interviene Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato nazionale - è una discussione che importa a tutti anche nell'ottica della competitività. Voglio però fare l'esempio di alcune esperienze legate al mondo delle piccole imprese. Nello specifico: la bilateralità che si è sperimentata nel mondo dell'artigianato. Un modello che ha sperimentato aspetti di assoluta importanza non solo per gli addetti delle piccole e medie imprese ma anche per la rappresentanza dei lavoratori in generale.»

La parola è poi toccata a Nicola Ferrante, segretario generale CISL del Trentino.
«La partecipazione dei lavoratori ai destini dell'impresa è importante se viene colta dall'azienda come valore aggiunto. E questo si ottiene se l'impresa condivide con il personale le scelte strategiche. L'Italia, come diceva Valeria Fedeli, ha una caratteristica particolare: il 98,3% delle imprese ha meno di 20 addetti, numeri davvero esigui. Sulla partecipazione - sostiene Ferrante - abbiamo indubbiamente fatto passi avanti ma ora siamo un momento di regressione. Dalla Legge Draghi ci aspettavamo un riconoscimento del diritto di rappresentanza dei lavoratori ma di questo non c'è l'ombra. Riguardo i CAI, invece, nulla da dire sulla funzionalità eccellente ma la verità è che venivano chiamati non per discutere sulle scelte strategiche bensì per trovare soluzioni alle crisi delle aziende.»

A tenere banco nella discussione anche la partecipazione finanziaria, ossia la partecipazione dei lavoratori all'azionariato.
«Per decenni - ha commentato Usai - la CGIL ha fatto distinzione tra collaborare con l'impresa e collaborare nell'impresa. E ancora. Per la CGIL l'azionariato non è la strada da percorrere sebbene il codice civile ne stabilisca la partecipazione dal 1942. Quello che voglio far capire è che non c'è una preclusione ideologica del datore di lavoro. Ci sono delle difficoltà di ordine giuridico e legate alla composizione della governance. Quello che si deve fare è tenere separata la partecipazione finanziaria da quella economica. A mio avviso, la partecipazione economica è l'unico percorso che ci aiuterà a crescere. E' lì, infatti, che si misura la volontà dei lavoratori e dei sindacati nel raggiungimento di obiettivi di crescita per l'azienda. Obiettivi che devono essere, ovviamente concordati.»

Ribatte la tesi Valeria Fedeli.
«Concordo con Usai quando dice che stiamo passando da una logica di collaborazione ad una di partecipazione ma non è assolutamente vero che la partecipazione della CGIL parte da oggi.»
I primi passi da fare, secondo Fedeli, sono quelli verso la partecipazione economica facendo attenzione all'utilizzo dei fondi di gestione dei lavoratori ma soprattutto, e lo ripete con forza, aprire un terreno convenuto sulla cultura prima ancora che sulle regole della partecipazione.
«È qui la svolta che deve fare Confindustria: una svolta di sistema. Voi - dichiara Valeria Fedeli rivolgendosi a Giorgio Usai - state rischiando di frenare il cambiamento, la cultura di partecipazione perché la volete solo per piccoli pezzetti.»

«Non è affatto così - replica il direttore delle relazioni industriali e affari sociali di Confindustria - ci sono ragioni storiche ed economiche che non ci permettono di fare di più.