Lo spread siamo noi: da tiranno ad alleato, analisi di un mito

Giovanna Nicodano: «Se vogliamo regolare la temperatura della febbre da spread, dobbiamo essere noi a somministrare la cura»

Detestato, invocato, definito tiranno dell’economia: lo spread, soprattutto dal novembre 2011, ha torturato gli italiani ed è diventato di fatto il termometro dell’economia italiana.
Nemico dei nostri conti pubblici e privati, se aumenta, di conseguenza aumenta anche l’interesse che paghiamo sul nostro debito.
A causa di questo, il deficit peggiora e il debito cresce; le imprese pagano interessi maggiori sul debito e le famiglie sui mutui; il rischio di insolvenza delle banche aumenta.
E tutto questo fa ulteriormente aumentare lo spread: un vero e proprio circolo vizioso.
 
Per scongiurarlo, la ricetta sono austerità e riforme, con aiuti. Solo così lo spread può trasformarsi in un alleato.
«In realtà lo spread siamo noi – spiega l’economista Giovanna Nicodano, docente dell’Università di Torino e Research fellow al Collegio Carlo Alberto e presso Netspar (Network for Studies) - perché siamo anche noi che chiediamo i servizi, ma anche noi che finanziamo lo Stato attraverso i titoli. Lo spread ci segnala quando sbagliamo. Ma ci aiuta anche quando facciamo le cose giuste. Se non saremo abbastanza decisi con le riforme, avremo un alleato che, implacabile, ce lo dirà».
 
Ma come si può domare lo spread e quanto pesa sull’economia reale, sulla competitività delle imprese sulle tasche delle famiglie italiane? Bisogna innanzitutto capire come funziona il meccanismo.
«Lo spread – spiega Nicodano – è la differenza nell’interesse che viene pagato in virtù del maggior/minor rischio di insolvenza o bancarotta del primo. È misurato con la differenza di rendimento tra i titoli emessi dai due debitori: tra i titoli dello Stato italiano e il rendimento dei titoli tedeschi di pari scadenza. Se l’Italia va peggio, cioè quando il governo intraprende politiche che riducono la possibilità di rimborso – perché aumenta il deficit, o non attua riforme necessarie alla produttività - tutti cercano di vendere i titoli di Stato. Questo abbassa il prezzo dei titoli già in circolazione facendo salire il loro rendimento e spread. Quindi il meccanismo è del tutto fisiologico.»
 
«Ma esiste anche un’altra lettura - continua Nicodano - che si è fatta strada a livello politico negli ultimi tempi che sostiene che lo spread sia qualcosa di completamente staccato dall’economia, una sorta di allucinazione mentale di speculazione bancaria. In realtà non è del tutto sbagliato, perché lo spread ha a che fare con la credibilità e la reputazione del Paese nei confronti dei creditori. Un elemento ancora più decisivo alla luce della situazione del debito italiano (120%), che rende tutto ancora più difficile, perché il nostro Paese è ora di fatto in mano ai creditori. Di fatto è una spada di Damocle sulla testa degli italiani, che rischiano di non vedersi più finanziati».
 
Ma com’era la situazione prima dell’introduzione dell’euro?
«Non era affatto rosea: lo spread era alto, così come l’instabilità. Lo spread subiva comunque le oscillazioni legate al livello di affidabilità del governo italiano e di stabilità delle relazioni con gli altri Paesi. Alla sua introduzione, l’euro ha avuto un effetto catartico sullo spread, che è crollato. La scommessa di entrare nell’Euro è riuscita: è stato un ottimo investimento perché c’era un 5-6% del pil che poteva essere utilizzato per fare molte cose, tra cui risanare il debito. Ma troppo poco è stato fatto, rispetto agli altri Paesi (ad esempio il Belgio). Dal 1997 al 2008 c’erano le condizioni perfette per risanare l’economia italiana e le abbiamo sprecate. Ad aggravare le cose poi si è aggiunto il detonatore della crisi mondiale e siamo tornati indietro alla situazione pre-introduzione dell’euro. Come è nato per volontà politica, l’euro può anche «rompersi» per volontà politica. L’euro richiede convergenza: se non c’è, allora i Paesi gli elettorati dei singoli Paesi possono spaccare il sistema. Se esiste questa prospettiva, questo determinerà un aumento dello spread. Ecco perché oggi è importante difendere l’euro».