Che fine hanno fatto i generali al termine della Grande Guerra?
5. Italia – Seconda parte: il generale Luigi Capello e il Duca D’Aosta Emanuele Filiberto
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Dopo aver parlato di due generali molto popolari, Enrico Caviglia e Gaetano Giardino, eccone due agli opposti.
Luigi Capello, uno dei migliori generali dell’epoca, ebbe una fine ingloriosa.
Il Duca D’Aosta passò alla storia come il «comandante invitto» in quanto non è mai stato sconfitto, neanche a Caporetto.
Riposa a Redipuglia con i suoi soldati.
Capello
Luigi Capello era nato a Intra, sul Lago Maggiore, il 14 aprile 1859.
Durante la Prima guerra mondiale si distinse guidando le sue truppe in una serie di costose offensive sul fronte dell'Isonzo che si conclusero con limitati successi tattici soprattutto a Gorizia e sulla Bainsizza. Assegnato al comando della II Armata, venne sorpreso nelle fasi iniziali della battaglia di Caporetto e non riuscì a fermare l'avanzata del nemico prima di essere costretto a cedere il comando per seri motivi di salute.
Considerato responsabile della disfatta, non ritornò più in servizio.
Nonostante la sconfitta, Luigi Capello è stato ritenuto uno dei migliori generali alleati della prima guerra mondiale.
Dotato di una personalità dominante e di un carattere irrequieto e passionale, il generale dimostrò intelligenza e capacità tattica e strategica.
Uomo di grande spirito offensivo, ordinò una serie di attacchi frontali che costarono elevatissime perdite ai suoi soldati, ma secondo lo scrittore Mario Silvestri egli fu, per perspicacia, spirito d'iniziativa e capacità di analisi, «di gran lunga il migliore dei comandanti d'armata dell'esercito italiano».
Finita la Grande Guerra, Capello fu tra i primi ad aderire ai Fasci italiani di combattimento.
Fu chiamato a presiedere il Congresso di Roma nel novembre 1921 e nell'ottobre 1922 prese parte alla Marcia su Roma.
In seguito al voto del Gran Consiglio del 13 febbraio 1923, che dichiarava incompatibile l'adesione al Fascismo e alla Massoneria, Capello dichiarò apertamente la propria appartenenza massonica, ma non si dimise dal PNF.
E così, mentre i comandanti italiani della Grande guerra come Diaz e Badoglio furono fatti oggetto di onori da parte del regime, Capello fu emarginato, soprattutto a causa della propria appartenenza alla Massoneria.
Il generale Capello in una rara immagine sul campo.
Capello fu arrestato a Torino con l'accusa di aver preso parte all'organizzazione del fallito attentato contro Mussolini nel 1925 organizzato dal deputato social-unitario Tito Zaniboni.
Capello respinse tutte le accuse e dichiarò di aver avuto solo un incontro, il 2 novembre, con Carlo Quaglia, inviato da Zaniboni per potergli consegnare un prestito di 300 lire che serviva per finanziare una manifestazione di reduci antifascisti, ma di essere all'oscuro delle reali intenzioni di Zaniboni.
Quella transazione giustificò, per il regime fascista, il varo delle leggi miranti alla soppressione della massoneria in Italia, varate già in quello stesso anno.
Ma le responsabilità di Capello emersero ugualmente e Zaniboni cercò inutilmente di scagionarlo dal fallito attentato.
Dal canto suo, Capello si giustificò sostenendo che la propria avversione al Regime non si spingeva comunque fino a voler compiere un attentato.
Luigi Capello durante la detenzione a Formia.
Nel 1927 fu condannato a trent'anni di carcere, ma venne rimesso in libertà il 22 gennaio 1936.
La condanna abbreviata fu dovuta alla convinzione di Mussolini che, nonostante le prove, in realtà il generale fosse estraneo all'attentato, nonché per il riconoscimento degli importanti meriti di Capello acquisiti nella Grande Guerra.
Inoltre Mussolini aveva disposto la requisizione di alcuni locali della clinica del dottor Cusumano a Formia, all'interno dei quali (e dell'annesso giardino) Capello ebbe libera circolazione durante la detenzione, seppur sotto vigilanza da parte dei carabinieri.
Scarcerato, trascorse gli ultimi anni di vita in un appartamento in via Stazione San Pietro a Roma e le estati a Grottaferrata.
Morì a Roma il 25 giugno 1941.
Con decreto del 26 dicembre 1947 gli furono restituite tutte le decorazioni militari di cui era insignito, a partire dal 5 agosto dello stesso anno.
Il Duca D’Aosta
Emanuele Filiberto Vittorio Eugenio Alberto Genova Giuseppe Maria di Savoia, figlio del duca Amedeo di Savoia, a sua volta figlio del re d'Italia Vittorio Emanuele II, e di Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, nacque a Genova il 13 gennaio 1869.
Attraverso suo padre era nipote di Vittorio Emanuele II, mentre suo zio era Umberto I.
Egli era quindi cugino di primo grado del futuro sovrano Vittorio Emanuele III.
Divenuto il padre Amedeo re di Spagna, si trasferì con la famiglia a Madrid ed all'età di appena un anno vennero conferiti a Emanuele Filiberto anche i titoli di principe delle Asturie e infante di Spagna e designato quale erede successore per quel trono.
Per via dei contrasti con la politica spagnola, Amedeo di Savoia abdicò nel 1873, dopo soli due anni di regno e, tornato in Italia, gli venne riconfermato dal padre Vittorio Emanuele II il titolo di Duca d'Aosta, già ottenuto alla nascita ma abbandonato per il titolo regale ed eguale sorte toccò al figlio Emanuele Filiberto.
Dopo l'abdicazione del padre Amedeo di Savoia, Emanuele Filiberto non rivendicò mai alcun diritto sul trono spagnolo, crescendo e venendo educato in Italia come principe di casa Savoia a Torino, dove il padre prese residenza stabile.
Alla morte del genitore, avvenuta il 18 gennaio 1890, ne ereditò il titolo divenendo il secondo Duca d'Aosta.
Iniziò la carriera militare nel Regio Esercito nel 1884, entrando nell'accademia militare di Torino.
Nel 1906 ricevette il comando del corpo d'armata di Napoli, e trasferì l'intera sua famiglia alla Reggia di Capodimonte.
Nel 1911, pur con lo scoppio della Guerra di Libia, rimase in servizio a Napoli, ma questo non gli impedì di contrarre il tifo che lo colpì probabilmente durante le numerose visite a soldati malati e feriti che dal deserto libico venivano riportati in Italia.
Ancor prima dell'ingresso definitivo dell'Italia nella prima guerra mondiale, si rese partecipe di una mobilitazione occulta che lo portò con altri soldati a muoversi verso Mestre e poi verso Treviso.
Il generale Luigi Cadorna, incaricato della persona del duca, gli affiancò da subito i generali Augusto Vanzo e Giuseppe Vaccari.
Con l'apertura delle ostilità, il 24 maggio 1915, Emanuele Filiberto guidò, senza mai subire sconfitte sul campo durante l'intera durata del conflitto (da qui l'appellativo di Duca Invitto), la Terza Armata col grado di generale.
La sede dell'Armata fu, per un periodo, Cervignano del Friuli; il comando era sito nella villa Attems-Bresciani.
L'obiettivo delle operazioni era far indietreggiare l'esercito austro-ungarico che difendeva da est.
La Terza Armata, insieme alla Seconda, riuscì ad effettuare un parziale sfondamento delle linee austriache e a conquistare Gorizia nella sesta battaglia dell'Isonzo, dove il duca diede un apporto strategico fondamentale alla riuscita dell'operazione.
Dopo la disfatta di Caporetto la sua Armata dovette ritirarsi insieme alle altre sulla linea del Piave.
Dopo Caporetto ci si aspettava che Emanuele Filiberto dovesse naturalmente assumere il comando supremo che era stato di Cadorna, ma il cugino Vittorio Emanuele III decise di nominare invece l'allora sconosciuto generale Armando Diaz, che aveva servito sotto lo stesso Emanuele Filiberto.
Le ragioni furono due, uguali e contrarie. Nel caso di sconfitta la Corona sarebbe stata travolta nel fango, nel caso di vittoria il Duca avrebbe oscurato il re Vittorio Emanuele III.
Nel 1922, durante la Marcia su Roma che diede inizio di fatto alla dittatura fascista in Italia, il duca d'Aosta venne proposto da Mussolini quale successore alla carica di re d'Italia nel caso in cui Vittorio Emanuele III si fosse opposto al movimento fascista.
L'evento non ebbe luogo, ma Emanuele Filiberto rimase sempre profondamente legato a Mussolini per la stima dimostrata e fu uno dei suoi principali sostenitori all'interno della casa reale italiana.
Per i meriti acquisiti durante la prima guerra mondiale e in riconoscenza al sostegno accordato da lui e dalla sua famiglia al Duce, il 17 giugno 1926 venne nominato Maresciallo d'Italia insieme a Pietro Badoglio, Enrico Caviglia, Gaetano Giardino e Guglielmo Pecori Giraldi, due anni dopo Luigi Cadorna e Armando Diaz.
Emanuele Filiberto morì a Torino il 4 luglio 1931 e, per sua volontà, venne sepolto tra i soldati nel sacrario militare di Redipuglia.
«Desidero che la mia tomba sia, se possibile, nel Cimitero di Redipuglia in mezzo agli Eroi della Terza Armata. Sarò con essi vigile e sicura scolta alla frontiera d'Italia al cospetto di quel Carso che vide epiche gesta ed innumeri sacrifici, vicino a quel Mare che accolse le Salme dei Marinai d'Italia.»
(Dal testamento spirituale del Duca d'Aosta)
Al titolo ducale gli successe il figlio primogenito Amedeo.
Ad Emanuele Filiberto sono dedicati il Ponte Duca d'Aosta sul fiume Tevere, a Roma, inaugurato nel 1942 su progetto dell'architetto Vincenzo Fasolo, ed il ponte monumentale sul Piave a Jesolo, inaugurato dallo stesso duca d'Aosta il 9 ottobre 1927, mentre la Regia Marina ha intitolato alla sua memoria un incrociatore che al termine del secondo conflitto mondiale venne ceduto in conto riparazione danni di guerra all'Unione Sovietica.
GdM
(Puntate precedenti)
Si ringrazia wikipedia per le note e soprattutto per le foto.