Storie di donne, letteratura di genere/ 562 – Di Luciana Grillo
Anna Di Cagno, «L’anno della garuffa» – Una storia impietosa di banalità e corruzione, che solo l’ingenuità perspicace di una ragazzina sa vedere con occhi limpidi
Titolo: L'anno della garuffa
Autrice: Anna Di Cagno
Editore: Arkadia, 2024
Genere: Narrativa femminile contemporanea
Pagine: 188, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
Il titolo evoca il gioco del biliardo, tanto diffuso in ogni paese italiano. Di solito, all’interno dei bar, un biliardo di legno e panno verde accoglieva i ragazzi che marinavano la scuola e si cimentavano con stecca e biglie, augurandosi di realizzare la garuffa, «uno dei tiri più difficili… consiste nel riuscire a imprimere un effetto contro la biglia battente in modo da deviare il suo impatto con la sponda corta».
Una deviazione improvvisa, imprevedibile.
L’anno è il 1978, l’anno del rapimento di Aldo Moro.
Per una strana coincidenza, poche ore prima dell’uomo politico, viene rapito un bambino di dieci anni, Luca, fratello minore di Dalila, più o meno amica di Monica che racconta in prima persona questo evento drammatico.
L’ambiente in cui questi ragazzi vivono con le loro famiglie è quello dei nuovi ricchi, un ambiente in cui si ostenta anche ciò che non si ha e si assumono atteggiamenti «strani», si creano amicizie apparenti, si intessono rapporti segreti, si fa uso di sostanze.
L’abilità dell’autrice è calarsi nei panni di Monica, raccontare ciò che la ragazzina vede, ascolta e intuisce con una prosa fresca e gradevole, con un piglio sincero e spesso critico nei confronti degli adulti e anche delle compagne di scuola.
Mentre Luca è prigioniero chissà di chi e chissà dove, Monica guarda intorno a sé con perspicacia, contesta la mamma secondo cui «io non posso capire, perché sono ancora piccola. Ma i grandi, sostiene, a volte non si sopportano, anche se si sono sposati. Però, dico io, se non li ha obbligati nessuno; lei invece dice che ci sono obblighi anche quando non ci sono obblighi. Una frase che non capisco, gli obblighi o ci sono o non ci sono».
E anche con il padre, Monica non è più tenera, benché riconosca che «per quanto molto più noioso di lei, ogni tanto almeno mi risponde e mi ascolta, o così sembra…».
Tra un capitolo e l’altro, l’autrice inserisce dei brevi paragrafi descrittivi che intitola «Polaroid», attraverso i quali chi legge vede le case, i paesi, le scuole dei protagonisti, villette e villoni, Club House dove si disputano tornei, dove i bimbi possono giocare al parco e tutti incontrarsi, parlare, fare affari o creare collaborazioni, sorseggiando un aperitivo al bar o pranzando insieme.
Dove un bambino viene rapito, c’è un commissario che aveva iniziato la sua carriera sperando di riuscire a cambiare le cose, convinto che lui e i suoi collaboratori «lontani dal potere politico e dai grandi gruppi industriali del Nord lì, in quel bordo dello stivale baciato dal sole avrebbero potuto fare la differenza, imporre la legalità e la verità. Poi però qualcosa non era andato nella giusta direzione…».
Altro personaggio che entra fra le pagine è la giornalista a cui Monica chiarisce le idee, rivelandole comportamenti e parole rubati ai grandi.
È Maria Grazia, giovane e intuitiva, spesso maltrattata da un capo nervoso e sgarbato. Lei va avanti comunque, cercando in quell’ambiente che vuole sembrare snob e raffinato di carpire notizie utili, mantenendo un rapporto semplice e amichevole con Monica che non sempre però è disposta ad aiutarla.
Entra in campo anche una fattucchiera che dovrebbe rivelare alla mamma di Luca dove si trova il bambino, ma in realtà non rivela niente.
Delude le aspettative… ma cosa poteva aspettarsi Ester, accompagnata da due amiche fidate, dalla sensitiva «grassa e deforme, seduta in maniera scomposta… si alza una voce roca, maschile e un alito di aglio invade la stanza… Non c’è spazio per tutte nella casa. La tenda continua a ondeggiare, mossa dal vento»…
Luca non torna a casa, il padre spera di ottenere favori che gli procurino tanto denaro, i rapporti fra amici – veri e finti – si intrecciano, mentre Monica e Maria Grazia cercano la verità.
E quando la trovano, Monica si rende conto che deve cambiare vita, deve impegnarsi in ciò che ama, deve pensare al suo futuro, fuori, lontano.
Ha capito che «i miei genitori pensano che il loro mondo sia il mondo, quello con la M maiuscola, e gli altri, tutti gli altri, degli ospiti di passaggio. In realtà è il contrario, il mondo fuori da questa casa è quello vero, ed è molto più grande e spero più bello».
Anna Di Cagno ha scritto un romanzo esemplare, una storia impietosa di banalità e corruzione, una vicenda che solo l’ingenuità perspicace di una ragazzina sa vedere con occhi limpidi.
Luciana Grillo - [email protected]
(Recensioni precedenti)