Lunedì 7 giugno è scattato il «Tax freedom day»

Secondo i conti fatti dalla CGIA di Mestre, l'Italia si trova al sesto posto tra gli stati europei quanto a pressione fiscale

In linea puramente teorica, oggi, finalmente, «terminano» di versare le tasse e i contributi previdenziali allo Stato. Per il contribuente medio italiano, pertanto, scatta il cosiddetto tax freedom day (giorno di liberazione fiscale).
Rispetto al 2021, quest’anno l’appuntamento arriva un giorno prima. Dopo poco più di 5 mesi dall’inizio dell’anno, praticamente dopo 157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domeniche, gli italiani finiscono di lavorare per assolvere tutti i versamenti fiscali dell’anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, contributi previdenziali, etc.) e da domani iniziano a guadagnare per sé.
 
 Tra i big dell’UE solo la Francia ha un fisco più esoso del nostro  
Dal confronto con gli altri Paesi europei non emerge un risultato particolarmente entusiasmante. Nel 2021 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino all’8 giugno (159 giorni lavorativi), vale a dire 5 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 7 se, invece, il confronto è realizzato con la media dei 27 Paesi che compongono l’Unione europea.
 
Se confrontiamo il «tax freedom day» italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (+14), mentre tutti gli altri hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale in anticipo.
In Germania, ad esempio, questo è avvenuto 4 giorni prima che da noi, in Olanda 14 e in Spagna 17.
Il paese più virtuoso è l’Irlanda; con una pressione fiscale del 21,5 percento, i contribuenti irlandesi assolvono gli obblighi fiscali in soli 78 giorni lavorativi, cominciando lavorare per se stessi il 20 marzo: 80 giorni prima rispetto al nostro «tax freedom day».

  La metodologia di calcolo del tax freedom day 
In che modo si è giunti a individuare il 7 giugno come il «giorno di liberazione fiscale» del 2022?
La stima del Pil nazionale prevista nel 2022 è stata suddivisa per i 365 giorni dell’anno, ottenendo così un dato medio giornaliero.
Successivamente, si sono considerate le previsioni di gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che i percettori di reddito verseranno quest’anno e sono stati rapportati al Pil giornaliero.
Il risultato di questa operazione ha consentito di calcolare il «tax freedom day» dell’anno in corso.
 
 Nel 2021 abbiamo avuto il record storico di pressione fiscale  
Osservando la serie storica, il giorno di liberazione fiscale più precoce è stato nel 20051. In quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 percento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle tutte le scadenze fiscali. Osservando sempre il calendario, quello più in «ritardo», come dicevamo più sopra, si è registrato nel 2021, giacché la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 percento e, di conseguenza, il «giorno di liberazione fiscale» è scoccato l’8 giugno.
È corretto segnalare che questo picco record di pressione fiscale non è ascrivibile ad un aumento del prelievo imposto l ’anno scorso a famiglie e imprese, ma alla decisa crescita registrata dal Pil nazionale (oltre il 6,5 percento) che, dopo la caduta verticale registrata nel 2020 (-9 percento), ha contribuito ad aumentare notevolmente le entrate.
 
 L’ingorgo fiscale di giugno: 141 scadenze  
Se, dopo il caso di scuola elaborato dall’Ufficio studi della CGIA, torniamo a occuparci dell’amara realtà, anche quest’anno giugno è caratterizzato da un vero e proprio ingorgo fiscale. Dalla lettura dell’agenda riportata sul sito dell’Agenzia delle Entrate scorgiamo che questo mese i contribuenti italiani dovranno assolvere ben 141 scadenze fiscali; di queste, ben 122 (pari all’86,5 percento del totale) imporranno agli italiani a mettere mano al portafoglio.
Un calendario fiscale da far tremare i polsi, che solleva ancora una volta un grande problema: in Italia non solo subiamo un prelievo fiscale eccessivo, ma anche le modalità di pagamento delle imposte provocano un costo burocratico che non ha eguali nel resto d’Europa.
 
 Nel 2022 lo Stato incasserà quasi 40 miliardi in più  
Nel 2022, invece, il peso del fisco, sebbene la crescita economica dovrebbe attestarsi attorno al 2,5 percento circa, è destinato a diminuire di 0,4 punti percentuali.
Ciò avverrà anche grazie alla riduzione delle imposte e dei contributi decisa dal Governo Draghi.
 
Le principali misure approvate l’anno scorso sono:
- riforma dell’Irpef (-6,8 miliardi di euro di risorse);
- esonero contributivo di 0,8 punti percentuali ai lavoratori dipendenti con una retribuzione mensile lorda inferiore a 2.692 euro (-1,1 miliardi di euro);
- esonero pagamento Irap alle persone fisiche (-1 miliardo di euro);
 
Se teniamo conto del leggero miglioramento in corso delle principali variabili economiche che si riflette sull’andamento del gettito, secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze nel 2022 lo Stato dovrebbe incassare quasi 40 miliardi di imposte e contributi in più rispetto al 2021.
Segnaliamo che una parte di questo incremento di gettito è sicuramente ascrivibile anche al forte aumento dell’inflazione che, secondo le previsioni, quest’anno dovrebbe oscillare tra il 6 e il 7 percento.
Pertanto, in un momento in cui le famiglie stanno subendo dei rincari spaventosi che rischiano di far crollare i consumi interni, sarebbe auspicabile che il Governo restituisse parte di questo extra gettito con meccanismi di fiscal drag. Una misura che rafforzerebbe il potere d’acquisto dei pensionati e dei lavoratori dipendenti, dando un sensibile sollievo soprattutto a coloro che attualmente si trovano in serie difficoltà economiche.