Festa del Papà, 19 marzo – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Abbiamo bisogno di festeggiare padri che accettano i conflitti ma siano in grado di negoziare le controversie e sappiano dare strumenti per risolverle

Quanto sono diversi i padri di oggi da quelli di un tempo! I patriarchi non ci sono più eppure parliamo ancora di cultura patriarcale quando, sotto questo aspetto, i papà si sono sbiaditi e in gran parte sono andati lontano dal modello forte e severo che dominava in casa.
I nuovi padri hanno scoperto l’amorevolezza e la funzione della protezione, l’accudimento e la favola della buona notte, le pappe, i pannolini da cambiare, l’attenzione per le emozioni e la tenerezza una volta sconosciute.
 
Hanno tolto la corazza, vien da dire, per abbracciare i figli e portarli a passeggio col marsupio.
Il cambiamento è notevole, inimmaginabile e può confondere, tant’è che spesso li abbiamo chiamati «mammi» a sottolineare un modo di essere più materno che maschile. Certamente non da «capo».
C’è in loro un impegno diverso e atteggiamenti rinnovati di partecipazione attiva alla crescita dei figli.
Secondo le stime in alcuni paesi d’Europa, di loro 1 su 4 decide di starsene a casa per occuparsi della gestione familiare e di educazione.
 
Il numero cresce, anche se mancano gli strumenti o le scuole per formare i padri, ma più ancora manca l’esempio di altri genitori come modelli capaci di lasciare segni.
Così questi maschi sanno cosa fa una madre e la duplicano, si mettono il grembiule mentre i figli sono piccoli e «mammeggiano», ma non sanno come fare i padri degli adolescenti.
Si ritirano invece, o se ne vanno mentre i figli hanno bisogno di trovarli in attesa al rientro dai fallimenti, magari per fare i conti come dice don Mazzi («Nel nome del padre» - Solferino editore).
 
Però i padri casalinghi piacciono alle le donne, sembrano sexy con quella loro dolce sensibilità, anche se qualcuno dice che hanno bassi livelli di testosterone e non più la mascolinità di un tempo.
Fare il padre adesso, vuol dire reinventarsi totalmente un ruolo e ridefinire un maschile che non significa forza e violenza ma attenzione, partecipazione e collaborazione alla crescita.
Soprattutto autorevolezza che non è imposizione autoritaria o condizionamento, ma capacità di aiutare i figli a diventare ciò che sono.
 
Non è di certo competizione ma affiancamento, attesa paziente e promozione di desideri più che soddisfazione di bisogni.
Non dovrebbero essere i figli ad aspettare che i padri tornino in scena, quanto piuttosto questi che sappiano pazientare.
C’è un grande bisogno di paternità in quanto dote necessaria per far diventare i figli uomini (e donne) responsabili.
Ma è capacità di presenziare concretamente alle necessità quotidiane e ad esempio stare ai fornelli, ma attenti alla parità di genere in pratica.
 
Serve un maschile accogliente e rassicurante da festeggiare ma che sappia educare con il suo modo di essere e non con le paternali.
Un padre che abbia in mente il figlio soprattutto in adolescenza ma non duplichi il codice materno permissivo.
Servono padri capaci di ascoltare la fatica del cambiamento dei figli e incoraggiare in loro l’attraversamento dei confini, ma pure decisi nel dare loro limiti.
 
Abbiamo bisogno di festeggiare padri che accettano i conflitti ma siano in grado di negoziare le controversie e sappiano dare strumenti per risolverle.
Padri capaci di sopportare i distacchi e educare alle relazioni.

Giuseppe Maiolo – psicoanalista
Università di Trento - Docente di psicologia delle età della vita
www.iovivobene.it