«Con i se e con i ma, la storia non si fa.» Ma il futuro sì

Il Parlamento ha avuto il maggiore cambiamento della sua storia, approfittiamone

Ci hanno sempre insegnato che «con i se e i ma, la storia non si fa». Verissimo. Ma non è affatto inutile esprimere valutazioni sugli errori commessi per non ripeterli nel futuro.
Ci riferiamo alle elezioni della settimana scorsa, dove il PD ha dimostrato che se avesse candidato Matteo Renzi al posto di Pier Luigi Bersani il Parlamento avrebbe avuto un cambiamento radicale. 
Cosa ce lo fa pensare? ma proprio la voglia di cambiamento radicale che hanno dimostrato gli elettori.
Vediamo di analizzare un po’ la situazione.
 
La coalizione di Bersani ha preso il 29,68 percento. Di fatto ha perso parecchio rispetto ai sondaggi di due mesi prima. Come avevamo detto, quando era arrivato ai vertici aveva solo da perdere. E così è stato.
Ma Bersani rappresenta qualcosa di vecchio, consolidato, appartenente a un tempo che fu. Non sarà colpa sua la scaduta del paese, ma c’era anche lui quando in parlamento studiavano  come abbattere Berlusconi invece di come guidare il paese.
Renzi invece era il giovane, il nuovo che avanza. Rappresentava il cambiamento, il vero partito democratico, nato non sulle ceneri del PC ma sulla cultura contemporanea.
Le primarie hanno dato ragione a Bersani, perché è sempre difficile lasciare la strada vecchia per la nuova.
 
Il vero fenomeno è stato Berlusconi, perché è riuscito a recuperare dall’inesistente 6 percento al 29,03 percento. Proprio lui ha fatto il recupero, non il suo partito. E neanche le sue promesse piuttosto vanesie: ha vinto per il suo impegno dimostrato nel voler «salvare il Paese» a tutti i costi. Tutti gli indecisi erano proprio i suoi sostenitori che, senza di lui, non avrebbero votato affatto.
La sua rimonta è partita dallo scontro con Santoro, a La7. Quell'inaspettato successo ha dimostrato come non fosse per nulla al tappeto e poi è andato avanti da Uomo di Stato.
Certo non rappresenta il nuovo, ma la verità è che a Berlusconi non è mai stato permesso di innovare. Lui le riforme ha provato a metterne in campo molte, ma ne ha fatte poche. E chi glielo ha impedito ha avuto anche il coraggio di dirgli che «non ha fatto le riforme».
Ma, comunque sia, ormai anche Berlusconi rappresenta il passato. Colpa o non colpa sua, ha fatto il suo tempo. E con lui se ne andrà anche il partito che ha creato e fatto resuscitare. Fine.
 
Il successo di Grillo, col suo 25,52%, potrebbe essere una vittoria di Pirro, ma è innegabile che il suo è un successo senza precedenti. Pensate: senza programmi, cioè senza promesse vanesie ma minacce. L’alternativa alle cose da cambiare non l’ha mai annunciata.
Il che sta a significare che dei programmi di governo alla gente non importasse molto. Importava cambiare e basta. E il Movimento 5 Stelle non è un movimento come fu agli inizi la Lega: Grillo è trasversale, è nazionale, è culturale.
Ricordate il film «Quinto potere»? Il leader aveva raccolto attorno a sé tutti coloro che erano «incazzati neri e tutto questo non l’accettavano più».
Ovviamente Grillo ha rubato elettori al centro e alla sinistra.
 
La Lega a livello nazionale è out. La vittoria in Lombardia (che non ci sarebbe stata se Centro e Sinistra non si fossero divisi) tutto sommato è giusta.
L’impressione è che si sia chiuso un ciclo. Un movimento che ha fatto il suo tempo, anche se le tre regioni del Nord economicamente più importanti rappresentano bene quella Padania che non sono mai riusciti a fondare.
A Casini i voti li ha portati via Monti. Tanto ha decantato le doti di Monti il taumaturgo, che alla fine i suoi voti sono passati al suo Mentore. Speriamo che sia contento, anche se lo dubitiamo.
Certo che anche questo fenomeno rappresenta ancora una volta (se ce ne fosse stato bisogno) che la gente voleva cambiare. E i sostenitori dell’UDC hanno cambiato voto, pur restando moderati, al centro.
 
E allora passiamo a Monti, che ha raccolto il testimone da Casini. Non è stato un flop, ma chi semina vento raccoglie tempesta: la gente ricorda benissimo le sue manovre. Il suo scarso 10 percento è importante sì, ma non è esaltante.
Ma Montezemolo dov’era? Ha fatto il classico «Armiamoci e partite»? No, aveva capito che lui rappresentava un ostacolo al cambiamento. Proprio lui che voleva cambiare, sarebbe stato solo l’emblema dello status quo.
Paradossale invece se si pensa che, senza Dellai, Monti sarebbe stato davvero un flop. Proprio quel Dellai che per quasi un anno si era opposto con forza alla politica centralista di Monti. Il principio che lo ha mosso è noto a tutti: «Non potendolo battere, non resta che diventarne il capo…».
Dati alla mano, Dellai ha raccolto proprio in Trentino il massimo successo della Lista Monti. Con lui potente nella Lista Monti, le autonomie non corrono rischi.
 
Anche i grandi scomparsi sono lì a testimoniare che la gente voleva cambiare, voltare pagina.
Non solo Fini, che nella sua lunghissima carriera è stato segretario anche del Movimento Sociale, ma anche nomi meno antichi come Di Pietro o recenti come Ingroia.
Insomma, eccoci qua. Abbiamo voltato pagina, ma non abbiamo ancora chiuso il libro. Non c’è una maggioranza, non ci sono in vista possibili accordi strategici, non si vedono volontà costruttive, la campagna elettorale continua.
Eppure, il Paese non può attendere. Napolitano non può sciogliere nuovamente le Camere perché glielo vieta la Costituzione in quanto il suo mandato è a scadenza (e poi non cambierebbe di molto la situazione per il momento).
 
Quindi bisogna giocare con le carte che sono state distribuite.
Il vincitore è Bersani, che non ha la maggioranza. Secondo è Berlusconi, col quale nessuno vuole allearsi. Terzo Grillo, che non vuole allearsi con nessuno. Quarto, avvantaggiato, Monti, senza il quale nessuno comunque farà un governo.
Cosa può accadere? Beh, anzitutto abbiamo fiducia nel fatto che la gente di buonsenso e buona volontà sta lavorando, lontano dai microfoni e dai riflettori. Nel frattempo proviamo a fare due conti.
Secondo noi è certamente Bersani che deve assumere l’incarico dal Presidente del Consiglio. Avrà l'appoggio di Monti senza difficoltà, secondo l’esempio proprio del Trentino dove sono riusciti a portare grandi risultati - separati insieme - il centro, la sinistra e il partito degli autonomisti.
 
Ma i numeri non bastano (anche perché magari Vendola non accetta Monti), quindi si deve guardare più in là.
Ovviamente si guarda al Cinque Stelle per la semplice ragione che i Grillini non sono collocabili in un preciso colore. Quindi sono aperti a tutti? Certamente no. E i deputati Grillini si sono riuniti a Roma per studiare il da farsi, quasi presi di contropiede dal proprio stesso successo. «Tema: e adesso?»
Qui si vedrà se Grillo, come diciamo noi, è sempre stato un politico o, come dicono i suoi detrattori, è rimasto un comico.
La stessa proposta di «non dare la fiducia ma di valutare di volta in volta le decisioni assunte dal governo», per quanto impercorribile, appare come un segno di buona volontà.
La logica sarebbe dunque quella di Bersani alla guida di un Governo formato da Montiani e Grillini. A seguire - ma materia del contendere - Mario Monti Presidente della Repubblica. Effettivamente sembra di mettere insieme l’olio e il sale, ma abbiamo fiducia.
 
Ad colorandum.
Volendo divertirci e fare fantapolitica con ironica concretezza, vediamo come potrebbe essere il governo che non ci sarà mai. 
Mario Monti, come detto, al Quirinale.
Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ministro dell’Economia, Pier Luigi Bersani. Ministro per il rilancio economico Silvio Berlusconi. Ministro dell’Interno e al decentramento, Lorenzo Dellai. Ministro per le riforme istituzionali, Giuseppe Piero Grillo. Ministro degli Esteri, Giulio Terzi (ci è piaciuto troppo in quest’anno alla Farnesina). 
Ci mancano nomi per ministeri importanti come la Difesa e la Giustizia, che ovviamente spetterebbero al PD. Gli altri dicasteri al M5S.
Questo non è il «se» né il «ma», tuttavia ci siamo divertiti con il «perché no?» ad andare oltre gli schieramenti per progettare un’ipotesi di governo irrealizzabile sì, ma sulla scorta degli errori fatti e da non ripetere.
 
G. de Mozzi.