Al Festival ci si interroga su «tecnologia e inclusione»

Parlano Gualtiero Fantoni, docente all’Università di Pisa, Luca Comper, dirigente della Provincia di Trento, e Vincenzo D’Andrea, docente all’Università di Trento

Oggi nell’ambito del Festival dell’Economia alla Fondazione Franco Demarchi si è parlato di Tecnologie e inclusione, un tema affrontato da prospettive differenti, sociologiche, tecnologiche e in termini di competenza.


Attraverso il coordinamento di Valentina Chizzola, ricercatrice e formatrice della Fondazione Demarchi, sono intervenuti Gualtiero Fantoni, docente di Processi di produzione innovativi all’Università di Pisa, Luca Comper, dirigente generale della Provincia autonoma di Trento, e Vincenzo D’Andrea, docente di insegna Progettazione partecipata e Sistemi informativi all’Università di Trento.
 
Siamo abituati a vedere le tecnologie come strumenti mediante cui interagiamo con il mondo e tra di noi, anche se in realtà da strumento con cui agiamo, la tecnologia sembra essere diventata l’ambiente dentro cui agiamo.
La Fondazione Demarchi si occupa di innovazione sociale sia nell’ambito della ricerca sia nell’ambito della formazione e in questo contesto è primario interrogarsi sui cambiamenti sociali prodotti dallo sviluppo e dalla diffusione delle tecnologie.
Tecnologie che impattano fortemente il mondo del lavoro, ma anche le modalità lavorative e le competenze richieste oggi ad un lavoratore o ad una lavoratrice indipendentemente dall’ambito lavorativo.
 

 
L’accostamento del concetto di innovazione sociale, tecnologie e industria 4.0 non è scontato.
Nella maggior parte dei casi quando ci si riferisce all’industria 4.0 si parla di tecnologie, innovazioni, investimenti e macchinari, ma la prospettiva può essere un’altra, un processo sociale al servizio della produzione.
Rispetto a questo Vincenzo d’Andrea sostiene che c’è una difficoltà nel misurarsi su cosa oggi si può fare e non si può fare con le tecnologie, che non dipende dalle competenze pratiche, ma dagli effetti legati alla digitalizzazione in relazione ai saperi che non ci vengono spiegati come la privacy, l’etica e le implicazioni legate all’accettazione di un determinato servizio.
Immaginando un futuro in cui «il 70 % dei bambini faranno mestieri – sottolinea d’Andrea – che magari non sono ancora noti, quello che è preoccupante non è l’imparare il mestiere da un punto di vista tecnico, ma è pensare a ciò che riusciranno a fare in relazione ai processi economici, culturali e sociali.»
 
Rispetto alle competenze del futuro Fantoni ritiene che sarà fondamentale la capacità di creare ponti tra linguaggi differenti.
E quindi non saranno importanti solo gli elementi tecnici individuabili in un curriculum vitae, ma bisognerà recuperare quelle competenze non scritte e che sono talvolta individuabili nei profili social.
Rispetto alle caratteristiche del capitale umano in relazione alla digitalizzazione, Luca Comper sostiene che «sempre più avremo bisogno di avere delle persone che siano dei team leader in grado di avere una visione sistemica, che sappiano integrare le competenze delle macchine, relative al sapere e al saper fare, con quelle delle persone legate all’essere, all’empatia, alla resilienza per far fronte ai cambiamenti.»
 

 
E la valorizzazione del capitale sociale avviene anche attraverso la progettazione partecipata, considerata un antidoto contro l’esclusione a cui può portare la digitalizzazione.
«La progettazione partecipata – spiega d’Andrea – nasce negli anni ‘70 in Scandinavia per mettere in luce la volontà dei lavoratori nel decidere in merito all’utilizzo delle tecnologie nel loro lavoro.
«Si parla quindi di processi inclusivi e di un processo che fa incontrare più competenze e che porta alla luce competenze esperte controbilanciate a competenze che confluiscono nel diritto alla cittadinanza.»
Per questo Fantoni sostiene che abbiamo bisogno di qualcun che sia in grado di fare emergere le criticità, poiché «è necessario ridare alle persone occhi delle persone pur con l’aiuto di strumenti tecnologici, ma senza che la macchina prenda il sopravvento nelle decisioni.»
 
Nei processi inclusivi bisogna partire dai problemi delle persone e «anche nell’ambito delle organizzazioni - sottolinea Luca Comper - strutturate per comparti verticali come la pubblica amministrazione, dobbiamo trovare dei meccanismi orizzontali per far pronte ai problemi.
«Al riguardo stiamo lavorando, ad esempio, su progetti inerenti la mappatura delle competenze e di trasmissione dei saperi, tra vecchie e nuove generazioni.»
Ma la tecnologia include o esclude? D’Andrea dice che «quando parliamo di infrastrutture nell’ICT tendiamo a vederle come hardware, ma c’è anche una parte software come ad esempio i motori ricerca o le enciclopedie digitali.
«Questi sono servizi gestiti il più delle volte da realtà private. Se fossero considerati come dei servizi pubblici, invece, si potrebbe ridurre forse il divario tra paesi ricchi e paesi poveri di informazione.»