Margherita de Cles: diario di viaggio ai tempi del Coronavirus
Prima parte: all’India a fare provvista di bellezza e ritorno... passando dallo Zimbabwe
La stilista trentina Margherita de Cles.
Cles, 13 febbraio.
Ennesimo viaggio, ennesima corsa, un volo da non perdere, una nuova avventura...
Un saluto veloce ai miei cari, un abbraccio al mio anziano padre e a mia madre con le sue mille raccomandazioni. Parto con il volto coperto, la mia mascherina di tessuto a cuori mi conforta.
Direzione ospedale di Rovereto, pensare che non sono riuscita a trovare una mascherina in nessuna farmacia.
Mauro mi riceve all'ospedale e mi consegna con le dovute istruzioni mascherine, igienizzante e guanti. Finalmente salgo in auto e mi concentro alla guida.
Dopo qualche ora arrivo a Malpensa e l'unica cosa che desidero fare è salire finalmente sul volo air india Milano-New Delhi.
Era da mesi che non prendevo un volo, sarà che viaggiare è come fare ginnastica, dopo un po’ si corre il rischio di perdere l’allenamento.
Il motivo del viaggio è come sempre business and leisure, un matrimonio all'indiana e un po’ di selezione di stoffe e accessori per la mia prossima collezione moda, ottima scusa per partire. Bollywood wedding non è mica da tutti i giorni… 5 giorni di feste, di celebrazioni e tradizioni, sfilate di saari e abiti da sera coloratissimi e ricamati a mano, talmente ricchi e pesanti che non si vede l’ora di togliere, dopo avere naturalmente fatto numerose foto e selfie da postare sul proprio IG account.
Pur quanto ami la mia terra d'origine, ogni tanto ho bisogno di essere travolta da profumi, da sapori e da culture esotiche e ricordare che ogni volta che viaggio porto con me la mia amata Italia e i miei amati Trentino e Sicilia.
Sull’aereo sono l’unica ad indossare la mascherina, il mio vicino inizia a parlarmi ma io un po’ per la stanchezza e l’adrenalina mi addormento con facilità a tal punto che non rendo nemmeno conto che dopo qualche ora arrivo a New Delhi.
Mi guardano tutti strana, sarà i capelli scompigliati o il trucco non fresco… ma no, certo è la mia mascherina… attorno a me nessuno sembra sappia cosa sia il corona virus, sono un'aliena tra i turbanti dei sikh e i baffi lunghi e neri delle guardie all’uscita dell’aeroporto...
Penseranno che sono malata?
Dopo una coda selvaggia e non certamente stile giapponese, riesco a salire sul taxi.
Di lì a poco raggiungo il condo di Gurgaon, la mia casa in India, dove mi aspetta la mia famiglia indiana, i Dwibedy’s, della casta dei brahamini, una tra le più alte, costruttori di chiese e scuole cristiane ma di religione hindu la più diffusa in India, amici inseparabili da dieci anni, quegli amici che ti scegli perché non potrebbe essere diversamente.
Nemmeno il tempo di abbracciare tutta la famiglia Gautam, che dopo trucco e parrucco rigorrosamente a domicilio, sono pronta per indossare il primo saari della mia collezione, un omaggio al capo d'abbigliamento femminile più femminile che esista assieme al kimono.
Perché l'eleganza è nel colore e nella sobrietà.
Swarosky, fiori esotici e lanterne volanti, giardino immenso e candele profumate sui tavoli dove si fuma narghilè, il mio passatempo preferito... Il buffet è all'aperto, la musica e cibo non mancano e gli sposi più che parlare con gli ospiti, danzano, danzano e danzano.
Incontro vecchi amici, bevo un bicchiere di sula e mi godo una serata di fine inverno a Delhi.
Un ultimo Bollywood dance, un namaste e tutti e poche ore di sonno per prendere un nuovo volo.
Goa mi attende. Ex colonia portoghese occupata e conquistata dall’ammiraglio Alfonso de Alburesque, è il luogo ideale dove cristianesimo e induismo vivono in totale pace.
Qualche giorno qui per ammirare e farmi ispirare dai meravigliosi paesaggi, dalle foreste, dalle palme altissime… Un giro sul ferry che mi porta dall’altra parte dell’isola e scopro un minuscolo villaggio cristiano, di Tiswadi affacciato al fiume Mondavi e un drink a suon di musica life su una delle spiagge più famose di Vagator beach.
Qualche respiro più profondo, un saluto al sole più intenso e una benedizione nella chiesa di Santa Caterina e sono pronta per tornare a Delhi, carica di idee creativa e affrontare munita della mia mascherina i mercati più chiassosi di Delhi, da Neru Place a di Shahpur Jat.
Non vedo l’ora di toccare e ritrovare nei tessuti e negli elementi naturali che ho visto a Goa, delle piccole opere d’arte che potrò indossare e fare indossare alle mie sostenitrici.
La moda e lo stile sono sempre in movimento e Delhi per me ha il giusto mix di melting pot culturale e stilistico.
Ho la valigia piena di meraviglie, tessuti, ricami, piume multicolor, perline preziose e tanti disegni nella testa nell’attesa di realizzare al più presto nuovi capi ispirati come sempre all’eleganza delle donne indiane e alla natura indiana così sfacciatamente meravigliosa, così ricca di flora e fauna, dai profumi e fiori più strani, una terra per me che sa di casa.
È il 27 febbraio sono finalmente rientrata a casa dopo una giornata di viaggi tra un uber a un tuc tuc, la mascherina è sempre con me, ma la gente qui ancora non sa cosa stia per accadere… la camera è il luogo ideale per le chiacchiere, un bicchiere di spumante Ferrari per celebrare la mia ennesima partenza… manca talmente poco che quasi rischio di perdere l’aereo.
Il biglietto New Delhi Harare segna le 4 del mattino e io sono ancora in caso a fare baldoria coi miei amici quando mi rendo conto che mi devo sbrigare e chiudere la valigia e arrivare in aereoporto… Uber è sempre il mezzo più comodo e sicuro per girare in India… Mascherina indossata e mi dirigo verso il check in di Ethiopian Airlines, mi aspetta un ultimo appuntamento di questo mio vagare. Zimbabwe here I come.
Spedisco i miei bagagli e dopo aver superato lunghe file ai controlli, noto che la gente è più distante e preoccupata, dopo due settimane dal mio arrivo ora non mi sento più un’aliena… la maggior parte dei passeggeri bianchi indossano le mascherine…
28 febbraio arrivo finalmente ad Harare. Samir è il motivo di questo viaggio. Ci siamo conosciuti a New York mentre lavoravo nella moda e mi dividevo tra Little Italy dove avevo un piccolo piéd à terre e la 580 Broadway.
Che tempi… Origini persiano ebree, personalità certamente più unica che rara, un uomo che ha visto il suo successo proprio qui in Zimbabwe circa 25 anni, quando iniziò a vedere camion dall’America.
La ragione del mio ritorno nella sua bellissima proprietà di Leopard Rock, una dreamy place, hotel, golf, piscina e game park, un connubio al quale non avrei potuto declinare l’invito unito alla sincera e profonda amicizia che mi lega a lui.
Avrebbero dovuti essere 3 giorni, perché come insegna l’etichetta dopo tre giorni l'ospite puzza ma…
In africa è tutta un’altra storia e la situazione che si stava creando non avrei potuto immagine mi avrebbe portata qui.
Il giorno seguente al mio arrivo festeggiamo a suon di champagne e musica dal vivo e roulette l’amico Samir, 80 amici da tutto il mondo per festeggiare i suoi 60 anni.
Indosso il mio ultimo capo disegnato, un abito di paillette stretch color verde smeraldo con delle meravigliose frange che accompagnano il tema del party, in stile Casablanca.
Il film preferito di Samir, dopotutto un uomo elegante come lui non poteva che scegliere pellicola più adatta.
I festeggiamenti durano ad oltranza e io mi intrattengo più che con l’alcool con i racconti interessanti di produttori di caffè a cui il governo aveva tentato di riprendere la terra a mogli di ambasciatori a grandi imprenditori e impegnati nelle miniere di diamanti…
Week end perfetto, indimenticabile, per l’ambiente e le persone… ma nel frattempo dall’Italia mi arrivano i primi numerosi casi di Corona virus… Dentro di me timore e paura e la voglia di potere godere ancora di questo paradiso, le passeggiate con le giraffe e le zebre, respirando quello stile coloniale che la non è andato perso.
Samir mi invita a rimanere vista la situazione nell’attesa che migliori. Passano i giorni e i giornali non fare che aumentare i numeri delle vittime, mi metto in contatto con tutti i miei familiari e amici. Tutti bene, tutti spaventati, sembra siano entrati in una sorta di terra fredda…
Io qui posso ancora uscire, passeggiare a fianco degli struzzi, farmi baciare da un sole invernale africano caldo ma discreto.
Cerco di passare le giornate portando avanti i miei progetti, dando una mano nella formazione del personale i hotel.
Tutto ciò che posso fare da questo momento è crearmi una nuova vita perché non so quanto durerà, nel frattempo l’ambasciata italiana mi contatta per i rimpatri, ma non ci sono più voli disponibili. Le frontiere stanno chiudendo anche qui la gente inizia a non abbracciarsi più, ma la paura è ancora più alta perché non ci sono ospedali sufficienti a curare gli eventuali malati di Cornavirus, a stento riescono a comprare una mascherina per proteggersi…
Il prezzo della benzina sale, l’economia malata dello Zimbabwe non aiuta nessuno, io stesso non ho moneta locale perché non si trova e il mio amico provvede tutto per me. Mi fa scaricare una app sul telefonino con la quale posso pagare… Compro tutto a suon di pin.
Il primo pensiero adesso è recuperare sufficiente cibo per le prossime settimane.
Mi sposto da Mutare ad Harare per rinnovare il mio passaporto, il mio compleanno passa quasi in silenzio… cerco di festeggiarlo ma vivendo nel cuore la nostalgia di tutti i miei cari.
Ma i nuovi amici di qui non mi fanno mancare i loro affetto e a dovuta distanza mi vengono a trovare e mi portano in dono riso e avocado del proprio giardino.
Piccoli gesti che mi riempiono il cuore.
Samir rimane nella tenuta di Leopard Rock e io mi trattengo così nella sua casa della capitale, aspettando un nuovo volo per il mio rimpatrio.
Ma la lontananza non mi ha mai fatto paura e così inizio a passare il tempo e riaprendo la valigia inizio a tirare fuori stoffe e nastri per creare abiti che non sono mai stati così colorati e femminili…
Una gioia per me immergermi in quel mondo perfetto e di bellezza dove nessun virus possa entrare…
Rifletto sul senso della vita, prego per le persone male e per questo paese che mi sta accogliendo con grande amore. E se il senso del corona virus sia davvero cambiare un sistema che ormai è obsoleto, dalla nostra economia, alla salute, alla globalizzazione.
Non è forse giunto il momento di vivere in un pensiero collettivo, davanti alla malattia e la morte siamo tutti uguali e sempre comunque soli.
Forse è giunto il momento di lasciare andare i falsi miti e le false credenze ma di iniziare davvero a vivere sotto un’altra visione. Assaporare al meglio ogni momento e istante della nostra esistenza. Amare noi stessi e chi ci sta intorno e supportarci vicendevolmente.
Sappiamo la data della nostra nascita ma non del momento in cui lasceremo la terra, è pertanto nostro diritto e dovere vivere la nostra vita al meglio.... Di domani non vi è certezza.
Stiamo entrando in una nuova era forse meno consumistica, forse meno corrotta, perché siamo tutti deboli e fragili in questo momento, ma la paura è lo stesso virus che rischia di distruggere l’energia vitale che abbiamo dentro, quindi coltivare le speranze, la compassione e un amore universale possono essere l’unica via per la nostra vera salvezza e tenerci saldi in questo momento storico difficile.
Non so quando potrò ripartire, non so se al mio ritorno ci saranno tutti ad aspettarmi per riabbracciarmi ma la speranza, fede e creatività saranno fedelissime compagne di questa ascensione a nuovi valori e nuove espressioni.
Margherita de Cles
(Continua)