Sergio Romano al Festival dell’Economia

«Conta di più la politica o l'economia nelle risisi internazionali?» - Un'analisi politica degli ultimi cinquant'anni

Sergio Romano, ambasciatore a Mosca, storico ed editorialista di importanti testate nazionali, ha destato l'attenzione di un vasto pubblico col tema «Il fattore determinante: politica ed economia nelle crisi internazionali» ovvero «Conta di più la politica o l'economia nello scenario internazionale ?».

A introdurre l'incontro Luigi Caracciolo, direttore di «Limes», secondo cui è difficile ricavare leggi universali sull'economia e sulla politica come fattori determinanti. Le variabili dipese dal contesto infatti spesso hanno contato di più.

«Molto dipende dall'ideologia dominante - dice Sergio Romano - Per esempio con il marxismo, il fattore determinante era l'economia. L'analisi degli Stati avveniva attraverso la chiave di lettura del capitalismo. Non è comunque possibile creare un teorema, il tasso di casualità è troppo alto.»
Lo storico porta come esempio il conflitto del Kippur, quando nel 1973 il presidente egiziano dichiara guerra ad Israele. Accadde che i Paesi petroliferi alzarono il prezzo dell'«oro nero», per guadagnare di più e appoggiare così l'Egitto. Ciò provoca un vero e proprio shock: il costo del greggio aumenta del quadruplo ed è per questo che Paesi come la Francia cominciano a puntare sul nucleare. Ma cosa se ne fanno gli Stati arabi di tutto questo denaro? L'Iraq per esempio, accelera il processo di modernizzazione creando però, come ci insegna la storia, moltissime disparità sociali: la diversificazione fra ricchi e poveri diventa infinitamente più grande.
Questa particolare situazione porta ad un processo prerivoluzionario. «La povertà non è sempre la causa principale delle rivoluzioni - afferma Romano. - Anche l'ideologia dominante, e cioè l'Islam, contribuisce ad alimentare il forte desiderio di formare la grande nazione islamica, che diventa presto realtà. In questo caso possiamo dire che l'economia unita alla religione è stata il fattore dominante.»

Nel 1979 la Russia diventa prodigiosamente ricca grazie allo shock petrolifero. Il presidente Krushov non fa nulla per cambiare le cose e in preda ad una vera e propria «euforia economica», invade l'Afganistan. Negli altri Paesi arabi come l'Arabia Saudita i grossi capitali provenienti dal petrolio vengono in parte investiti in cose effimere come per esempio grandi centri turistici e beni riconducibili al mercato immobiliare, non in grado perciò di creare una macchina capitalistica.
L'altra grossa parte di capitali investiti in ambito teologico per esempio nella costruzione di scuole islamiche ha come fine la legittimazione dello Stato. In questo modo l'Arabia Saudita diventa una spina dorsale di molti movimenti islamici che si formano intorno alla fine degli anni Settanta e Ottanta e, con l'invasione dell'Afganistan, assurge a paladino di tutti quei gruppi che tengono testa ai sovietici.

Anche gli Emirati, il Pakistan, gli Stati Uniti e la Cina aiutano la nazione invasa con armi e fornendo il «retroterra» logistico e contribuendo così alla nascita di una vera e propria legione araba. Dopo la fine della guerra si instaura il regime teocratico dei talebani e appare la figura di Osama Bin Laden: tutto ciò non si sarebbe verificato se non ci fosse stato il rincaro del greggio nel 1973.

Quando nell'86 Gorbaciov salito al potere, prepara la Perestroika, il prezzo dell'«oro nero» è sceso vertiginosamente, facendola così fallire e dando il via alla morte dell'Unione Sovietica che avverrà da lì a poco, nel 1991.

Sergio Romano, stimolato da alcune domande poste dal pubblico, torna ai giorni d'oggi spostando l'attenzione sulle cause che hanno portato gli Stati Uniti a fare la guerra in Irak che in questo caso sono state prevalentemente di tipo politico. Economicamente gli USA stavano bene , ma non politicamente. Infatti alla fine della Guerra Fredda avrebbero voluto affermarsi come maggiore potenza mondiale sotto tutti i punti di vista, finalmente avrebbero potuto fare ciò che volevano senza sottostare a nessuno.
Tuttavia, la politica ambigua di Clinton caratterizzata a trattare un po' con tutti, frena questo processo. E con l'elezione di Bush, diventati molto forti i neoconservatori, si diffonde nell'opinione pubblica un certo desiderio di democratizzazione del mondo, e con l'undici settembre questo diventa una vera e propria necessità.
La guerra più facile da fare è quella contro l'Irak. «La nazione più antipatica agli americani - afferma Romano - con un dittatore al governo da anni che si macchia di delitti orribili e che si comporta in maniera poco chiara nei confronti dell' ONU. In questo contesto la politica è stata decisamente più importante.»

La conclusione è che la politica quasi sempre è il fattore dominante. E' difficile che una nazione abbia solo interessi economici, ma spesso sono le singole categorie come gli agricoltori i commercianti ad averli. Compito dei politici fare sintesi in rapporto alla propria preparazione culturale e alla propria percezione di ciò che più conta per una nazione.