Piergaetano Marchetti: «L'informazione zoppa»

Dal ruolo di internet alla vanità dei politici, ombre e luci. «Ma, complessivamente, credo che la libertà ci sia.»



Introdotto da Tobias Piller, giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung, Piergaetano Marchetti, presidente del Consiglio di amministrazione del gruppo Rcs quotidiani, di Rcs Mediagroup e della Fondazione Corriere della Sera, docente di diritto commerciale alla Bocconi di Milano, ha parlato di «informazione zoppa», andando al cuore del tema scelto quest'anno per la quinta edizione del festival dell'Economia.

Dal ruolo di internet al condizionamento dei poteri forti in seno ai cda delle società di informazione, il quadro tratteggiato, relativamente al panorama italiano, presenta ombre e luci.
Netto il giudizio sulla nuova legge sulle intercettazioni.
«Sono contrario senza se e senza ma. Nei confronti di chi ricopre un ruolo pubblico è pacifico che il diritto di cronaca, di critica e di informazione prevalga su quello alla privacy.»
Chissà perché, ma questa affermazione ce l'eravamo aspettata.

«Il titolo di questa serata pone già un groviglio di problemi - ha esordito Marchetti - perché parlare di corretta informazione relativamente alle aziende italiane significa parlare anzitutto degli assetti proprietari delle aziende stesse.»
E ancora: «Le imprese di informazione italiane non sono forse troppo legate al resto del mondo imprenditoriale, avendo quindi nel loro dna una sorta di naturale reticenza a informare in maniera trasparente?»

Il relatore ha proseguito spiegando che, in verità, anche se gli assetti proprietari in Italia sono molto diversi da quelli americani o inglesi, Consob rileva che negli ultimi dieci anni vi è stato un attenuamento di coalizioni e patti sindacali.
Indubbiamente c'è stata dunque un'evoluzione, caratterizzata anche da una maggiore presenza di investitori istituzionali. Tuttavia i problemi rimangono aperti.

«Dal punto di vista delle regole - ha detto Marchetti - l'informazione italiana non è inferiore ad altri ordinamenti. Essa impone alle imprese di comunicare anche i semplici rumors. Il problema è dei controllori e dei giornalisti.»

In sostanza, di fronte a comunicati stampa che necessariamente tendono a minimizzare, se del caso, gli eventi negativi relativi all'andamento di un'azienda, se l'organo di controllo non controlla a dovere o se la stampa non è abbastanza curiosa per stimolare maggiori approfondimenti, necessariamente tutto si ferma.
«Nella vicenda Parmalat, è pacifico che una lettura attenta dell'informazione diffusa poteva sollecitare maggiori domande, chiarimenti e approfondimenti. Ciascuno insomma deve fare la sua parte.
«Attenzione però alle informazioni. Un famoso giurista americano diceva che l'informazione è come il sole, a prenderne troppa ci si ammala. Troppa informazione non permette di selezionare l'informazione rilevante. I documenti Consob sono volumi enormi dove si può trovare tutto e il contrario di tutto. Qui gli interessi delle imprese di alzare una cortina fumogena di informazioni e degli organi di controllo ad autotutelarsi in qualche modo convergono.»

«Passo per essere troppo amico dei giornalisti, - ha proseguito ancora Marchetti - la colomba della situazione, ma è vero che un problema di scientificità, di preparazione, di serietà esiste. Ed è ancora più drammatico oggi, vista l'enorme complessità del mondo in cui viviamo.»

Interrogato sulla corsa delle grandi imprese ad essere presenti in cda come quello di Rcs, il relatore ha detto innanzitutto che scelte anche importanti sono spesso dettate in realtà da moventi non razionali.
«In ogni modo, un azionista importante presente in un cda di una società editoriale non discute la notizia quotidiana pubblicata da un organo di informazione. La discussione avviene sulle grandi strategie.»

Ma vi sono, inevitabilmente, le pressioni. Anche da parte dei politici. Anche per ragioni futili come il desiderio di avere uno spazio o una menzione sul giornale.
«Spesso - ricorda Marchetti, senza dire nulla di nuovo, - la vanità di apparire sui giornale è un fatto che accomuna una velina e tanti politici.»

Quanto conta, invece, il direttore di una testata?
«L'attuale direttore del Corriere non ha lesinato critiche anche al suo stesso azionariato. Credo che ogni direttore riceva moltissime telefonate, e spesso se la cavi dicendo va bene, faremo un'intervista. Io stesso nei primi tempi in cui ricoprivo questa carica ricevevo moltissime telefonate. Non ne ho mai riferito al direttore. Così hanno smesso di telefonarmi, il che è un bene, perché almeno adesso risparmio tempo.»

Editore puro versus editore con altri interessi?
«È un vecchio problema. Certo, è importante anche la presenza di editori puri, ma il settore dell'editoria oggi è maturo, non attrae molti investitori. Il pluralismo delle informazioni, comunque, è cresciuto con il pluralismo dei media. Pensiamo ai blog, a internet. Presentano anch'essi dei problemi, possono trasformare dei pregiudizi in una valanga, tuttavia se internet riesce a mettere in difficoltà un regime come quello dell'Iran, abbiamo qualche ragione per essere ottimisti sul pluralismo dei media.»

E la libertà di stampa in Italia come sta?
«Leggendo certe graduatorie, rimango di solito molto male. Ma complessivamente credo che la libertà ci sia. Certo, bisogna avere schiena dritta. Per quanto riguarda noi, credo rappresentiamo un buon esempio di pluralismo interno.»
Anche noi nel complesso crediamo che la libertà di stampa ci sia.

Le intercettazioni?
«Ho una posizione negativa sulla legge che sta avanzando sulle intercettazioni, senza se e senza ma. Ovviamente ci deve essere una tutela assoluta sul segreto, ma quando il segreto cade il problema diventa quello dell'etica del giornalista e se del caso si risolve con una controversia di natura civilistica. Ma è pacifico che il diritto di cronaca, di critica e di informazione, nei confronti di chi si espone alla valutazione pubblica, come il politico, è più forte di quello alla privacy. È un principio accettato dai giuristi di tutti i paesi democratici.»

E qui sta il problema irrisolto posto nel tema. Perché non si può non condividere ciò che ha detto Marchetti. Il segreto va tutelato ed è proprio la violazione del segreto che il parlamento vuole sanzionare.
I cittadini e le imprese private rischiano sanzioni molto pesanti quando violano la privacy, anche solo perché non hanno attivato un semplice metodo di controllo o una tracciabilità delle responsabilità.
Possibile che ciò non possa accadere anche nei servizi pubblici così delicati come quelli della Magistratura?