Affascinare fa rima con insegnare – Di G. Maiolo, psicoanalista

Affascinare non significa «schiavizzare» ma trovare sempre nuove modalità di coinvolgimento emotivo

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Il verbo «affascinare» è ricco di significati che un tempo erano per lo più negativi.
La parola infatti si confondeva con la seduzione e la manipolazione e faceva pensare che l’affascinato, catturato dal «maligno», fosse schiavizzato, privato di volontà e di autonomia.
Invece l’etimologia di affascinare è «legare» e cioè costruire un «legame» che unisce chi parla a chi ascolta.
La fascinazione del resto è una tensione capace di attrarti in senso positivo e soprattutto farti incuriosire.
Di solito è una sorta di ebrezza che ti cattura e non ti lascia distrarre ma ti attrae come un magnete.
E non è un’attrazione fisica per la persona, quanto mentale e psicologica che proviene dal suo sapere e dal come lo comunica.
 
Affascinare è allora dotazione preziosa per chi insegna, non perché sia un atto seduttivo ma perché chi affascina attiva l’attenzione e la curiosità nel discente, ma poi anche il desiderio di approfondire.
Solo allora affascinare fa rima con insegnare, cioè è qualcosa che costruisce una relazione di coinvolgimento e una complicità costruttiva.
Alcuni studiosi sostengono che la fascinazione è l’emozione estetica per eccellenza, quella dei sensi (in particolare la vista e l’udito) che stimolano il cervello e attivano il desiderio di approfondire il contenuto proposto, sia esso un tema specifico, un programma televisivo, un libro, una materia o una lezione.
 
Una decina di anni fa, usci in libreria un libretto di neanche 90 pagine scritto dal fisico Carlo Rovelli (Sette brevi lezioni di fisica, Ed. Adelphi), che nella presentazione della quarta di copertina, fra l’altro diceva: «…a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato».
Colpì subito il fatto che una materia ostica come la fisica era resa dall’autore immediatamente comprensibile e soprattutto il suo modo di spiegarla che suscitava il desiderio intenso di ampliare la sua conoscenza.
Bastava iniziare a leggere le prime pagine delle sue «lezioni» ed eri catturato dal modo con cui Rovelli «narrava» una materia così complessa.
 
Va da sé che il confine tra fascino e seduzione è sottile, ma la differenza sta nella capacità di comunicare senza alcuna intenzione malevola volta a manipolarti, ma desiderosa di farti amare quello che comunica.
Affascinare non è ingannare ma saper dire e prima ancora un saper ascoltare l’altro ed essere capaci di sintonizzarsi sulle sue frequenze emotive.
È «incantare» chi ascolta non come un serpente ipnotizzato, ma l’arte di mantenere viva la sua attenzione e fargli crescere la voglia di approfondire l’argomento, offrendogli lo «sguardo» partecipe di chi affascina che volge al futuro.
 
E poi l’affascinare, dice ancora Rovelli, è il non annoiare.
Vuol dire cambiare registro comunicativo a seconda di chi ascolta e pure rinnovare continuamente il linguaggio, anzi aggiornarlo per avvicinarsi a lui o a lei il più possibile.
Il fascino, in questo caso, sta nel trovare sempre nuove modalità di coinvolgimento, che è un po’ come il raccontare ogni sera a un bambino la stessa fiaba millenaria ma ogni volta con nuove intonazioni e rinnovate espressioni del viso
 
Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento