Privatizzazioni: a rischio la legittimità dello Stato democratico

Chiara Cordelli, docente di Scienze politiche all’Università di Chicago, ne parla al Festival dell’Economia

Nel volume «The Privatized State» scritto per Princeton University Press la filosofa politica Chiara Cordelli, docente di Scienze politiche all’Università di Chicago riflette sull’esternalizzazione di funzioni pubbliche che continua a caratterizzare i paesi occidentali: dalle autostrade alla gestione delle prestazioni sociali, dalla gestione delle carceri, fino ai combattimenti armati. Il privato svolge, il pubblico controlla.
Funzioni che non sono solo meramente tecnico ausiliari, ma anche essenziali e richiedono ampia discrezionalità, come ad esempio l’uso della forza o il livello di assistenza.
Ma la scelta di amministrare il pubblico tramite il privato finisce con compromettere la legittimità dello Stato democratico.

«Si è parlato molto della privatizzazione dei servizi sanitari in occasione della pandemia ma spesso l’analisi che viene fatta è di tipo etico-normativo, – spiega Cordelli. – Si tende a concepire questo fenomeno come meramente economico e tecnocratico e lo si valuta solo in termini di benefici e di efficienza, come la riduzione di costi o i vantaggi economici.
«Questo è un approccio riduttivo perché si rischia di trascurare una domanda ancora più cruciale: quali sono le conseguenze a lungo termine in termini di legittimità delle istituzioni democratiche stesse?»
 
«Lo Stato è un costituente di rispetto e libertà reciproca. Garantisce le condizioni di giustizia sociale che non sottomettono ciascun cittadino alla volontà privata di un altro. Assicura la giustizia eliminando il dominio.
«Ma per farlo deve essere organizzato in modo particolare: tutti gli esercizi di discrezionalità nell’erogazione di risorse e nella presa di decisioni devono soddisfare alcune regole normative: devono essere decisi in modo democratico, devono essere eseguiti nel nome di tutti.
«Altrimenti la prevaricazione dei diritti avviene proprio dentro lo Stato.»
 

 
«Lo Stato amministrativo moderno nasce per sostituire il pubblico al privato, seguendo il principio di imparzialità. I fenomeni di privatizzazione attuali sovvertono questo paradigma.
«L’esternalizzazione sistematica di funzioni pubbliche finisce per compromettere tutte le condizioni necessarie per l’esercizio di ampie forme di discrezionalità.
«Sommerge la faccia del pubblico sotto l’apparenza del privato. Inficia la capacità dello Stato di mantenere un controllo direttivo sulla cosa pubblica, di regolamentare.
«Lo Stato privatizza per risparmiare ma il controllo costa molto, quindi succede che quest’ultimo venga meno: più privatizza, più lo Stato diventa dipendente dai privati persino per il possesso delle informazioni».
 
È il caso degli Stati Uniti in cui la privatizzazione è già molto estesa e i problemi sono ben documentati, come ad esempio nella privatizzazione delle carceri. «Ulteriori tentativi dovrebbero essere considerati illegittimi.
Ma anche in Italia è successo con le esternalizzazioni dei servizi sanitari in numerose micro aziende, sempre più difficili da controllare. I privati vengono chiamati a svolgere funzioni essenziali, ma un governo democratico non avrebbe l’autorità di conferire loro questa discrezionalità se questa decisione va a intaccare la propria legittimità o le condizioni minime di autogoverno democratico».
 
Ma quali attività privatizzare, con quei limiti e con quali contromisure e rischi?
«Non è solo un problema di qualità ma anche di quantità, – risponde Nicoletta Parisi, docente di Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano. – Esistono diritti della persona che non sono disponibili, sono assoluti, e servizi che si rivolgono a questi che non possono essere dati a terzi in linea con un principio di massimizzazione del profitto.
«Lo Stato è il garante della pace e dell’ordine sociale. È un concetto che ritroviamo nell’art. 3 della Costituzione in cui si parla di eguaglianza sostanziale dei cittadini, per evitare discriminazioni.
«Ma il limite è anche di qualità: alcune funzioni, come i beni comuni, non possono essere privatizzate perché facendolo lo Stato vende pezzi di se stesso e si snatura.»
 

 
Un altro problema messo in luce nel dibattito riguarda la percezione dello Stato.
«Questo circolo vizioso – spiega Cordelli – produce apatia civica, riduce la partecipazione e il coinvolgimento: se i cittadini non vedono il coinvolgimento diretto del pubblico nell’erogazione dei servizi tendono ad interessarsene.
«E aumenta anche il rischio di corruzione perché crea disuguaglianze problematiche nelle forme di influenza.»
 
«Per quanto riguarda la corruzione – aggiunge Parisi – in Italia abbiamo un problema che riguarda le persone: i dipendenti pubblici e dall’altra i privati. In uno stato di diritto lo statuto di tutti i lavoratori, i loro codici di comportamento dovrebbero essere uniformati. Nel privato, quando si svolgono attività essenziali, il principio guida non può essere la massimizzazione del profitto: serve più responsabilizzazione, più trasparenza nella selezione e regole più solide per quanto riguarda la compatibilità.
«Del resto, uno Stato forte non è uno Stato che fa tutto. Piuttosto deve saper tenere in mano la situazione, perché questo lo autolegittima, lo rafforza e contrasta l’apatia dei cittadini, che vengono visti come alleati nel controllo dal basso.»
 
La privatizzazione e la cessione di discrezionalità è infatti una questione che può minare alla base la fiducia dei cittadini nello Stato, come mette in luce Tonia Mastrobuoni, giornalista e corrispondente da Berlino de la Repubblica, moderatrice della discussione.
«Probabilmente la scarsa fiducia è più nella possibilità che possano cambiare le procedure che permettono di gestire e regolare la discrezionalità – risponde Andrea Fracasso, docente di Politica economica all’Università di Trento. – Quando un operatore privato svolge un ruolo ad ampia discrezionalità su funzioni essenziali in nome e per conto di tutti, allora di fatto è un pubblico ufficiale. Ma non nel contratto, che rimane di lavoro privatistico, orientato alla logica del profitto.
«Di fronte ad alcuni casi di esercizio improprio che impatta su libertà, su diritti e doveri, la tendenza nei cittadini è comunque quella di rivolgersi all’autorità pubblica. Esiste quindi una percezione di problematicità che si somma ad un altro fenomeno correlato.
«Quello del cosiddetto Spoil system: i nuovi eletti sostituiscono una parte dell’apparato con l’obiettivo di avvicinare la burocrazia a chi prende le decisioni, per creare rappresentatività e fiducia. In realtà l’effetto è opposto, perché aumenta la discrezionalità nello svolgere il bene pubblico, in favore della parte politica che ha eseguito le nomine.»
 
«La discrezionalità – conclude Cordelli – è però anche un fattore positivo, perché permette di tenere in considerazione contesti e bisogni che non erano previsti o normati.
«Quando pensiamo ad estendere norme necessarie per estendere quella discrezionalità (ad esempio con l’introduzione di codici etici o sistemi di riduzione di conflitto di interesse) allora la privatizzazione diventa incoerente e non si comprende più la differenza tra enti pubblici e privati.
«Infine i costi: secondo alcuni studi il 30-35% dei costi legati alla privatizzazione sono strettamente legati ai controlli da effettuare. Le ragioni di economicità quindi spesso vengono meno.»