Belle Epoque. (Erotica storia d’amore di fine ottocento)

Terza Puntata

Confesso che, nonostante la mia concreta esperienza in campo di donne, appena entrato a Villa Sordenigo provai in forte senso d'imbarazzo. Non appena scaricati valige e bauli, il cocchiere se ne era andato via subito con la carrozza, come aveva disposto la governante che mi aveva ricevuto ed ero stato fatto accomodare in un salotto a lato del salone d'ingresso. Attesi per quasi un'ora e, se non fosse stato per il fatto che non avrei saputo come fare, giuro che avrei girato i tacchi e lasciato la villa. Quando entrò, la governante mi fece cenno di seguirla con uno sguardo severo.
«La signora accetta di ricevervi.» - mi disse con una certa sufficienza.
Accetta di incontrarmi dopo che mi ha fatto venire fin qui? Ripetei incredulo tra me e me. La seguii docilmente.
Mi accompagnò in un altro salotto dall'altra parte della villa e mi lasciò nuovamente solo. Una parete era coperta da una pesante biblioteca di noce che faceva spazio solo a un caminetto, fatto piuttosto inusuale perché in una villa veneta non era previsto che qualcuno vi abitasse d'inverno. Un moderno pianoforte a mezza coda stava in un angolo e andai a guardarlo da vicino, notando che non era impolverato. Ero intento a leggere i titoli dei libri sugli scaffali, quando entrò una persona silenziosamente. Mi girai a guardarla. Era una donna alta, apparentemente formosa nonostante portasse un vestito stretto, morigerato e coprente, in contrasto con la temperatura estiva. Qualcuno chiuse la porta alle sue spalle e lei si diresse a me con un incedere decisamente sicuro. Una veletta sul viso mi impediva di capire se fosse bella o meno, anche se il barone Di Rovero mi aveva rassicurato in tal senso. Io, ad ogni modo, mi ero ripromesso di fare il mio dovere come mi ero impegnato, qualunque fosse stato l'aspetto della donna. Nonostante il caldo si teneva coperta con una copertina a scacchi, come se volesse non farsi conoscere.
«Buongiorno. - disse con una voce graziosamente femminile. - Prego, accomodatevi.»
Mi indicò una delle poltrone che erano rivolte al caminetto spento.
«Buongiorno Madame.» - risposi accomodandomi. Come raccomandato dal conte Di Rovero, non le chiesi il nome e non mi presentai.
«Desidero venire subito al punto. - iniziò con calma ma anche con determinazione. - Io non vi conosco, ma voi siete stato scelto per le vostre caratteristiche genetiche e somatiche, per la vostra avvenenza, la posizione, il lignaggio, il carattere, la vostra… - aggiunse con una certa punta di disapprovazione - capacità amatoria. E, e non da ultima, la vostra salute che il medico mi ha assicurato avervi riscontrato nonostante la reiterata promiscuità sessuale.»
Non risposi e accavallai le gambe per mantenere il contegno e la deferenza nonostante le sue parole.
«Anzitutto, - disse, assumendo un tono piuttosto dispotico, - è bene chiarire subito una cosa. Io lo faccio esclusivamente per mio marito, per il quale ho accettato questo sacrificio.»



Nelle due
foto,
Villa Nani
a Mocenigo,
ora hotel
di lusso.




Non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio, pensai, ricordando quel che diceva la povera zia Marta per educare le figlie alla purezza.
«Da domani - proseguì, - entro nel quinto giorno del ciclo e sarò presumibilmente feconda. Voi mi coprirete due volte al giorno, tutte le mattine e tutte le sere, per quindici giorni. Ma sia ben chiaro che per voi non si tratterà di una delle vostre squallide avventure. Come ho già spiegato al mio confessore, a mio marito e al mio medico, lo farò nella maniera più staccata possibile. Lo farete attraverso i vestiti e praticamente con ci sarà contatto epidermico tra noi.»
Non dissi nulla.
«Dal punto di vista legale, non potrete riconoscere in alcun modo il nascituro come figlio vostro e riceverete il compenso pattuito a fine lavori e qualsiasi sia il risultato. - Aveva assunto il tono di chi tratta con il sensale del paese. - Avete qualcosa da obiettare? Ah, dimenticavo, durante la giornata io resterò a letto per facilitare l'avvento e comunque vorrei non incontrarvi se dovessi aggirarmi per la casa. Se siete d'accordo, annuite: preferisco non sentire la vostra voce.»
«È stato un piacere conoscervi, Madame. Ma temo mi abbiate confuso per un altra persona, e confesso di non aver compreso molto ciò che avete detto. Io sono un veterinario e sono stato chiamato qui per esaminare...»
Scattò in piedi.
«Veneranda! Veneranda!» - gridò, ed uscì a passi corti e veloci scomposta dalla vergogna.
Io rimasi un attimo in sala, poi mi alzai ed uscii in tempo per vedere la signora svenire tra le braccia della sua governante. La passò a me, cercando un punto dove appoggiarla. La riportai in salotto, la distesi su un divano, le misi un cuscino sotto la testa, le sollevai la veletta e le passai sotto il naso i sali che Veneranda mi aveva messo in mano.
«Lasciateci soli.» - ordinai alla governante. Veneranda ci pensò un attimo, mi guardò inferocita, poi ritenne opportuno uscire richiudendosi nuovamente la porta alle spalle.
«Scusatemi. - sussurrai appena la marchesa socchiuse gli occhi. - Vi chiamerò Ortensia come i fiori rosa che ho visto qui fuori, mentre voi mi chiamerete Marco. Vi chiedo scusa per la battuta di prima, ma temo proprio che io non vada bene per l'uopo vostro. Appena sarò tranquillo per la vostra salute, toglierò il disturbo. Direte a vostro marito che non mi sono neanche fatto vivo.»
Lei rimase per un po' sul vacuo e io potei accorgermi che il viso era di una bellezza dolce, delicata e femminile. Mi spiaceva di averla trattata male, ma era davvero stato più forte di me. Ed era stato necessario.
«Si sente meglio, ora?»
Socchiuse gli occhi, poi annuì.
«Allora posso andarmene?»
Attese un attimo, poi fece cenno di no con la testa e una lacrima le scese sulla guancia. Ne soffrii.
«Perdonatemi ancora. Di solito sono un gentiluomo.»
«Ma... Ma non questa volta, vero? - bisbigliò, cercando di mettersi a sedere. - Come temevo, mi state trattando come una...»
L'aiutai a sistemarsi e mi proposi di riabbassarle il velo, ma lei fece il cenno di lasciarle il viso scoperto.
«Anch'io sono una nobildonna, ma oggi, in queste circostanze... Voi mi capirete certamente.»
Abbassò il capo. Le misi dolcemente un dito sotto il mento e le sollevai il viso. Lentamente alzò gli occhi e mi guardò in faccia.
«Va meglio ora?» - le chiesi con uno dei miei più rassicuranti sorrisi. Lo gradì.
«Sì, grazie. Che ospite sono stata... Non vi ho offerto nulla. Desiderate un brandy, un armagnac, un vermout?»
Si guardò intorno per cercare il richiamo della servitù.
«No, signora. Niente superalcolici se devo mettervi incinta.» - Avevo cercato di essere chiaro pur mettendola a suo agio.
Per un attimo si sentì vergognare, poi si diede coraggio.
«Volete dire che non ve ne andate?»
«No. E scusatemi per prima. Sapete, non ho mai fatto l'amore con una donna per motivi pragmatici o di convenienza, ma solo perché mi piaceva. Non sono un professionista.»
«Usate un linguaggio poco consono a...»
«Sentite, mi spiace essere brutale, ma devo dirvi come stanno le cose. Lo volete davvero un figlio da me?»
Prima di annuire attese, sostenendo tuttavia il mio sguardo con sicurezza.
«Ditemi di sì in modo forte e chiaro, per favore.»
«Sì, lo voglio. - disse con un piccolo ritardo. - Non me la sentirei di affrontare un altro...»
«E allora statemi a sentire, perché ve lo dirò una volta sola.»
«Vi sto a sentire.»
«Bene. In vita mia non sono mai stato con una donna a pagamento e tanto meno sono stato pagato per starci. Ho accettato di farlo solo perché mi sento in debito nei confronti del genere femminile. Voglio darvi il figlio che desiderate. E per quanto riguarda la paternità della creatura, sono un avvocato e so benone che non si può riconoscere un figlio che non venga disconosciuto dal padre naturale, quindi sarà vostro e basta. Se mai dovessi venire a sapere che lo tratterete male, tuttavia, verrò comunque a riprendermelo. Sono un nobile di campagna, ma ho le idee chiare. Sono chiare anche per lei fin qui?»
Annuì.
«Chiarissime.»
Dopo questa premessa si mise comoda ad ascoltare tutto ciò che avevo da dirle. Mi alzai e feci due passi.
«A questo punto sappiate che sono stato scelto perché oltre ad avere la cultura, l'avvenenza, la salute, eccetera eccetera, ho un pene di notevoli dimensioni che so usare piuttosto bene e che genera piacere e produce eiaculazioni di una certa portata.»
La osservai, ma riuscì a non tradire nessuna emozione.

«Ma è uno strumento che uso solo se va in erezione, - continuai - e va in erezione solo se mi eccito. Quindi, la prima cosa che dovete accettare di principio è l'idea che sono io che devo desiderarvi. Perdonatemi la franchezza, madame, ma che voi vi eccitiate o meno è del tutto irrilevante, mentre ai fini del risultato che io mi ecciti è di assoluta e determinante importanza. Ergo, - dissi con una certa enfasi da avvocato che meravigliò anche me, - le condizioni sul "modus operandi" le detto io. In altre parole, voi dovrete fare tutto ciò che mi andrà di chiedervi di fare. Voi siete padrona di non accettare, nel qual caso me ne andrò di qui con assoluta discrezione. Ma se accettate, dovete dirmelo ora e sottoporvi alle mie condizioni.»
Si alzò e fece dei passi, poi si girò verso di me.

Il ritratto qui sopra è «Signora con veletta», di Pierre-Auguste Renoir

«Cosa volete, esattamente?»
«Fare tutto ciò che mi passerà per la testa. Tutto ciò che mi favorirà l'erezione. Non voglio limitazioni di alcun genere. Sono un gentiluomo e quindi non correrete rischi, ma se fosse necessario umiliarvi o legarvi, lo farei, perché me ne darete autorizzazione ora. In tutti i casi non mi farò impietosire, sarò fermo e determinato. Vi prenderò due volte al giorno in tutte le maniere fino a versarvi a fine corsa sperma in quantità copiose e abbondanti.»
Adesso sì era allibita. Avevo voluto esagerare apposta per darle l'opportunità di prendere o lasciare.
«Spero che almeno non mi vorrete anche... vedere nuda!» - esclamò infine.
Sorrisi. Dava per scontato che non ci saremmo denudati mai, oppure la sua era solo una provocazione?
«Io mi accoppio "solo" con la donna ignuda. Ma a pensare ciò che intendo farvi, direi l'essere esposta nuda al mio sguardo sarà l'ultimo problema che avrete.»
Forse avevo esagerato.
Lei guardò fuori dalla finestra per un paio di minuti. Poi si girò verso di me senza guardarmi.
«È così che si riesce a fare un figlio…»
Compresi il messaggio. Immaginavo che suo marito avesse almeno trent'anni più di lei. Qualche volta l'aveva tuttalpiù montata senza troppa potenza e passione, quindi nella sua domanda la signora voleva trovare la giusta forza per mettersi sotto di me senza rimorsi. Per questo non risposi e le diedi un consiglio con un sorriso sulle labbra.
«Se accettate un suggerimento, Ortensia, cercate di divertirvi e lasciatevi prendere dalla passione. Sarà tutto più facile; anzi, faciliterà l'unione, il concepimento. Altrimenti, sarà davvero un sacrificio, una sorta di dolorosa cura necessaria per la vostra vita.»
«Altre condizioni?» - chiese allora per evitare nuovamente una risposta.
«Sì. Come ho già detto, né io né voi berremo superalcolici in questi quindici giorni, e non più di un bicchiere di vino ai pasti. Non fumeremo pipa o sigari… Mi scusi, immagino che voi non fumerete di certo. E poco caffè, ecco. Nostro... vostro figlio dovrà nascere bene. E poi pranzerete e cenerete con me. Dovrete anzi socializzare, in modo che la nostra unione venga vissuta in maniera piena e consapevole. Se mi andrà di farlo vi darò del tu, mentre voi vi rivolgerete a me come preferirete. In tutti i casi, per quindici giorni sarete la mia schiava a letto e mia moglie fuori.»
Non rispose.
«Accettate tutto?»
Attese un attimo ancora, poi annuì. Capì che non mi bastava e allora inspirò profondamente prima di rispondere di sì ad alta voce.
«Accetto.»
«Accetto anch'io, se mi sorriderete almeno una volta.»
Sorrise, finalmente.
«Accetto. Da dove cominciamo?»
«Venite qua. - risposi stando seduto. - E rilassatevi. Eccitatevi se potete.»
Lei si alzò e si mise alla mia portata. La accarezzai con cura e con l'attenzione di un medico. Lei per un attimo trasalì, ma riuscì imporsi di lasciarmi fare.
«Sì, infatti. - disse rivelando un imprevedibile orgoglio femminile. - Sono pronta per avere un figlio.»
«Già. - convenni, avvertendo un principio di interesse. - Credo proprio che riuscirò a mettervi incinta.»
Mi alzai e le baciai la mano per rispetto e poi la guancia per incoraggiarla.
«È per questo che per quindici giorni potrete fare di me quello che vorrete. - concluse con rinnovato orgoglio. - Ricordatevelo.»

(Continua)