A Palazzo Trentini la mostra di fotografie di Gianluigi Rocca
«L’uomo di nuvole e lana». Storia per immagini di un pastore del Brenta
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A palazzo Trentini è stata inaugurata ieri sera la mostra «L’uomo di nuvole e lana».
Una serie di fotografie scattate da Gianluigi Rocca di Larido nelle Giudicarie, artista, docente di disegno da 35 anni all’Accademia di Brera a Milano e allevatore.
Immagini e testi che documentano la vicenda di un pastore che Rocca ha conosciuto da ragazzo.
Una mostra (rimarrà aperta fino al 19 maggio; orario 10 – 13 e 14 - 19) che è stata realizzata nell’ambito del Trento Film Festival, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio e il Museo della Malga di Caderzone Terme.
Gianluigi Rocca, dal pennello alla macchina fotografica. Ha cambiato mezzo espressivo?
«No, no. Io non sono un fotografo. La fotografia è un’altra cosa. Questa è solo una mostra di fotografie che documentano un mondo. Un piccolo lume sul mondo buio di questi uomini spesso dimenticati.»
Un mondo che, sulle nostre montagne, è quasi scomparso…
«In gran parte sì, anche se c’è qualche giovane che torna in montagna con le pecore. Alcuni, compreso i miei figli, fanno gli allevatori, ma i pastori come quest’uomo che ho ritratto in questi scatti, quelli sono pochi.»
Le sue fotografie hanno un fondo malinconico, alcune sono dure, non nascondono il dramma e la fatica di un mestiere come questo.
«Sì, alcune sono dure. Ma solo chi ha vissuto con questa gente sa che idealizzare questa realtà è sbagliato. Sì, c’è anche l’aspetto bucolico, ma io qui documento una solitudine che è anche spietata e al tempo stesso straordinaria ma che racchiude una sorta di serenità che deriva dal rapporto di equilibrio e amore con la natura.»
Però in queste solitudini estreme, come sono quelle dei pastori, i pensieri in testa battono forte. Fanno male…
«Sì, i pensieri in queste solitudini battono forte. E poi c’è la fatica. Guardi qui dove dormiva….»
E, dall’altro lato, ci sono rapporti straordinari. A partire da quello con gli animali. La foto del cane con il suo padrone pastore; il cucciolo che gli dorme accanto. Il dramma dell’uccisione dell’agnello.
«Sì, un lavoro che quest’uomo di bontà straordinaria faceva con profondo dolore. Lamentandosi e ripetendo prima di uccidere un capo: varà che bel, che pecà.
«Poi c’è questa foto col cane. Era in giorno di Natale… un rapporto tra uomo e animale straordinario.»
A questo punto sveliamo l’identità di questo pastore che lei ha seguito per anni scattando foto per documentarne la vita.
«Rizzieri Grazioso Morelli di Seo di Stenico. Pastore di mestiere. Uno dei nostri pastori di altura. Un lavoro che è iniziato nel ’700 nelle Alpi svizzere ed è diverso dalla pastorizia di transumanza.
«I nostri rimangono nei comuni di appartenenza e sfruttano il territorio il più a lungo possibile. Dalla primavera all’inverno. Le foto con la neve sono state scattate a dicembre.»
Lei come ha conosciuto Morelli?
«Gli ho fatto da servo pastore per due anni, da ragazzino a 12 anni. Con le pecore ci sono andato per due anni, ma in malga ci vado da 42. Con la mia famiglia portiamo avanti malga Movlina e malga Nambi…»
Quanto è durato questo lavoro di documentazione?
«Sette, otto anni. Le fotografie in mostra qui a palazzo Trentini sono una raccolta, ma ne ho scattate tante altre. Rappresentano la storia di quest’uomo, le stagioni, i drammi, come detto prima, la solitudine e la fatica. Fino alla sua morte a 69 anni.
«Un uomo buonissimo, generoso e gentile che ha visto la fine del suo mondo. Ricordo quando andavo a trovarlo, aveva l’aia piena di lana che nessuno comprava più. Mio diceva triste: dovrò portarla in discarica.»
Nel suo lavoro di artista che peso ha avuto e ha la sua esperienza di pastore e di allevatore di montagna?
«Mi è servito moltissimo, perché la solitudine mi ha insegnato a osservare in profondità.»
B.Z.