James Boughton: «Il FMI aiuti ora i paesi più piccoli e deboli»

Lo storico ufficiale del Fondo Monetario Internazionale al Festival dell’Economia

Su qualcuno pensasse che il Fondo Monetario Internazionale sia una «agenzia della disuguaglianza» anziché un'istituzione impegnata, com'è scritto nel suo statuto originario, a contrastare la povertà nel mondo, si metta il cuore in pace perché, anche se la percezione è quella, il FMI ha oggi un nuovo modello di riferimento, più improntato ad accompagnare i Paesi nella risoluzione dei loro problemi, suggerendo anziché imponendo le riforme da fare, e più orientato ad intervenire nei Paesi più piccoli e più poveri.
A garantirlo è l'uomo che del Fondo è diventato lo storico ufficiale, James Boughton, Senior Fellow di CIGI - Centre for International Governance Innovation in Canada, protagonista al Festival dell'incontro alla Facoltà di Giurisprudenza moderato dal giornalista Rai Pietro del Soldà.
«La riduzione della disuguaglianza mondiale – assicura Boughton – è un obiettivo del Fondo, ma c'è bisogno di fare di più e va risolto il problema della sua governance.»
 
Il FMI nasce sul finire del secondo conflitto mondiale, nel 1944, come frutto della volontà politica di mettere fine al disordine generato dal conflitto, e come risposta a una sfida ancora attuale: garantire il funzionamento di un mercato globale in un mondo che continua ad essere diviso tra le prerogative degli Stati Nazione.
Sembrava una sfida ardua allora, ma lo è, drammaticamente, ancora oggi. L'Italia, per inciso, entrò a far parte della rappresentanza del Fondo nel 1947 grazie alla lotta partigiana contro i tedeschi.
In questi 70 anni il FMI ha operato per garantire la stabilità del sistema finanziario internazionale, un periodo lunghissimo durante il quale il mondo ha cambiato pelle più volte.
Il Fondo è sempre rimasto fedele al suo statuto; la sua azione basata sui prestiti da erogare ai Paesi si fonda su due concetti: la condizionalità e l'adozione da parte degli Stati dei piani di riforma suggeriti dal Fondo stesso.
Molti sono però convinti, spesso con rabbia, che il FMI abbia in realtà funzionato come "agenzia della disuguaglianza."
 
Boughton, prima di rispondere all'accusa, mette subito le mani avanti.
«Non sono qui per difendere il FMI ma per spiegare perchè il Fondo è stato creato e come potrebbe funzionare meglio.
«La premessa è che non c'è nessun compromesso di lungo periodo tra la stabilità e la crescita che promuova l'occupazione e il benessere delle persone; la stabilità finanziaria va di pari passo con la crescita dell'economia.
«Per passare ad una situazione di migliore equilibrio - aggiunge - bisogna per forza pagare degli scotti.»
Il FMI si è impegnato pubblicamente e più volte nel compito di ridurre la povertà e la disuguaglianza nel mondo, questo è, per lo meno, l'obiettivo dichiarato sempre enunciato dai suoi vertici.
«Il problema è però – svela Boughton, – che le persone che ci lavorano non perseguono gli stessi obiettivi dichiarati dai vertici.
«C'è una resistenza, una cultura che è tipica della mia generazione che va cambiata, questa è una delle sfide del FMI oggi.»
 
«Anche se non è formalmente un'agenzia – afferma Boughton – il FMI ha comunque strumenti importanti che gli permettono di aiutare i Paesi a ridurre i loro squilibri.
«Il Fondo ha avuto anche qualche successo, non è solo una brutta storia, però potrebbe e deve fare di più e meglio.
«Serve una maggiore governance del sistema finanziario internazionale, i problemi che ancora ci sono hanno portato a un calo di fiducia nei confronti del Fondo.
«La sua struttura è troppo isolata. Si deve garantire che i Paesi a basso reddito possano avere voce in capitolo dentro il Fondo. Negli anni 90 c'era il G7 (i Paesi ricchi) e il G24 (emergenti), il Fondo doveva fare da giudice.
«Ora c'è il G20, che rappresenta l'85 per cento degli scambi mondiali e il 77% dei voti rappresentati dentro il Fondo.
«Che ruolo hanno i Paesi piccoli? Nulla, nessun potere, è un problema da affrontare.»