Banner sulla violenza assistita/ 2 – Il nostro parere
È un’iperbole retorica: parte dal vissuto di cronaca per semplificare il messaggio da veicolare. In pubblicità non si può mentire, ma si possono esasperare i concetti
Abbiamo pubblicato la lettera inviata dagli esponenti del Movimento 5 stelle che criticano con una certa veemenza la pubblicità ospitata dal nostro giornale contro la «violenza assistita» (vedi).
Visto che il mittente della missiva si è lamentato sia di chi ha fatto il banner che di chi l’ha pubblicato (L’Adigetto.it e altre testate), ci troviamo costretti a chiarire alcune cose.
Anzitutto noi pubblichiamo qualsiasi pubblicità il cui messaggio sia lecito.
Incolpare una testata perché ha pubblicato il banner è come guardare il dito che indica la Luna anziché la Luna indicata dal dito.
Ma, pur lasciando perdere questo aspetto piuttosto scontato e pacifico per qualsiasi letteratura, ora ci troviamo costretti a valutare il contenuto.
Noi siamo d’accordo che è in atto una campagna a favore delle donne a volte faziosa, spesso grossolana e in certi casi controproducente.
Il voler trovare una versione femminile alle parole sindaco o assessore è ridicolo perché non porta da nessuna parte e il risultato è cacofonico. Se proprio volessimo partire dalle origini, anche la preghiera «Padre nostro» andrebbe cambiato. Ma per fortuna non è qui che risiedono i valori della parità di genere.
A volte il voler inserire a tutti i costi una presenza femminile cozza contro i principi della Costituzione che non vuole distinzioni di sorta sul genere.
Ma, lo abbiamo detto più volte e lo confermiamo anche adesso, vista la situazione antifemminile che stiamo vivendo, possiamo - anzi dobbiamo - chiudere un occhio, perché la colpa di tutto questo è e rimane l’uomo.
Per questo, anche davanti a una campagna in cui si attribuisce all’uomo la violenza in famiglia, accettiamo il principio ridondante della comunicazione.
Ed è proprio sotto questo aspetto che va valutato il banner incriminato.
Lo sponsor (cioè chi paga per veicolare il messaggio) è il mondo femminile.
Il target (cioè i destinatari del messaggio) sono gli uomini.
Il messaggio veicolato è valido per entrambi i generi, maschile e femminile: «La violenza assistita è violenza».
Il visual è paritario. L’uomo sembra più violento della donna solo perché fisicamente il più alto dei due. D’altronde è proprio la differente forza fisica che nelle liti fa dell’uomo il picchiatore. A parole la violenza è pari, ma se si viene alle mani è l’uomo a vincere.
Il texting invece lascia un po’ a desiderare sia nel merito che nel contenuto. «In Trentino oltre 550 bambini assistono a violenza nei confronti della propria mamma».
Anzitutto non si sa a che periodo si riferiscano i 550 bambini. In un anno, il 2017? Nell’ultimo mese? In assoluto?
Ma soprattutto quella «mamma» sta a dare ragione a chi, come gli odierni critici pentastellati, vedono colpevolizzare di volenza fisica il solo papà.
Ed è qui che ricordiamo il percorso della comunicazione: i destinatari non sono certo i figli ma i genitori.
In altre parole, il messaggio è rivolto solo ai genitori. In particolare agli uomini. È un errore?
Secondo chi ci ha inviato la protesta, sì.
Secondo noi è un’iperbole retorica. Parte dalla realtà del vissuto di cronaca per semplificare il messaggio da veicolare.
In pubblicità non si può mentire, ma si possono esasperare i concetti.
G. de Mozzi