È il momento di tornare a essere ottimisti? – Di Cesare Scotoni
Sul Dnepr si ridisegnano confini e rapporti di forza. Si spostano basi e armamenti. Resta solo da capire come London salderà il debito con Warszawa…
Nel mentre che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (bis) convoca il Consiglio Supremo di Difesa per martedì 13 giugno e in tanti si chiedono se ciò sia in relazione all’ultima esternazione in cui, in concomitanza con il pessimo avvio della cosiddetta controffensiva d’estate intrapresa dall’esercito di Kiev con il supporto di molti Paesi parte della NATO attorno alla Bakhmut perse nelle scorse settimane, intervento in cui ha chiesto di «riorganizzare le Forze Armate Nazionali in funzione di ciò che sta avvenendo in Ucraina» credo sia giunto il momento di cominciare ad essere ottimisti.
Vediamo di spiegare ora questa sensazione.
Dopo lo spiraglio apertosi il 28 maggio del 2002 a Pratica di Mare per una lungimirante iniziativa di Silvio Berlusconi finalizzata a rivedere ed aggiornare il ruolo della NATO dopo il deciso supporto offerto dalla Federazione Russa agli Stati Uniti a seguito delle azioni seguite all’attacco dell’11 settembre sul suolo americano, l’entrata della Cina nel WTO e le prevedibili conseguenze di ciò sugli equilibri globali, con le forti resistenze di London a quel processo di rifocalizzazione, arrivarono dagli Stati Uniti la crisi dei Subprime e la Presidenza Obama.
Cambiando in modo secco i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico e rendendo palese al mondo la divergenza tra Stati Uniti e Germania su ruolo dell’Unione Europea e costi della sua difesa. Su cui London giocò la sua partita nel rapporto con Washington e l’Unione Europea una invece totalmente diversa, cominciata con l’attacco agli interessi italiani in Libia e culminata con la Lettera Trichet - Draghi del 5 agosto 2011 e il commissariamento del nostro Paese con Mario Monti.
Ciò da un lato spinse il Presidente Obama a segnalare in più occasioni il rischio globale rappresentato da una bilancia dei pagamenti tedesca fortemente sbilanciata e decisamente focalizzata su Federazione Russa e Cina e dall’altro ad uno sforzo estremamente concreto di London per ostacolare le ambizioni tedesche verso Est.
Situazione di contrasto che nel 2013 ci regalò piazza Maidan a Kiev. E la manfrina Franco Tedesca sui trattati di Minsk garantiti dall’Unione Europea.
Mentre il contributo del 2% del P.I.L. alla NATO restava per i partner europei dell’Alleanza un fatto meramente estetico, la scelta fatta da Prodi, al momento dell’allargamento dell’Unione Europea, di regalare a quella Polonia su cui è sempre stata più che salda la presa del Dipartimento di Stato e dei suoi uomini fin dai tempi di Bush, una rappresentanza numerica al Parlamento Europeo volutamente maggiore di quanto spettava in base al metodo proporzionale da sempre in vigore e il conseguente flusso di risorse che da Bruxelles arrivavano a Warsawa, sommata alla disponibilità di quel Paese con il suo esercito di essere presente sui teatri in cui la Germania della Ursula von der Layen, pessimo Ministro della Difesa, diceva regolarmente di non potersi impegnare, sbilanciavano intanto il peso della Germania nella NATO. Mentre l’Unione Europea, priva del supporto inglese e con l’Italia ad opporsi, salvo nel suo vertice istituzionale e nei suoi atti, all’ipotesi di una forza di difesa europea distinta dall’Alleanza Atlantica, non poteva immaginare un proprio esercito costruito solo sulle risorse tedesche e le armi e i soldati francesi.
Perché dunque essere ottimisti quando Kiev demolisce le proprie infrastrutture per limitare la manovrabilità del nemico e l’avvio della cosiddetta controffensiva di un esercito che nel primo anno ha perso oltre 200.000 effettivi e un territorio con una superfice più grande dell’Ungheria sembra una promessa alla Giuseppi Conte?
Perché la NATO è già cambiata ed è tornata ad essere ciò che è sempre stata, uno strumento degli interessi statunitensi.
Se il Kossovo, l’Afganistan, l’Iraq e la Siria erano il prodotto della «vecchia NATO», in cui il secondo pilastro per numerosità dell’esercito era la Turchia e Londra un comproprietario, ora il quadro è un altro.
Con l’azione golpista della notte del 15 luglio 2016 e i caccia canadesi levatisi dalla base di Incirlik per bombardare Erdogan e poi l’attacco valutario ancora in atto, quel Paese ha «cambiato schema».
E oggi, in Europa, l’asse «London - Warszawa - Kiev» che in questi 10 anni ha pesato fin troppo, potrebbe contare meno. Perché gli interessi degli Stati Uniti allo stato delle cose sono stati tutti ristabiliti e la Federazione Russa, riposizionando il proprio confine sul Dnepr, riaprendo le basi in una Bielorussia che fino a 3 anni fa avrebbe potuto guardare a Kiev come un esempio, facendo decollare quei BRICS che fino a gennaio 2022 erano una volonterosa astrazione ha capito di poter esercitare un ruolo prima dimenticato.
E visto che in tutta la vicenda l’Europa contava come il due di picche e gli interessi degli Stati Uniti non coincidono con quelli di London, tutti attendiamo un segnale, sul nuovo segretario generale della NATO, per girare pagina.
Resta solo da capire come London salderà il debito con Warszawa. Magari con Leopoli e dintorni.
A noi l’agilità di non restare sconfitti con Berlino, una volta di più.
Cesare Scotoni