Storie di donne, letteratura di genere/ 404 – Di Luciana Grillo

Cioni, Di Caro, Gaglianone e altre, «Donne al futuro» – Tredici donne parlano di donne del passato, decisamente proiettate al futuro

Titolo: Donne al futuro
Autrici: P. Cioni, E. Di Caro, P. Gaglianone, D. Lauricella, L. Levi, D. Maraini, C. Palazzoni, M.S. Palieri, V. Papitto, F. Sancin, L.L. Sabbadini, C. Di San Marzano, M. Serri

Editore: Il Mulino, 2021
Pagine: 280, Brossura
Prezzo di copertina: € 22

«Controparola», costituito da un gruppo di giornaliste e scrittrici, è nato nel 1992, grazie all’idea di Dacia Maraini, che ha raccolto intorno a sé tredici donne perché intervistassero o raccontassero altre donne.
Da questa collaborazione costruttiva sono nati, a partire dal 2011, libri che mettono al centro le donne del passato (Risorgimento, Grande Guerra) del presente e del futuro.
Per un libro, pubblicato nel 2021, è stato ovvio parlare anche di pandemia, citare Jack London, Michael Crichton, Hamutai Shabtai che nel 1997 ha pubblicato il romanzo 2020, al cui centro appare un mondo desolato, popolato da esseri umani isolati e distanziati o Doris Lessing che in «Memorie di una sopravvissuta» parla di un esodo di popolazioni che migrano da est a ovest e da sud a nord: era il 1974.
 
Oggi viviamo in una società ricca di contraddizioni, in cui contemporaneamente Samantha Cristoforetti va nello spazio, i gilet gialli sfilano a Parigi, Carola Rackete disobbedisce a un ordine e Greta Tunberg, seduta a terra, con un cartello in mano, invoca attenzione per la nostra terra.
Queste donne sono già nel «futuro»… come Emma Dante, che ama il teatro e la sua Sicilia, che risponde con sincerità disarmante alle domande di Dacia Maraini.
Ad esempio, quando Maraini chiede quale sia la funzione del dialetto («Si tratta di un mimetismo estetico ed etico, come nel caso di Pasolini con il romano, o ha una funzione puramente ritmica?»), Emma Dante risponde: «Per me si tratta di una gestualità dialettale, perché non è soltanto il dialetto della parola, della voce, ma è anche il dialetto del corpo. Significa stabilire un rapporto di quotidianità e di amicizia, oltre che professionale, con gli attori».
 
A proposito dei classici, di letture e riletture, Dante sostiene che «sia lecito ambientare un testo classico ai giorni nostri… parlo di avvicinamento non di attualizzazione…una grande opera è sempre contemporanea».
Altra intervistatrice, altre risposte: Valeria Papitto incontra Fulvia Signani, psicologa e umanista, portabandiera di una nuova medicina «su misura» delle donne e degli uomini, una medicina che corregga vecchie convinzioni: «Chi sa che il 4% di coloro che tra le persone di sesso maschile non sopravvive a un cancro in Italia muore di tumore al seno? Chi che anche gli uomini sono vittime di osteoporosi?... la medicina di genere può avvantaggiare pure gli uomini».
E quanto ai farmaci, pochi sanno che tutti sono «testati su campioni di uomini…maschi giovani, apparentemente sani e di 70 chili… E sempre in pochi sanno che, a fronte di un peso minore ci si sottopone al sovradosaggio… è quello che succede alla maggior parte delle donne».
 
Maria Serena Palieri incontra «la scout col fioretto, Bebe Vio… la prima persona al mondo a tirare di scherma non avendo più mani né polsi… la sua voglia di riconquistare la vita è contagiosa».
Palieri racconta la malattia, l’amputazione, il coraggio di questa ragazzina che diventa donna, che a 18 anni non vuole «rinunciare a un altro traguardo che aveva in mente per quella data. Ha preso la patente» e poi, d’accordo con la Toyota, «ha promosso una campagna di guida sicura per persone con disabilità».
Bebe non smette di sognare, «quando sogno mi vedo come sono, vedo quello che ho conquistato e tutto quello che potrò ancora diventare. Perché solo quando cominci a sognare l’impossibile puoi realizzarlo»… questa è Beatrice Maria Adelaide Marzia, detta Bebe: «non arriva dal passato. Né dal nostro presente. Arriva dal futuro».
 
Sarebbe interessante continuare a scrivere, da donna a donne che parlano di donne… concludiamo con la coraggiosa Agitu, che in Trentino aveva cercato di vivere, tra capre e formaggi, dopo essere stata costretta a lasciare Addis Abeba dove aveva tentato di fermare l’accaparramento di terre da parte delle multinazionali. È stata uccisa a martellate nella sua casa da un giovane ghanese.
Ora in una bella piazza di Trento, dove il giovedì vendeva i suoi formaggi, c’è una panchina rossa che ricorda il suo sorriso.
Il futuro di Agitu si è fermato qui, ma il coraggio, l’entusiasmo, le capacità imprenditoriali della pastora vivono in chi l’ha incontrata, anche fugacemente.
 
Luciana Grillo – [email protected]
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