Storie di donne, letteratura di genere/ 390 – Di Luciana Grillo
Pauline Klein, «La figurante» – L’autrice ci fa capire quanto possa essere doloroso e difficile riuscire ad accettarsi e a conoscere profondamente se stessi
Titolo: La figurante
Autrice: Pauline Klein
Traduttrice: Lisa Ginzburg
Editore: Carbonio Editore 2021
Pagine: 144, Brossura
Prezzo di copertina: € 14
Un romanzo breve e coinvolgente, questo di Pauline Klein, francese, che ha studiato a Londra e ha vissuto a New York, che ha già pubblicato nel 2010 «Alice Kahn», vincitore nello stesso anno del Premio Fénéon e del Prix Murat, e che oggi ritroviamo alla sua quarta prova narrativa, «La figurante», magnificamente tradotta da Lisa Ginzburg (già recensita due volte in questa rubrica).
La protagonista è Camille, volontariamente destinata a guardare la sua vita come dall’esterno, spettatrice di se stessa, educata fin dall’infanzia da sua madre «a descrivere il nostro stile di vita nel modo il più possibile degno di invidia… segni esteriori di ricchezza da noi, lei e me, mantenuti nell’illusione di potere in teoria venir proiettate nel mondo che meritavamo… Eravamo dentro una pièce teatrale… abitavamo mia madre e io in un piccolo appartamento dalle parti della Tour Montparnasse, un posto da lei scelto, presumo, perché io potessi accedere alle scuole del XV arrondissement…».
Dunque, una vita vissuta come su un palcoscenico, in cerca dell’approvazione del pubblico, mentre in realtà Camille viveva: «la paura di venire dimenticata a tavola, la preoccupazione di non venire servita insieme all’ipotetico sollievo di non dover mangiare la sbobba», in una condizione di autostima ridotta ai minimi termini: «I miei quaderni sono sporchi, non so essere ordinata, qualcosa mi tradisce, la mia interiore sporcizia, non sono molto precisa… ho scelto di non lasciare traccia della mia presenza, da nessuna parte».
La decisione di andare a lavorare a New York è frutto del desiderio di Camille di vivere in modo diverso, convinta com’era «che tutto fosse ancora possibile… New York ha il merito di essere una sorta di percorso prestabilito per francesi espatriati, un parco di attrazione per piccoli borghesi…».
Certamente non è facile «tentare di sopravvivere in una città dai prezzi stellari», lavora – malpagata – in una galleria d’arte, incontra uomini con i quali ha rapporti sessuali mettendo in atto «una tendenza a estraniarmi da situazioni un po’ mortificanti per poi rielaborarle in forma più positiva», seguendo l’esempio di sua madre; si iscrive a uno SmartSex, sito che offre servizi erotici telefonici a pagamento e successivamente, fingendosi un uomo lascivo, chatta su un forum «per brave ragazze»; e scrive, con l’intenzione di «creare un personaggio femminile la cui identità non fosse dettata da altro che dalla propria legge interiore», spinta dall’esigenza di una vita vera ma, «immaginandomi le scene in bianco e nero, finii invece col riprendere in mano tutto così da colorare un po’ i personaggi e i luoghi».
Anche quando crede di aver imboccato una strada, Camille prende le distanze, perché «non appena una cosa era conquistata, era perduta. Bisognava rimanere sulla soglia di tutto, all’infinito, decidere di non realizzare completamente le proprie scelte se non si voleva perdere nulla».
Solo nelle ultime pagine, conosciamo una Camille decisa, questa volta intensamente, a «essere nient’altro che la mia propria ricerca».
Pauline Klein ci ha condotto per mano, ci ha fatto capire quanto possa essere doloroso e difficile riuscire ad accettarsi, a conoscere profondamente se stessi.
Luciana Grillo - [email protected]
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