«Austriacanti»: in un romanzo l'odissea dei trentini in Siberia

Il romanzo di Marcantoni e Postal è un «romanzo del ritorno» dei ragazzi fatti prigionieri in Russia durante la Grande Guerra e tornati a casa solo nel 1920

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Presentato ieri sera a Trento nella sede della Sat «Austriacanti - storia di persone, di guerra e di identità», romanzo di Mauro Marcantoni e Giorgio Postal, edito da Iasa edizioni, che racconta l'odissea dei trentini mandati a combattere in Galizia e sui Carpazi allo scoppio della Prima Guerra mondiale.
Molti di loro, fatti prigionieri dai russi, alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre, sono potuti rientrare a casa solo a guerra finita, alcuni addirittura nel 1920, dopo avere attraversato buona parte del mondo (dall'Estremo Oriente agli Stati Uniti).
A presentare il volume il giornalista Franco De Battaglia, Elena Tonezzer, ricercatrice presso la Fondazione Museo storico del Trentino, e Nadio Delai, sociologo, assieme a renzo Fracalossi in veste di voce narrante.
Folto il pubblico intervenuto all'evento conclusosi con un concerto del coro della Sat; anche il presidente della Provincia autonoma di Trento Ugo Rossi ha voluto essere presente, per sottolineare l'importanza di conoscere vicende che sono state particolarmente traumatiche per il Trentino, perché hanno comportato un duplice cambio di identità, appartenenza.
 
«Da un lato, infatti, la nostra terra si trovava proprio sulla linea del fronte, con tutto ciò che questo comportò per la popolazione civile. Dall'altro gli uomini arruolati qui vennero mandati a combattere su un altro fronte, molto lontano. Quelli che vennero presi prigionieri furono considerati spesso “austriacanti” dagli altri italiani, con cui condividevano le vicende della prigionia in Russia, e quando alla fine fecero ritorno al Trentino molte cose nel frattempo erano cambiate. Eppure sono stati quegli uomini e quelle donne che poi hanno ricostruito, tenacemente, la nostra terra, sulle macerie della guerra. La legge sulla Memoria del popolo trentino, approvata lo scorso anno, va proprio in questa direzione: recuperare e valorizzare un pezzo della nostra storia e compiere una definitiva riconciliazione nei confronti delle lacerazioni del passato.»
La forma-romanzo scelta per raccontare queste vicende ha consentito agli autori di entrare fra le pieghe di vicende che usualmente non si possono raccontare in un saggio.
La base su cui poggiano è però rigorosamente storica, come sottolineato dagli autori.
 

 
La prima tradotta partì da Trento il 7 agosto del 1914. Gli arruolati avevano avuto solo 24 ore di tempo per lasciare le loro case e le loro attività.
Vennero mandati in Galizia, dove cominciò l'odissea, attraverso alcune delle battaglie più sanguinose del conflitto, e poi, per molti, la prigionia in Russia, in Siberia, persino in Cina, dove alcuni vennero riaruolati, a guerra finita, per combattere con L'Armata Bianca contro i bolscevichi.
I più fortunati furono quelli che riuscirono a rientrare (in Italia, non in Trentino dove infuriava la guerra) entro il 1916.
Gli altri rimasero intrappolati dalla Rivoluzione d'Ottobre e dalle sue vicende successive. Gli ultimi di loro non riuscirono a rivedere il Trentino prima del 1920.
 
Il romanzo di Marcantoni e Postal è un «romanzo del ritorno», è stato sottolineato nel corso della serata, da cui potrebbe essere tratto facilmente un film.
Un libro epico che è stato, a detta dei suoi autori «un po' anche un atto di audacia, visto che non avevamo mai sperimentato questo tipo di scrittura, pur avendo già realizzato molti lavori di taglio storico sul Trentino.»
Avere scelto questa modalità di espressione potrà forse avvicinare dunque nuovi lettori a vicende che non sono sempre così note perché, anche se quasi tutti i trentini hanno avuto almeno un parente che è andato al fronte o che è stato sfollato durante la Grande Guerra, al loro ritorno in genere i reduci non parlavano molto di ciò che avevano visto.
L'immagine del fiume San tinto di rosso, però, è ripresa direttamente dalle loro memorie. E difficilmente il lettore la dimenticherà.